La filosofia vincente di Amrabat: «Se la partita va male non parlatemi, il calcio è un modo di vivere»

by Redazione Cronache

A 24 anni ha già giocato in Champions e in un mondiale. Nonostante qualche difficoltà iniziale, Sofyan Amrabat si sta pian piano prendendo il centrocampo della Fiorentina. L’ex giocatore del Verona si è raccontato in una lunga intervista al sito ufficiale dei viola.

SOGNO – «Come ogni bambino a cui piace qualcosa, a me, sin da piccolo, è sempre piaciuto il calcio. Il mio sogno è sempre stato quello di diventare calciatore. Nelle giovanili dell’Utrecht non è stato semplice, andavo a scuola ogni giorno e le giornate erano davvero impegnative. Ero sempre impegnato. E per un ragazzino non è semplice. Ho visto molti calciatori smettere, perché volevano trascorrere del tempo con i loro amici. Uscivo di casa alle otto di mattina e andavo a scuola in bicicletta. Tornavo la sera, alle otto e mezza. Avevo lezione dalle otto e mezza alle due. Poi mi rimettevo in sella e andavo in stazione per prendere l’autobus e poi il treno per Utrecht. Non era facile, erano giornate pesanti. Ma non ho mai pensato che fosse troppo complicato, volevo rincorrere il mio sogno. Sapevo, anche se ero molto giovane, che il lavoro è fondamentale per raggiungere i propri obiettivi. E questo vale per la scuola come per il calcio. Poi avevo l’esempio di mio fratello, che è anche lui un calciatore professionista. Anche questo è stato importante per me. I miei genitori dicevano sempre: “La scuola è la cosa più importante”. Non sapevo se sarei effettivamente diventato un calciatore. Nelle giovanili dell’Utrecht avevo circa 200 compagni di squadra – la squadra cambiava ogni anno. Di questi 200 giocatori, forse 2-3, al massimo 4 riuscivano ad arrivare in prima squadra».

SACRIFICI – «A tutti piace avere una bella vita. È difficile, ma è a questo che devi pensare. Devi sapere per cosa lo stai facendo. Il mio unico interesse è il calcio. Lavoro tutti i giorni per migliorarmi, per la mia carriera, per aiutare la mia squadra e il mio club. Per me il calcio è un modo di vivere. Non si ferma agli allenamenti. Quando torno a casa penso a recuperare e a mangiare in maniera corretta. Ogni giorno richiedi al tuo corpo il massimo sforzo e il tuo corpo deve essere preparato a questo e poi deve recuperare. Per me fare sacrifici è semplice, perché so quello che voglio. Dico sul serio. Quando da bambino avevo una pausa di due settimane, durante l’inverno, in cui non andavo a scuola e non giocavo a calcio, non vedevo l’ora di riprendere la vita di tutti i giorni. Per qualche giorno è bello vedere gli amici, uscire, giocare, ma in fin dei conti a me la routine piace. Per me è sempre stato importante rendere orgogliosi i miei genitori e la mia famiglia, questa è sempre stata un’ulteriore motivazione per me. Avevo un obiettivo per cui lavorare. Volevo terminare la scuola e avere successo nel calcio, volevo giocare in prima squadra e giocare nel suo stadio. Ogni giorno prendevo l’autobus davanti allo stadio per tornare a casa e sapevo per cosa stavo lavorando. Ero stanco ma sapevo per cosa lo facevo».

PRESSIONE – «Mi piace la pressione. Mi piace giocare in stadi pieni, con i tifosi avversari che mi fischiano. Questo è quello che voglio, questo è il motivo per cui gioco a calcio. Detesto giocare in queste condizioni, con gli stadi vuoti. Non percepisco l’energia».

FUTURO – « Non penso troppo al futuro. Puoi lavorare pensando al presente o al futuro, puoi avere molte idee e progetti, ma tutto può cambiare da un giorno all’altro. Al momento mi concentro sulla Fiorentina. Mi concentro su me stesso, sulla mia crescita, sul voler diventare un giocatore migliore, per aiutare il mio club e la mia Nazionale. Magari fra due anni la Fiorentina sarà la migliore squadra italiana. È difficile, ma nel calcio non si sa mai. Basta vedere come stanno andando le cose questa stagione e quante cose siano cambiate da quella scorsa».

MENTALITÀ – «Sono stufo di questa situazione. La società mi ha voluto fortemente e questa non è la posizione in cui volevamo essere. A volte le persone pensano che ai calciatori non interessi o a volte ci sono calciatori a cui non interessa. Ma io non sono così. Sento una responsabilità nei confronti del club, della città di Firenze, dei tifosi. È una grande responsabilità. Mi porto a casa la partita. I miei genitori me lo vedono in faccia. Se la partita va male, è meglio non parlarmi. Se sei un vincente, vuoi vincere sempre. Io voglio vincere ogni settimana. E se perdiamo, non sono certo contento».