Locatelli si racconta a Veltroni: «Il Sassuolo deve puntare all’Europa. De Zerbi mi ha cambiato la vita»

by Redazione Cronache
locatelli sassuolo

Manuel Locatelli è senza dubbio uno dei centrocampisti più interessanti del campionato. Corsa e ritmo, visione di gioco e da questa stagione anche qualche gol in più rispetto alle annate passate. Si è raccontato in una lunga intervista a Walter Veltroni, raccolta dalla Gazzetta dello Sport.

 SASSUOLO«La particolarità del Sassuolo è che qui ti senti a casa, ogni momento. Loro sono genuini, sono persone che lavorano tutte per farti stare bene. Tutti, dal magazziniere al direttore, sono persone perbene, dedicate al solo obiettivo di far crescere questa società. Penso che li scelgano sulla base di criteri rigidi che li rendono molto simili l’uno all’altro. Sono tutte brave persone che hanno un solo obiettivo, far stare bene i giocatori e puntare al risultato. Questo gruppo di lavoro per me è come una seconda famiglia».

DE ZERBI – «Il mister mi ha cambiato la vita. Ora sono visto come un altro giocatore e come un’altra persona, migliore. Ho dovuto staccarmi di dosso l’etichetta che avevo e ci sono riuscito, grazie a lui. Lo ringrazierò sempre perché mi ha fatto rendere al meglio e maturare, in campo e fuori. Devo ancora crescere tanto, ne sono cosciente. Però la squadra ed io abbiamo raggiunto risultati importanti, insieme. E questo è, in primo luogo, merito suo».

OBIETTIVI – «Non ci poniamo limiti. Ora siamo nella testa della classifica ma bisogna pensare partita dopo partita. L’obiettivo del Sassuolo è sempre stato la salvezza ma quest’anno dobbiamo puntare all’Europa perché ce lo meritiamo, perché abbiamo giocatori giusti, un mister giusto e la società giusta. L’obiettivo deve essere quello, non ci dobbiamo nascondere e però dobbiamo avere l’umiltà e la costanza di raggiungere i nostri obiettivi pensando veramente domenica dopo domenica».

ASPETTATIVE – «Avevo l’etichetta di essere incompiuto, che doveva sempre arrivare la definitiva consacrazione, che non ero completo. Purtroppo all’inizio ho vissuto tutto troppo velocemente, è successo tutto subito. Ci si attendeva che dimostrassi cose per le quali non ero ancora pronto. Ora invece, passo dopo passo, sto dimostrando di poter essere all’altezza delle aspettative e mi sono preso delle belle rivincite».

MILAN – «È stato casa mia e quindi non si parla mai male di casa. Nonostante tutto quello che si è detto, io il Milan lo ringrazierò sempre. Poi le cose non sono andate come dovevano ma del Milan parlerò sempre bene. Il gol alla Juventus è stato un’arma a doppio taglio. Mi ha dato una gioia immensa: segnare a quel portiere, a quel campione un gol così è stata una cosa incredibile. Poi difficile da gestire perché mi si chiedeva sempre di fare gol spettacolari, le aspettative sono balzate alle stelle e quindi è stato complicato. Non ero pronto, sicuramente per demeriti miei. Ma ora vedo le cose in maniera differente e sono cosciente che quel gol rimarrà nella storia, sicuramente nel mio cuore».

RUOLO – «Credo che il centrocampista sia il ruolo più difficile. Deve essere il primo a difendere, ad aiutare i difensori ma deve essere anche il primo a spingere gli attaccanti a fare gol. Poi deve gestire la squadra in campo, deve riuscire a guidare i compagni. Deve essere l’intelligenza che collega, scandisce i tempi e coordina sia l’attacco che la difesa».

RICORDI – «La maglietta speciale? Penso quella dell’esordio in Nazionale perché, al di là di quella dell’esordio in serie A, la prima partita in Nazionale è il punto più alto che io abbia vissuto. Almeno fino a ora. Era il mio sogno da bambino, in quella stanza tappezzata di poster di campioni. Era il mio sogno da bambino, quando attaccavo le figurine Panini all’album. Quel sogno, mentre infilavo la maglietta azzurra nello spogliatoio, si era realizzato. Cosa può accadere di più bello?».

MANCINI – «Io ne avevo sempre sentito parlare bene. Con me è stato molto corretto, non mi aspettavo di giocare con l’Olanda, mi ha fatto stare tranquillo e spero di aver ripagato la sua fiducia. Credo che il segreto di Mancini sia lasciare il gruppo in serenità e creare un’armonia all’interno della squadra. Con lui la Nazionale gioca bene, ci sono giocatori di vero talento e i risultati vengono. Sa coinvolgere tutti e creare un’atmosfera serena. Personalmente lo ringrazierò per sempre per avermi regalato il momento più bello della mia carriera. Per avermi fatto realizzare quel sogno».

INIZI – «Ho cominciato in casa con mio fratello Mattia. Avevamo un giardinetto, ho cominciato a tirare calci al pallone con lui. Avrò avuto tre, quattro anni. Poi sono andato subito a giocare in oratorio. Eravamo un gruppo di famiglia perché c’era mio fratello, di due anni più grande, e mio padre che ci allenava. Era l’oratorio di Pescate, lì è cominciato tutto. È proprio una passione della famiglia, il calcio».

FAMIGLIA – «La fortuna è stata che mio papà, lavorando in banca, mi ha aiutato a gestire tutto della mia crescita e della mia attività. Mia mamma, essendo casalinga, è sempre stata presente, un vero sostegno. Nella scuola, nella vita privata, in tutto. I miei genitori mi hanno accompagnato sempre e hanno fatto immensi sacrifici per me. Non posso, non potrò dimenticarlo».

SOLDI – «Quando ho firmato il mio primo contratto importante da professionista ero entusiasta, non stavo nella pelle. Invece mio papà si è messo a piangere perché ha detto: “Manuel, questi soldi possono essere la tua rovina, se non li gestisci bene puoi perdere la testa”. Invece lui mi ha insegnato il valore della responsabilità e a tenere sempre la testa sulle spalle. Questo è stato un momento del nostro rapporto che mi ha colpito. La mia gioia si trasformò in crescita umana».

 

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