La nuova vita di Mkhitaryan: «Qui sono felice. La Guerra? Si preferisce non sapere, e su Klopp…»

by Redazione Cronache

È l’uomo del momento in Serie A. Con i suoi nove gol e dieci assist in stagione è probabilmente il giocatore più in forma del campionato e sta trascinando la Roma al sogno scudetto. Henrikh Mkhitaryan si è raccontato in una lunga intervista a Repubblica, tra ricordi dell’infanzia, la guerra nel suo Paese, l’Armenia e la nuova vita in giallorosso.

PRIMO RICORDO – «È legato a mio padre Hamlet. Era attaccante, andò a giocare in Francia e lì ho iniziato a seguire le partite. È morto quando avevo 7 anni: quando si ammalò siamo tornati a Erevan e lì sono andato a scuola calcio. Lui è stato il motore della mia scelta, il mio idolo e la motivazione per cui ho iniziato a giocare».

ROMA – «Era una possibilità per dimostrare di poter ancora giocare bene. La Roma ha creduto in me, si vede da come gioco che qui sono felice, no?».

CONTRATTO – «Non c’è stato tempo di parlarne, in pochi giorni abbiamo avuto l’Inter e ora la Lazio. Presto ne parleremo».

PROPRIETÀ –  «Sono sempre vicino alla squadra, ma il fatto che Pallotta non ci fosse mai non deve essere un alibi. Dobbiamo essere pronti ai cambiamenti, che sia il modulo o il cambio di società».

NUOVO MODULO – «Ha dato più fiducia ai giocatori, se vedi anche in campo come giochiamo, proviamo cose insieme. E sì, l’allenatore capisce meglio di tutti se cambiare formazione o no».

KLOPP –  «Per me è stato quasi uno psicologo. Ero molto severo con me stesso, per un errore potevo chiudermi in camera e non parlare con nessuno per due giorni, o staccare il telefono. Mi ha aiutato a raggiungere un maggiore equilibrio, a capire che se hai dato tutto, un errore non conta. Con lui ho giocato al mio livello massimo. Prima di una partita con l’Eintracht, durante un esercizio sui tiri in porta, mi sfidò: “Se fai più di sette gol ti do 50 euro, sennò me li dai tu”. Ovviamente non feci sette gol e gli diedi i 50 euro. Ma il giorno dopo in partita segnai due gol e allora gli dissi: “Mister, ora me li ridai quei 50 euro”. È stata l’unica scommessa che ho fatto in vita mia».

HOBBY – «Gioco a scacchi, ma adesso ho poco tempo: è più importante recuperare dopo le partite, dormire e stare con la famiglia, che giocare a scacchi. Sì, leggo molto su internet: di calcio, ma anche tanto di politica».

GUERRA – «La Uefa dovrebbe sempre garantire la sicurezza di tutti i giocatori. Una finale europea è l’occasione di una vita, a volte l’unica che ti capita. E saltarla per motivi di sicurezza è davvero doloroso, come dolorosa è la guerra tra Armenia e Azerbaigian. Da piccolo non capivo molto, ma poi ho studiato, anche a scuola, e ho visto cose dolorose. È incredibile che nel XXI secolo capitino cose del genere, una guerra che dura da trent’anni. Fa male pensare ci siano prigionieri detenuti in Azerbaigian, sottratti alle loro famiglie da anni e anni. Quando è esploso il conflitto mi hanno chiesto di convincere altri calciatori a esporsi con un messaggio di sostegno all’Armenia. Ma io sono contrario a chiedere a persone che non conoscono la storia del Paese di prendere posizione. L’ho fatto io, ma solo con appelli alla pace, nient’altro. Era importante che il mondo si svegliasse, che qualcuno facesse sentire la propria voce. Molti hanno preferito non essere coinvolti. Ringrazio il governo italiano per il sostegno, anche Matteo Salvini, anche se la mia non è una preferenza politica. E grazie a chi ha riconosciuto l’indipendenza dell’Artsakh (repubblica proclamata dagli armeni in Nagorno Karabakh. Mi aspettavo di più da tutto il mondo. Ovunque vedo Paesi in lotta permanente, spesso per motivi non del tutto chiari. Ma piuttosto che andare a fondo alla situazione, il mondo preferisce restare in silenzio».

POLITICA – «Non sono sicuro di volermi impegnare in politica, non penso di esser portato. Ci sono molte cose che vorrei fare a fine carriera ma non ho le idee chiare, non so neppure dove, quindi per ora penso al calcio poi si vedrà: che sia politica o altro».

STUDIO – «È stato difficile: gli allenamenti a volte erano la mattina, dovevo scegliere tra quelli e andare a scuola.
I miei genitori volevano studiassi molto: quanti pensano di poter fare i calciatori? Ma basta un infortunio e se non hai studiato non sai far nulla».

TIFO –  «Avevo le maglie di molte squadre ma non sono mai stato tifoso. Solo verso i 10, 12 anni ho iniziato a tifare Arsenal: Wenger aveva una squadra che prendeva i ragazzi, io sognavo di giocare lì. E alla fine l’ho fatto».

SERIE A – «Penso sia sottovalutata. In Inghilterra dicevano che il livello era calato molto, ma un campionato non si giudica solo per il numero degli spettatori: da subito ho notato una qualità in campo molto elevata».

DERBY – «Non mi piace guardare partite vecchie, ho sentito parlarne i compagni, ma non servono molte parole per spiegarlo a un calciatore. Siamo pronti per una battaglia».

ALBANO – «I tifosi mi hanno fatto un coro sulle note di “Felicità”, lo sento ogni giorno. Al Bano ha anche cantato al mio matrimonio, a Venezia. È stato un regalo dei genitori di mia moglie, non lo sapevo: l’ho saputo solo quando era già lì».

SMARTPHONE  IN SPOGLIATOIO  – «Mi dà fastidio. Con la squadra stiamo provando a metter via i telefoni quando siamo nello spogliatoio o a tavola, ma non possiamo dire alle persone cosa fare. Oggi ci si parla di meno nella vita reale, si fa tutto col telefono».