Il tunnel di San Siro ha un fascino pazzesco. Quando spunti sul campo – che lo stadio sia pieno o vuoto – ti toglie il fiato. Lo scorso anno abbiamo giocato a Milano d’inverno. Sentivo i miei polmoni pieni di smog, l’inquinamento era alle stelle. Faccio diversi chilometri ogni partita, il mio ruolo me lo impone, e mentre correvo percepivo una grande differenza rispetto a Genova. La stessa cosa mi è accaduta in altre città. Sono andato a controllare ed effettivamente i livelli raggiunti dalla contaminazione dell’aria erano elevati, oltre la soglia consentita. Sentivo i miei respiri sporchi e negli spogliatoi ero più affaticato del solito.

 

L’ambiente sta cadendo a pezzi, negli ultimi 50 anni ce ne siamo fregati e ora ne abbiamo 10 per porre rimedio prima che sia troppo tardi. La prima volta in cui mi sono accorto delle reali criticità ero nella mia casa nei Paesi Bassi ed ebbi un senso di magone. E nessuno ne parlava all’epoca, era il 2014. Le persone non erano sensibilizzate, non si erano rese conto di aver spezzato il loro rapporto con la natura. Abitavo da solo a Heerenveen e dopo gli allenamenti avevo iniziato ad avvicinarmi alla cultura olandese, capendone le fondamenta. Ho fatto dell’informazione un’arma sempre più potente, ho preso contatto con il mondo circostante, acquisendo coscienza dei suoi problemi.

 

Non siamo più sostenibili e la Terra sta provando a comunicarcelo. Proviamo ad ascoltarla insieme.

 

 

Quando apro Instagram e, scorrendo tra i post, mi imbatto nei video delle tartarughe che muoiono soffocate dalle cannucce di plastica gettate in mare, non riesco a restare impassibile. Sto proprio male. Provo rabbia, tanta. Ma com’è possibile? Non possiamo proseguire in questo modo, queste immagini devono suscitare in noi un sentimento che porti al cambiamento. E a nostra volta dobbiamo esportare queste sensazioni a più persone possibili. Dobbiamo muoverci, spingere al massimo.

 

Il calcio deve essere veicolo, portavoce di messaggi che lascino qualcosa a chi lo segue. La Superlega ci ha dato un esempio lampante della forza di questo sport e delle sue radici. Non puoi scinderlo dai tifosi, cuore pulsante e più che mai imprescindibile alla sua sopravvivenza. Non esistono solo i soldi, i valori saranno sempre più protagonisti. Deve essere questa la strada, noi giocatori in primis dobbiamo capirlo velocemente. Dobbiamo adattarci, attivarci: non siamo solo portieri, difensori, centrocampisti e attaccanti; siamo ambasciatori. Io ho scelto di esserlo per l’ambiente.

 

 

 

 

I miei compagni hanno macchinoni a benzina. Io ho una Tesla e ho acquistato una Smart elettrica per muovermi in città. Convincerli della mia scelta è molto semplice: con i fatti. Gli dico: «Venite, provate la mia Tesla, fateci un giro, queste sono le chiavi». Accendono, partono dal centro sportivo di Bogliasco e dopo qualche minuto sono di ritorno. Scendono e dicono: «Morten, ma lo sai che hai ragione». Quando ho acquistato la Smart elettrica, nessuno di noi ce l’aveva. Adesso siamo in 8 alla Samp. Non esiste un torto e una ragione. Esiste un processo di sensibilizzazione. La parte di ‘Change my mind’ avviene con le parole, ma sono i fatti a determinare e determinarci: muoversi per cambiare qualcosa, andare insieme a me sui monti liguri per raccogliere plastica e stabilire un contatto con la natura. Mandare un messaggio in prima persona, scegliere un’auto sostenibile o un elettrodomestico a impatto zero. Passa tutto da qui.

 

Se un gruppo di ragazzi mi riconosce per le vie di Genova, preferisco che mi chieda – e spesso accade – delucidazioni su come mutare il proprio comportamento e diventare un individuo sostenibile, piuttosto che chiedermi un selfie. Quello lo scatto volentieri a prescindere. Capita che mi chiedano consigli su cosa fare, su come spiegare ai propri genitori certe dinamiche, educarli a loro volta. Anche per questo noi calciatori siamo importanti. Uno studio in Norvegia ha mostrato come siano stati i bambini a portare in casa gli insegnamenti plastic free, di come i genitori siano stati influenzati e non viceversa. Dove avevano appreso tutto questo quei ragazzi? Dalle loro squadre del cuore, impegnate attivamente in campagne eco-friendly. In Olanda, insieme all’Heerenveen, abbiamo creato numerose iniziative per renderci sostenibili, e a fine anni fui premiato dall’Eredivisie come 2° giocatore più sociale del campionato.

 

 

 

 

Non esistono delle regole ben precise, e non è neanche giusto imporle. Ciò che faccio può non essere sufficiente, o essere troppo per qualcun altro. E così vale per me. Il primo step è porsi una semplice domanda: «Cosa posso fare per l’ambiente?». Significa che hai già recepito il problema e sei aperto a impegnarti. Dopo arriva tutto il resto. Abbiamo molte scelte a disposizione come persone. Una famiglia che abita lontano dalla città è chiaro che sia obbligata a prendere la macchina, ma può attuare altre opzioni per impegnarsi. Tutti abbiamo delle esigenze e delle limitazioni, ma siamo liberi di scegliere come tendere una mano alla Terra. Leggete, studiate, informatevi. Il passaparola migliore arriva attraverso l’ispirazione che trasmettiamo agli altri. Io, a mia volta, sono stato ispirato, ho dapprima accresciuto la consapevolezza interiore per poi infonderla alle persone che vogliono seguirmi. Non devo essere io a dirti cosa fare, sei tu a formare te stesso. I nostri figli devono avere lo stesso mondo che abbiamo trovato noi, avere le stesse opportunità. L’acqua trasparente e l’aria pulita ci piacciono: cerchiamo di lasciarle in eredità.

 

Il cambiamento spaventa la gente, non deve essere radicale. L’Unione Europea ha imposto delle restrizioni sulle emissioni di carbonio fino al 2030: i prossimi 10 anni sono cruciali e alcuni accorgimenti diventeranno normalità. Ho fondato il mio progetto, ‘We Play Green’, creando una lega in cui tutte le squadre possono competere per essere sostenibili, acquisendo punti in base alle attività. Se fossi il presidente di un club, adotterei diverse misure per rendere green la mia società: investirei sul centro sportivo, nello stadio, sul modo di fare comunicazioni ai miei tifosi e alla copertura organica che posso raggiungere, implementerei l’energia a pannelli solari, creerei una maglia con materiali riciclati, proverei a rendere a impatto zero i trasporti. In Inghilterra esiste una squadra, il Forest Green Rovers, in quarta divisione, completamente green e vegana. Il The New Lawn, lo stadio, è un gioiellino eco-friendly.

 

 

Quando la Sampdoria mi ha acquistato ero a casa mia, in Norvegia. Ho scelto di partire con la mia Tesla da Oslo per raggiungere Genova. Con quattro biciclette legate sopra al tettino per la mia famiglia. La mia storia ha fatto il giro del mondo, ma per me non è un sacrificio. Anche io per andare in trasferta devo prendere l’aereo, ma per compensare acquisto quote verdi per combattere le emissioni di CO2. Non è semplice muoversi senza inquinare, mi vergogno a dover volare, ma talvolta non posso fare altrimenti. Proprio così: ognuno deve attivarsi in svariati modi, non sempre si possono sovvertire le esigenze, per questo le persone possono scegliere come tendere la mano all’ambiente. Se tu scegli di essere vegano per rispettare gli animali, non rinunci a niente, perché quella scelta ti fa sentire meglio e migliora il mondo. Se tu scegli di prendere un mezzo pubblico per ridurre le emissioni, non stai rinunciando a niente: sai che quel gesto, che cambia la tue abitudini e influenza la tua vita, è il contributo che dai all’ambiente. E così via. Tutto è soggettivo.

 

Sono cresciuto in un ecosistema di persone che hanno sensibilità. Ne ho trovata anche in Italia. In Norvegia è più semplice avere familiarità con ciò che ci circonda e ci ospita. Siamo molti meno rispetto a voi, pochi milioni di persone e tanti territori liberi. Molto più spazio per ciasciuno di noi. Il modo in cui ti sviluppi è importante, ma partiamo tutti dallo stesso punto zero. Come ti impegni fa la differenza. Nessuno è perfetto, forse solo Greta Thumberg. Non devi essere perfetto, nessuno te lo richiede. Negli ultimi mesi ho parlato con Héctor Bellerín ed Erling Haaland, ad esempio, per farli ambasciatori. Sono intervenuto nel podcast di Héctor per parlare del mio impegno. Ci sono tanti calciatori che si informano, per questo ho creato ‘We Play Green’. Se sei solo, è più difficile venire fuori. Se sei in gruppo è più facile realizzare qualcosa di positivo. Se ti schieri, qualcuno potrà criticarti, se lo vorrà. Ci sarà sempre qualcuno pronto a giudicarti, a dirti che non gli piace quello che fai. Ma noi dobbiamo ispirare gli altri. Dimostriamo che c’è un problema, e dimostriamo soprattutto che possiamo ancora risolverlo. Ci sono un pianeta da proteggere e una biodiversità da preservare. A Genova ci sono tanti giovani che si attivano per pulire le spiagge, le stesse in cui andranno a fare il bagno.

 

Prendete queste parole come esempio. Io l’ho fatto con Leonardo DiCaprio, che ha fatto cose incredibili per l’ambiente, considerato anche il suo ruolo e l’influenza su larga scala. Ho incontrato varie persone che mi hanno dato idee, aggiunto concetti e principi. Non chiedo ai giovani di scegliere tra uno Spritz al bar o la raccolta di plastica nelle colline della loro città, perché non si tratta di questo. Io voglio che i ragazzi bevano l’Aperol al bar, è la consapevolezza che abbiamo nelle nostre vite a creare un’interazione giusta sul tema. Cambia le cose senza snaturarti. Il cambiamento è preludio di qualcosa, in questo caso di un qualcosa di bello e positivo. In Italia ci sono zone piene di cemento, il traffico è elevato. Da noi è inconcepibile farsi un’ora di macchina la mattina per andare a lavoro, è tempo che potresti investire nella tua famiglia o nei tuoi hobby. Ti aiuterebbe a vivere meglio. Lo smart working ha avuto il boom durante la pandemia e questo ha effetti positivi. In alcuni paesi esiste da tempo, in pochi lo vedevano come una mossa strategica. E invece lo è.

 

In Norvegia la parola d’ordine è «efficienza». Migliorare la produttività diminuendo gli spostamenti, ottimizzare i tempi. Una mentalità che ci ha insegnato a convivere con l’ambiente, a esserne ospite, e non cercare di industrializzarlo, spremendolo fino all’ultimo seme. Non serve nascere tra gli alberi e i laghi per stabilire un rapporto stretto e indissolubile con il paesaggio che ti circonda. Essere amico della natura è uno dei doni più preziosi che abbiamo: poterci interagire, volerle bene, far sì che sia risorsa senza diventare schiava.

 

Io questa partita la sto già giocando. Ti aspetto.