Marcio Amoroso: «Oggi ho 7 vite, dal cibo per gli animali agli elettrodomestici»

by Lorenzo Cascini
Marcio Amoroso intervista

Se gli chiedi cosa ha iniziato a fare dopo il calcio, lui ti risponderà che ha sette vite. Fa il procuratore, ha fondato tre start up, studia e produce vino e fa il commentatore per Espn in Brasile. «Stare fermo non fa per me. Nel tempo libero vado in palestra, gioco a tennis e footvolley».  Marcio Amoroso, 48 anni, risponde da Campinas a due passi da San Paolo, Brasile. «Piove da voi? Qui ci sono 35 gradi, se senti rumore in sottofondo è perché sono arrivato in spiaggia». Gongola e se la ride. Anche se in realtà lui è uno che non si rilassa mai. «Quando ho smesso ho subito capito che avrei dovuto reinventarmi. Ma per indole, non per soldi. Ho iniziato a seguire i ragazzi, poi mi sono lanciato nel mondo delle startup. Oggi ne ho tre. Ci occupiamo di cosmetici sportivi, cibo per animali ed elettrodomestici. È una sfida, ma mi fa sentire vivo. Ogni giorno imparo qualcosa di nuovo». Poi c’è il vino. «È una delle mie più grandi passioni. Lo produco con l’imprenditore Fabio Cordella, ne ho due miei con l’etichetta personalizzata». 

I ricordi di Marcio Amoroso: Ancelotti, Henry e la Juventus

Quando gli parli di calcio però si illumina. Lo vedi dagli occhi e dall’intensità con cui scava nei ricordi. «L’Italia per me è casa, in particolare Udine. Sono arrivato nel 1996 e al primo anno abbiamo centrato la qualificazione in Coppa Uefa. Io vinsi la classifica cannonieri con 22 gol, sono stato l’ultimo brasiliano a riuscirci in A. E pensa che a metà stagione sarei dovuto andare via». Qui si sorride e si ferma, come a voler tornare indietro nel tempo. «Dovevo andare alla Juve, mi voleva Ancelotti. Ne avevamo parlato tanto, sarei finito a Torino in uno scambio con Henry. Che però poi all’ultimo rifiutò l’Udinese. Ci rimasi male, ma a ragionarci ora se fossi andato non avrei vinto la classifica cannonieri». 

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«Impossibile dire di no quando chiamano Galliani e Berlusconi»

Quindi Marcio Amoroso non va alla Juve, ma quasi dieci anni dopo la chiamata di una big italiana arriva. «Mi si illumina il telefono, era Galliani. È impossibile dire di no quando chiamano lui e Berlusconi. Anche se purtroppo non ho avuto tanto spazio». Quell’anno Inzaghi e Gilardino si giocavano il posto per il Mondiale, non c’era la possibilità di mettersi in mostra. «Però guarda il caso. Segno io contro la Roma il gol che manda il Milan in Champions, quella che poi hanno vinto l’anno dopo. Chissà senza quel gol magari le cose sarebbero andate diversamente…». Al Milan in panchina c’era Ancelotti, lo stesso che lo voleva alla Juve quasi dieci anni prima. «Un grande, sentivo che mi stimava. È un amante del talento e del bello. Non ti fa sgobbare, ride e scherza, ma si sa far rispettare. Poi ovviamente il suo palmares parla per lui». 

Quando pensa all’Italia sono tante le sliding doors della sua carriera. Con un grazie speciale a Zaccheroni e Franco Causio. «Appena arrivato all’Udinese, i primi mesi faticai. Ero indolente e Zac mi disse di cambiare atteggiamento. Me lo fece capire, senza imporsi o urlare. Io arrivavo mandato da Zico, che diceva che ero il più forte del Brasile. Dovevo però cambiare mentalità. In questo anche Causio fu molto importante, mi dava tanti consigli». 

«Quando Calori mi appese al muro: ‘Hai le qualità per spaccare il mondo, svegliati’»

Poi un giorno, in spogliatoio, arriva la svolta. «Io dovevo andare via, mi trovavo male e volevo subito tornare in Brasile. Calori, il capitano, prima della Fiorentina mi appese al muro. ‘Hai le qualità per spaccare il mondo, svegliati. Se non fai due gol oggi ti porto in Brasile a calci nel sedere’». Profezia avverata. Amoroso fa due gol alla viola e non smette più di segnare. «È stato come prendere una secchiata d’acqua in faccia. Mi ha cambiato. Ancora oggi ci sentiamo e quando ne parliamo, ci ridiamo su». 

L’unico rimpianto in Italia di Marcio Amoroso si chiama Parma. «Arrivai a peso d’oro. C’erano grandi aspettative. Ma non sono riuscito a esprimermi, colpa anche di un infortunio subito in estate in Copa America con il Brasile. Sono rientrato fuori condizione e non mi sono più ripreso. Peccato perché è una grande piazza e avrei voluto fare bene. Poi nel calcio conta molto la testa, fa tutto, quasi l’80% del tuo rendimento dipende dal tuo cervello e dalla tua serenità». 

Oggi con il calcio Amoroso ha detto basta. «È un mondo che non mi manca. Mi ha dato tanto, ma non ne voglio più sapere. Preferisco godermi la mia  famiglia. Poi allenare in Brasile è impossibile. Studi tanto, ti prepari, perdi tre partite e vai a casa. Vogliono tutto subito, non hai tempo di esprimere un’idea di gioco. No, non fa per me». Guai però a dirgli di fermarsi. Chissà che tutti i suoi impegni non lo porteranno di nuovo in Italia. Magari girando tra calcio, vino e le tante altre cose. Tanto con Marcio c’è solo l’imbarazzo della scelta.