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Martin Erlić

A scuola mi annoio. A fine anno riesco sempre a cavarmela eh, ma ogni tanto esco dalla classe e me ne vado proprio. Scendo le scale e corro giù nel campetto che si vede della finestra della mia classe. All’uscita oggi i miei compagni mi hanno detto che la prof ha chiesto: «Ma Martin dov’è?». E loro: «È lì che gioca». «Va bene, lasciamolo lì. Tanto lui farà il calciatore». Vedi? Tutti lo sanno! Qualche settimana fa ho chiesto a mio padre di poter iniziare a giocare a calcio con una squadra vera. Forse è anche un po’ tardi: ho 9 anni, tanti bambini iniziano già a 5-6 anni. Prima ho dovuto accontentarlo: «Martin, se vuoi giocare a calcio, sistema i voti a scuola. Sennò non ci vai».

 

E così mi è toccato iniziare a studiare veramente. Ma va bene tutto, pur di giocare a calcio. Ogni giorno cammino 4-5 chilometri in mezzo ai boschi. Andata e ritorno. I miei non hanno tempo per portarmi, ma non importa. Voglio giocare a calcio e poi, proprio i miei genitori sono la mia più grande motivazione. Non voglio che la mia famiglia faccia per sempre questa vita. È il mio pensiero fisso. Un po’ invidio gli altri bambini: vedo che i genitori puliscono le loro scarpette e li portano agli allenamenti. Io faccio tutto da solo. Ma va bene così. Quando attraverso il bosco ho tantissimi pensieri. Soprattutto al buio: a volte scappo, volo via di corsa appena sento qualche rumore o qualche animale che si muove. Magari poi si tratta di un coniglio o di una lepre eh, ma non puoi mai saperlo. Che paura.

Sto facendo le valigie. Devo sbrigarmi altrimenti farò tardi. Mi aspettano a Zagabria. Sono felice, andrò a giocare in una grande squadra. Ma non sarà facile: devo ancora salutare tutti i miei amici e i miei fratelli. Se ci penso, mi vengono le lacrime agli occhi. Dove va un bambino di 12 anni in una città da 1 milione di abitanti? Ecco, è appena salito mio padre: «Martin, se ti vedo piangere o se sei triste, rimani a casa». Faccio finta di niente: se i miei mi vedessero in lacrime, non mi farebbero partire. Così come, se quando sarò lì mi sentiranno triste, mi farebbero tornare subito a casa. Non posso farlo. Preferisco parlare con i miei fratelli. Con loro posso sfogarmi, piangere e urlare, poi mi tirano loro su il morale con qualche cavolata.

È passato quasi un anno, eppure sembra ieri che sono arrivato ieri in Italia. Sono in macchina verso Sassuolo. Il direttore Francesco Palmeri ha fatto di tutto per avermi. È stato un sollievo, il Parma sta fallendo e sarei potuto tornare in Croazia: Dinamo Zagabria e Rjeka mi hanno cercato, ma per me tornare a casa sarebbe stato un passo indietro. A 17 anni, se torno a casa so già che si complicherà tutto. Sono ancora un ragazzo, mi piace uscire con gli amici e fare tutte le cose che fanno i miei coetanei. So come funzionano queste cose, potrei perdermi. Ma se resto in Italia, concentrato e focalizzato solo sul calcio, so di potercela fare. Solo un anno fa, mi hanno detto che mi voleva il Parma. L’Italia sarebbe stata un primo grande passo per me. A solo 15 anni, tutti attorno a me dicevano: «Martin, ma dove vai? Sei matto? Guarda che tanti dei calciatori andati via così presto, poi si sono persi». Stavo facendo la cosa giusta? Quando mi dicono: «Tanto non ce la fai», a me viene ancora più voglia di partire e dimostrare quanto valgo. Potrei contare sulle dita di una mano i giocatori partiti alla mia età dalla Croazia e che poi ce l’hanno fatta.

È tutto nuovo qui per me. Ho 19 anni e finalmente sono diventato un calciatore professionista qui al Südtirol. Sono lontano da casa, ma ormai ci ho fatto l’abitudine. Però sono fortunato: qui ho trovato D’Egidio e Gyasi, due ragazzi fantastici che abitano nel mio condominio. Ci sono sempre per me, hanno più esperienza e ogni volta che ho bisogno di un consiglio o qualcosa sono sempre disponibili. Passiamo ore in macchina a parlare. Per sdebitarmi, li scarrozzo qua e là in macchina e ogni mattina li carico per andare all’allenamento.


Vado sempre a cena a casa loro. Prima di arrivare in Italia, non avevo mai bevuto il caffè in vita mia. Un giorno, Andrea mi ha convinto: «Dai brate, prendi il caffettino, prendi il caffettino». Io non volevo, ma poi ho ceduto: «Va bene, oggi lo provo». Una volta, due volte… ora il caffè è la cosa più buona che abbia mai provato qui in Italia, insieme al parmigiano. Mamma mia quanto è buono. Da noi, in Croazia, non si usa ma poi l’ho provato con D’Egidio e Gyasi. Mi dicevano: «Dai brate, metti il parmigiano sulla pasta. Forza». All’inizio ero scettico: «No, no. Smettetela, non mi piace». «Dai fratello, impossibile». Mi hanno convinto: ora non so stare senza parmigiano e caffè. 

Un giorno scriverò un libro. Voglio raccontare tutte le cose che ho dovuto affrontare. I momenti di difficoltà, le bugie dei medici, i periodi complicati per la mia famiglia. Ho vissuto davvero tanti momenti complicati. Ma è giusto eh, se vuoi arrivare davvero, devi superare tanti ostacoli.



Sono nato 3 anni dopo la fine della guerra, non è stato facile crescere in quel contesto. Mio papà ha combattuto in guerra per 5 anni: aveva appena costruito la casa, ma ce l’hanno rasa al suolo. Guardando quello che ha fatto lui per la famiglia, non deve pesarmi venire qui a fare l’allenamento o fare un’ora di palestra in più. Per questo io ragiono così: a me non deve pesare niente, anzi deve essere un privilegio tutto quello che faccio. Secondo me le persone come lui sono loro i veri eroi: lui ha ricostruito tutta la casa da capo. Penso tanto a queste cose e mi danno tanta forza: se oggi sono quello che sono, lo devo alla mia famiglia. 

Grazie Spezia, sono stati 2 anni bellissimi. Non è facile dirti addio, credimi. Sono appena rientrato negli spogliatoi, dopo l’ultima partita contro il Napoli. C’era gente che piangeva in tribuna. Per me. Ci rendiamo conto? Queste sono cose che mi porterò per sempre dentro. Così come quel gol.

 

Quale? Il gol salvezza, contro il Crotone. CHE EMOZIONE! Ma ci pensi? Tu, da difensore, che fai il gol salvezza a tempo scaduto? Dai, non ci credo. È stato stupendo, esultare con i tifosi, mi gaso ogni volta. È stata la rivincita dopo l’anno scorso. Quanto ho sofferto, mamma mia. Mi sono fatto male al menisco: è stato un incubo. Ho saltato 6 mesi, poi al mio rientro… Taaac, di nuovo. Ho perso un anno. Mi ricordo che la notte non dormivo, ero tormentato dai pensieri. Se c’è uno che devo ringraziare è il direttore Angelozzi, che mi ha trattenuto un’altra stagione in prestito. Diceva a tutti: «Conosco Martin, so com’è mentalmente e che ragazzo è. Credetemi, vale la pena». Da quando sono tornato, non sono più uscito dal campo. E oggi, che ti saluto per ambizione, non posso che dirti: «Arrivederci, Spezia <3»

Ho appena finito di giocare a padel. Mi si è impallato il telefono: non so quanti messaggi e chiamate ho ricevuto. La Croazia mi ha convocato. Io, Martin Erlic. Con la Croazia. Pazzesco. Mi hanno chiamato tutti: Mandzukić, Perisić, Vrsaljko che è del mio stesso paesino.


È incredibile: starò in mezzo a tantissimi campioni. Io accanto a Modrić, Brozović, Perisić, Kovacić. Va beh, troppi ce ne sono. So che sono un gruppo bellissimo, con tutti ragazzi super umili. Non riesco a crederci, davvero. Sono in lacrime: le mie sorelle mi hanno scritto un messaggio che mi ha commosso. Finiva così: «Hai realizzato il sogno di tutta la famiglia». Ho i brividi. Per noi croati, la Nazionale è il massimo dell’aspirazione. E poi, una volta che ci arrivi devi fare di tutto per restarci. Basta un attimo, un momento di flessione, dove non giochi ed ecco che non ti chiamano più. Non posso permettermelo. Per la mia famiglia.

Ma aspetta. Adesso come lo dico a mio fratello? Lui si sposa. Cioè, io da fratello dovrei essere lì con lui. Lo chiamo.



Incredibile. Piangeva, per me. Era troppo felice. Ha detto che non importa e che, anzi, nonostante le nozze, seguirà la mia partita. Sono i 3 giorni più belli della mia vita. E ora giocherò contro la Francia, campione del Mondo. Il mister ha saputo del matrimonio di mio fratello, ma è rimasto stupito dal mio silenzio. Non ho chiesto nulla: né qualche ora di permesso né di andare via. Sono in Nazionale, non voglio chiedere niente a nessuno. Ho già tutto quello di cui ho bisogno. So che in molti, al posto mio, avrebbero chiesto al mister di poter andare al matrimonio. Io no. È il sogno di tutta la mia famiglia.

Quest’aneddoto è davvero bello che non sembra vero. Mancano pochi minuti al calcio d’inizio di Croazia-Francia, il mio esordio in Nazionale. Durante il riscaldamento Modrić viene da me parlarmi; forse non lo sapete, ma veniamo entrambi da Zara. Mi dice: «Martin, stai tranquillo. Se non ci sono giocate, non ti devi preoccupare: calcia lontano, anche fuori dal campo. Non c’è alcun problema, spazzala!». Rimango a bocca aperta, non me l’aspettavo. Dopo qualche secondo gli rispondo: «Ma lo stai dicendo davvero?». Ebbene sì, era serio. Non volevo crederci, non me lo sarei mai aspettato da uno come lui.

Oggi ho affrontato Benzema. 7 giorni fa non era in campo, ma oggi sì. Ma quanto è forte? È stata una partita molto difficile, visto che accanto a lui c’era Mbappé. Due degli attaccanti migliori al mondo in campo insieme, abbiamo avuto bisogno di un’ottima prestazione di squadra per non perdere. Però abbiamo vinto 1-0, tenendo entrambi a secco. Tanta roba.

 

E poi è successo un episodio in campo proprio con Benzema che non posso non raccontarvi. Prima, però, devo farvi una piccola premessa: quando marco l’avversario, a me piace sentire sempre l’uomo e magari tenergli la maglia. A un certo punto, sugli sviluppi di un calcio piazzato, volevo sentirlo e gli ho dato un pizzicotto anche se non volontariamente. Lui si è arrabbiato e guardandomi male mi ha detto: «Ma che stai facendo?». Io gli ho risposto: «Ma che vuoi? Pensa a giocare». Fortunatamente è finito tutto lì.

Come vi ho già raccontato, ho esordito contro la Francia. Nel mese di giugno ho giocato altre 2 partite, prima contro la Danimarca e poi ancora una volta contro la Francia. Con me in campo la Croazia non ha mai perso, ne vado fiero. Ma oggi è un giorno bellissimo, uno dei migliori della mia vita: ho appena ricevuto la convocazione per il Mondiale in Qatar.

 

È una sensazione bellissima: rappresenterò il mio Paese alla Coppa del Mondo. Nelle ultime settimane leggevo sui giornali locali che la mia convocazione era possibile, ma non ci volevo pensare. Mi dicevo: «Finché non vedo, non credo. Finché non vedo il mio nome su quel foglio sto sul pezzo». È un sogno diventato realtà. Di meglio c’è poco altro: vincere il Mondiale, o magari un giorno l’Europeo. 

È appena finito il Mondiale. Siamo arrivati terzi, stento ancora a crederci. Nonostante non abbia fatto presenze, mi sento tremendamente orgoglioso e grato per esserci stato. So che in futuro ci sarà più spazio per me, ma vi giuro che già condividere lo spogliatoio con certi giocatori è stato incredibile.

 

Ma avete visto quanto è forte Gvardiol? Posso solo dire che è un fenomeno. A 22 anni giocare con quella sicurezza e con quella maturità non è facile. Ho tanto da imparare da lui per come sta in campo, come si muove e come gioca, anche se è più piccolo di me. Ogni tanto gli dico: «Bambino, ti do gli schiaffi. Stai calmo», e ridiamo insieme. È forte in campo e umilissimo fuori. Gli auguro solo il meglio.

Tornare a Sassuolo non è stato difficile. Conoscevo già l’ambiente, ho ritrovato le stesse persone di 5-6 anni fa. All’inizio non ho giocato molto, ma ho continuato ad allenarmi per convincere il mister a cambiare idea. Dionisi è contento di ciò che sto facendo e anche io lo sono. Sono uno che vuole migliorare e fare sempre di più. È vero, ho 25 anni e sono ancora giovane, ma sto entrando nell’età in cui un calciatore diventa ‘esperto’. Staccare dal calcio mi fa bene. Mi serve proprio. So che se non facessi il calciatore, starei ancora con mio padre e mio fratello a lavorare in campagna. Raccoglierei patate e carote per la nostra piccola azienda. Ogni volta che posso torno nel mio paesino. Vado al mare, sto con gli amici di sempre e aiuto i miei. È una cosa che mi aiuta a ricaricarmi. In futuro vorrei avere la casa in campagna: vivere in mezzo al nulla, con la mia famiglia. Sarebbe stupendo. Poi mai dire mai eh… ho 25 anni, magari cambio idea. Intanto Martin, goditi questo relax…