Turk a Cronache: «Io da ballerino a portiere. A Parma sono Iceman, Buffon un mito»

by Francesco Pietrella

Il parquet brilla e dà colore, le scarpe stridono sul legno e la voce diventa eco. Davanti a lui c’è uno specchio che riflette i sogni. Martin Turk lo fissa come fosse quello delle Brame di Harry Potter, primo film. Si immagina un talento dell’hip hop come i ragazzi di Step Up. Lui con i jeans larghi, un felpone giallo e una catena d’oro al collo un filo kitsch. Martin ha sei anni e farà il portiere, ma ancora non lo sa. «Ero con mia madre in un negozio. A un certo punto guardo in alto e vedo una pubblicità in televisione, piena di persone che danzano, ridono, scherzano». Imprinting. «Le tiro la giacca con forza dicendole ‘mamma, voglio fare quella cosa lì. Voglio ballare’. E così è stato. L’ho fatto per un anno, mi sono divertito».

Turk, l’Iceman di Collecchio

Meglio i guantoni però. «Papà ha giocato a livelli amatoriali, mio fratello è stato un terzino ed era anche bravo, il mio migliore amico pressava. ‘Dai, vieni anche tu’. Alla fine ho ceduto». Martin se la ride. Ci racconta la sua storia seduto sotto la porta del centro sportivo di Collecchio, Parma, il suo mondo. «Sono arrivato a 15 anni dopo tre provini con la Roma e uno con il Genoa. Qui ne ho fatti un paio, ma mi hanno cercato più di tutti». Quest’anno ha debuttato contro il Pisa blindando la porta, 0-0. «Ansia? Ma va. Neanche quando ho giocato un tempo sotto la curva dei toscani in trasferta. Erano in duemila, ma nessuna paura». Otto partite tra i pro’, tre di queste senza subire gol: «Mi chiamano ‘Iceman’ perché in campo sono un freddo. So gestire le emozioni, non mi faccio influenzare. Se sbaglio va bene così, passa tutto. E tiro dritto».

«A Buffon do del lei?»

Martin ha 18 anni, ma ne dimostra qualcuno in più. A ‘tradirlo’ è quel sorriso sincero da teenager che esce fuori subito, in modo spontaneo, quando racconta dell’infanzia a Capodistria e dei tornei in giro per l’Europa; di quando ha fatto da raccattapalle a Oblak e poi se lo è ritrovato accanto; di quando è arrivato a Castelrotto, in ritiro, e ha visto Buffon per la prima volta: «Non sapevo se dargli del lei o del tu. Sono cresciuto con le sue parate. Lo guardavo parlare con gli altri e pensavo ‘oh, ci gioco insieme’. Appena gli ho stretto la mano ho chiamato i miei genitori in Slovenia. ‘Non potete capire’». Ora lui e Turk sono diventati amici. «Suo figlio è del 2004, un anno più piccolo di me, fa effetto a entrambi credo. Conservo ancora i messaggi che mi ha scritto dopo il debutto in Serie B. E ogni tanto mi ‘cazzia’ per spronarmi a dare il massimo».

In porta con sicurezza

Martin ha esordito il 22 febbraio 2022 con la 22: «Da piccolo mi piaceva l’8, a volte indossavo anche l’88». Sempre in porta: «Avevo 7 anni e giocavo da un paio di settimane con lo Jadran Dekani, la mia prima squadra. L’allenatore ci chiese chi volesse provare tra i pali. Guardavano tutti per terra, così risposi ‘vado io’. Nel primo tempo ho fatto un paio di belle parate e non sono più uscito». Sloveno di Capodistria, a venti minuti dal confine, Martin parla italiano come se fosse nato qui: «L’ho studiato a scuola, sono cresciuto guardando Buffon e Cech. Me lo ricordo sempre con quel caschetto iconico». Icone da imitare: «Il primo trofeo importante l’ho vinto a 15 anni contro il Portogallo. Era il Torneo delle Nazioni. Con me c’era anche Sesko, oggi titolare a Salisburgo. Ho parecchi flash di me da piccolo con dei trofei in mano. In uno di questi, con lo Jadran, parai anche un rigore in finale, poi mi ha preso il Koper. A 13 anni mi allenavo già con la prima squadra». Accanto a lui lo stesso preparatore di Jan Oblak, Robert Volk, quello che scoprì il portiere dell’Atletico a Lubiana diversi anni fa.

Il raccattapalle di Oblak

Un altro padre calcistico per Turk: «L’ho ritrovato in Under 21 slovena». Nove presenze fin qui, più una panchina in nazionale maggiore: «Accanto a me c’era proprio Oblak. Gli ho fatto anche da raccattapalle. Nel 2016 giocò a Capodistria con la Macedonia e io ero lì». Quattro anni dopo ha incontrato Handanovic nella ‘pancia’ di San Siro: «Ottobre 2020, Inter-Parma 2-2, prima panchina in Serie A a 17 anni. Samir era incazzato per aver preso due gol da Gervinho, ma abbiamo parlato un po’. Mi ha dato alcuni consigli e ovviamente la sua maglia. La conservo come fosse una reliquia». Accanto a quella di Buffon: «Prima del Pisa mi ha tranquillizzato, ’gioca con calma e andrai bene’. Era infortunato, ma nessuno sapeva che sarebbe arrivato in ritiro. Ama instaurare un rapporto sincero, mentalmente ti fa stare sul pezzo. Ricordo anche ciò che mi ha detto dopo l’esordio. ‘Non sentirti arrivato e stai concentrato, perché sei solo all’inizio’. Tra l’altro devo ancora portare i pasticcini nello spogliatoio insieme a Circati e Bernabé. Forte forte lui, gran mancino. Ha stupito anche noi».

Turk tra la Slovenia e il gol a Buffon

Il sogno di Martin è difendere i pali della Slovenia: «Il Mondiale del 2010 è stato unico. Siamo usciti con 4 punti e per un gol di Donovan all’ultimo minuto. Sul mio comodino c’è un libro su come ci siamo qualificati. C’erano Handanovic, Birsa, Cesar, Khrin. Una bella squadra. Tra l’altro nel 2004 vinse 1-0 contro l’Italia e in porta c’era Buffon. Segnò Cesar su un’uscita di Gigi tutt’altro che perfetta. Una volta gli ho fatto vedere il video del gol dicendogli ‘oh, ma dove andavi qui?’. L’ha presa a ridere. Lui è così. Umile, disponibile, ti tratta come fossi un suo pari. Lo stesso fanno Pandev, Danilo, Schiattarella. Hanno tutti almeno 15 anni anni più di me. Quando c’è da sgridare noi giovani lo fanno, ma anche quando c’è da dirci ‘bravi’. Ci tengono in riga, ecco». Martin Turk ha già la testa sulle spalle. Glielo dicono anche i senatori: «Ho una mentalità vincente e voglio migliorare. In porta, ad esempio, mi sento sicuro tra i pali, ma devo fare di più nel gioco con i piedi. In questo Iachini mi aiuta. Prima delle partite parliamo spesso, mi prende da parte, mi spiega come affrontare le cose. A Parma mi sento a casa».

C’era un volta il Parma

Lo dice con orgoglio. Mentre parla ogni tanto si guarda intorno, si frega le mani consumate dai guantoni. Le nocche hanno qualche ferita. Rimasugli di uscite sul fango. «Qui cammini nella storia, percepisci la grandezza della società guardando i trofei. Quando Gigi inizia a raccontare del suo vecchio Parma, quello di Veron, Cannavaro, Thuram e Crespo, campione in Coppa Uefa nel 1999, ci mettiamo seduti e ascoltiamo rapiti, in silenzio». Storie da ‘c’era una volta, per Turk: «Il bello è che molti di noi non erano neanche nati». Gigi aiuta il gruppo a mantenere le idee chiare: «La testa è già al prossimo anno, vogliamo riscattare questa stagione e provare a salire in Serie A». Mentre lo dice ti fissa dritto negli occhi. Umiltà e ambizione. «Se non avessi giocato a calcio avrei fatto il pompiere come papà. Credo in Dio e nel destino. Prima di ogni partita mi faccio il segno della croce, poi entro sempre in campo con il piede destro». Come se fosse sul parquet.