Maddaloni: «Giuntoli è un fenomeno. Così ho scoperto Kim»

by Lorenzo Lombardi
massimiliano maddaloni intervista

Dagli inizi con gli allievi del Viareggio, passando per l’esperienza accumulata nei campi di provincia di Serie D, fino ad arrivare a calpestare palcoscenici internazionali. Spesso accompagnando Marcello Lippi, come alla Juventus, al Guangzhou e con la nazionale cinese. Durante la sua carriera Massimiliano Maddaloni, allenatore che compirà 58 anni a giugno, ha girato per il mondo ampliando non solo la sua visione del calcio, ma anche la propria cultura. Oltre ad aver incontrato tante persone che si stavano facendo strada nel grande calcio. Una di queste è Cristiano Giuntoli, conosciuto nei suoi anni giovanili a Carpi e aiutato, proprio da Maddaloni, a mettere a segno uno dei colpi di mercato più eclatanti di sempre, almeno per quanto riguarda la Serie A.

Da Sanremo a Carpi, insieme a Giuntoli

«Quando allenavo il Versilia, in Serie D, Giuntoli giocava nella Sanremese. In una partita di campionato, in casa loro, gli abbiamo dato una ‘rumba’; una prestazione talmente dominante della mia squadra che, a detta dello stesso Giuntoli, lo convinse a tenermi in considerazione per una collaborazione futura. Lui era già ossessionato dal calcio, in tutti i suoi aspetti, già convinto della strada che avrebbe intrapreso in futuro». E così, questo primo incontro su un campo di Serie D, risultò fondamentale per la carriera di entrambi.  «Cristiano (Giuntoli) è un fenomeno: non è solo un direttore sportivo in grado di scoprire giovani talentuosi. Si è sempre interessato anche di tutto ciò che ruota attorno alla squadra; dalla parte atletica, alla tattica. Spesso me lo ritrovavo in spogliatoio durante i miei discorsi alla squadra. Oggi lo conoscono tutti grazie allo scudetto di Napoli, ma non bisogna dimenticarsi che ha portato il Carpi dall’Eccellenza alla Serie A». A Carpi infatti il legame tra i due si fortifica e, nonostante le dimissioni forzate di Maddaloni, rimangono in contatto anche negli anni seguenti. Proprio grazie all’asse Giuntoli-Maddaloni, e grazie alla fiducia reciproca maturata negli anni, a Napoli, la scorsa estate, è approdato il miglior difensore centrale dello scorso campionato. 

Alla scoperta di Kim e dei suoi ‘fratelli’

A Giuntoli è legato anche per l’arrivo di Kim al Napoli. «Ero alla coppa d’Asia, negli Emirati Arabi, con la nazionale cinese. Giocammo, e perdemmo 2-0, contro la Corea del Sud. Entrambe le squadre erano già qualificate, ma ci contendevamo il primo posto del girone. A segnare il secondo gol coreano fu un giovanissimo Kim Min-Jae. Io lo avevo già visto giocare nel Bejing e mi era parso forte; ma in quella partita, vedendolo da vicino, mi impressionò tantissimo. Tanto che, subito dopo la partita, nella hall del nostro hotel, chiamai Giuntoli per raccontargli ciò che avevo visto. Gli dissi che era uno da prendere subito ma, a causa dei problemi con gli slot degli extracomunitari, il Napoli non portò avanti l’affare».

La ‘pulce’ nell’orecchio di Cristiano Giuntoli era stata messa; così, l’estate scorsa, dopo l’addio di Koulibaly, Kim era, da tempo, in cima alla lista del DS. «Mi arrivò una sua chiamata. Cristiano mi disse che stava pensando di prenderlo. Mi chiese di fare qualche telefonata in Cina, ai miei contatti, per chiedere com’era caratterialmente, per capire se fosse pronto a una piazza del genere. Gli risposi che non avevo dubbi. Kim è coreano, di conseguenza è un soldato, pronto a gettarsi nel fuoco per la sua squadra e i suoi compagni». Dopo le critiche iniziali, dettate dallo scetticismo e, in alcuni casi, dall’ignoranza calcistica, Kim si è preso la difesa del Napoli, affermandosi come uno dei migliori interpreti del ruolo. «È un animale, veloce, potente, sicuro negli interventi e palla al piede. In una difesa di reparto è forte, ma quando gli viene data la possibilità di rompere le linee, in possesso e non, diventa devastante».

Come altri giocatori asiatici, arrivati giovani in Europa, il coreano non ha trovato alcun ostacolo durante il suo ambientamento, in campo e fuori. È una caratteristica comune che, per formazione umana e culturale, questi ragazzi possiedono naturalmente: «Per esperienza posso dire che hanno una mentalità diversa; hanno un modo di interpretare la professione che si basa sul rispetto e sfocia nella totale applicazione. Vengono da scuole calcistiche che formano calciatori evoluti, con caratteristiche particolari, che si adattano facilmente al calcio europeo. Spalletti mi ha raccontato che spesso era lui, durante l’anno, a dover fermare Kim; lui voleva allenarsi sempre e comunque ai massimi livelli e alla massima intensità».

Maddaloni e Lippi, i pionieri cinesi

La panchina lasciata a Carpi, a dicembre, da terzo in classifica, lascia l’amaro in bocca a Maddaloni. Allo stesso tempo però, nasconde l’opportunità che cambierà per sempre la sua vita. Tornato a casa, infatti, a Viareggio incrocia il suo percorso con Marcello Lippi che, in partenza per la Cina, è in cerca di un vice allenatore con esperienza in campo. «Se non mi fossi dimesso anticipatamente, non avrei mai avuto questa possibilità. Abbiamo conosciuto un mondo nuovo e altamente competitivo; nel giro di due anni portammo il Guanghzou a vincere la ‘Champions asiatica’ e tra le migliori del mondo, arrivando quarti al mondiale per club. Siamo stati i pionieri del calcio Cina e Marcello Lippi è sempre stato visto come un ‘Marco Polo’». Come sta succedendo ora con il campionato arabo, i due arrivarono in una ‘dimensione’ totalmente nuova e sconosciuta; nel 2012 nessuno conosceva le potenzialità del calcio cinese e in generale di quello asiatico che, negli anni, si sono dimostrati movimenti in forte ascesa. «L’intenzione della Cina era quella di poter ospitare un mondiale e di sfruttare il calcio come veicolo per affermare la propria potenza. Per prima cosa venne introdotto come materia obbligatoria nelle scuole cinesi e puntarono molto, investendo soldi e tempo, sullo sviluppo dei settori giovanili. Oggi succede lo stesso in Arabia e credo che, la fama e la notorietà legata a un determinato campionato possa resistere, crescere e durare nel tempo solo se unita a un solido sviluppo giovanile».

A proposito di giovani, Maddaloni, grazie all’incarico ricoperto per la nazionale cinese, ha girato l’intero territorio nazionale, e non solo, alla ricerca dei migliori talenti da reclutare. «Ho avuto la fortuna di vedere migliaia di partite, di tutti i livelli. Ho conosciuto anche la cultura calcistica di altre nazioni, che dalle nostre parti nessuno conosce; sono sicuro che in Vietnam e in Iran, ad esempio, ci siano molti talenti nascosti, su cui pochi hanno il coraggio di puntare». L’esperienza con la nazionale si è conclusa col mondiale sfiorato, mancato per un solo punto, e si è rivelata ricca di soddisfazioni. La più grande, forse, è quella di essere riuscito, indirettamente, a contribuire allo scudetto del suo Napoli, che tifa fin da bambino.

Ogni scelta fatta ha rappresentato, per Maddaloni, un nuovo inizio; un viaggio lungo 20 anni, partito dalla ‘sua’ Viareggio e che, grazie alle sliding doors della vita, è arrivato fino in Cina.

I primi passi e il legame con Ciro Ferrara

Appese le scarpette al chiodo, la carriera da allenatore di Massimiliano Maddaloni parte, inaspettatamente, dagli allievi del Viareggio con cui vince subito il campionato regionale. I successi con i giovani portano l’allora presidente del Viareggio ad affidargli la panchina della prima squadra per le ultime sei partite del campionato di C1. La mancanza del patentino adeguato, per allenare a livelli professionistici, lo riporta subito in Serie D, prima con il Forte dei Marmi, e poi con il Cecina. Qui entra in gioco la prima ‘porta scorrevole’, il primo incontro con il destino di Massimiliano: «Stavo allenando a Cecina quando, durante il periodo di carnevale, per il torneo di Viareggio, arrivò anche la Juventus. All’epoca il responsabile del settore giovanile bianconero era Ciro Ferrara; è come un fratello per me, l’ho conosciuto nel settore giovanile del Napoli. Durante quel torneo guardammo parecchie partite insieme e, poco più di un mese dopo, mi chiamò per propormi la panchina degli allievi della Juve».

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Il salto dalla D alla Serie A, per di più in un club come la Juventus, è ciò che tutti sognano e Massimiliano coglie al volo l’occasione. «Arrivare in un club del genere è come ritrovarsi nel paradiso terrestre; per chi ama il calcio non esiste ambiente migliore. Impeccabile sotto tutti gli aspetti». Il primo anno, con i giocatori dell’annata 90-91, è un successo e gli garantisce il passaggio in primavera. L’impatto è eccezionale, 30 punti in dieci partite, e il caso vuole che il primo trofeo, della Juventus post Calciopoli, lo vinca proprio la sua primavera al torneo di Viareggio. La prestigiosa vittoria porta la firma dell’accoppiata Maddaloni-Ferrara che, nel giro di pochi giorni, viene ripagata alla grande: «Secco e Blanc ci chiamarono in sede; la prima squadra non stava andando bene, sotto la guida di Ranieri, e così toccò a noi subentrare, a quattro giornate dalla fine. Un compito difficile ma grazie a quattro vittorie chiudemmo al secondo posto». L’anno successivo, riconfermati sulla panchina juventina, vengono esonerati alla quarta giornata di ritorno, con la propria squadra al quarto posto in classifica.

Maddaloni ci ha raccontato la sua storia, rendendoci partecipi di un viaggio bellissimo, della sua crescita tra mille difficoltà. In pochi lo conoscono bene ma lui, al fianco delle figure sopracitate, ha lasciato la sua impronta sul calcio italiano e internazionale. Attualmente è a casa, nella sua Viareggio, dove tutto è iniziato. Il cerchio che si apre e si chiude nello stesso luogo; ma non è ancora finita. Maddaloni ha voglia di rivalsa e non vede l’ora di tornare a sedersi in panchina.