Marsili: «Ecco come ho salvato la vita al mio compagno»

by Lorenzo Cascini

La corsa per arrivare dal suo compagno è un’istantanea che Massimiliano Marsili porterà sempre nel cuore. «Mi sono girato e l’ho visto a terra, cercare di salvarlo è stato istintivo». Sarà una mossa fondamentale e decisiva.

Inquadriamo il contesto. Dopo uno scontro di gioco in area, il difensore del Casarano Armando Tipaldi, colpito da un giocatore del Barletta, cade a terra e perde conoscenza. Lo stadio si ammutolisce, i giocatori in campo si mettono le mani sul volto e fanno segno ai sanitari di affrettare l’ingresso. Tra i primi ad arrivare, di corsa, c’è proprio Marsili – centrocampista 35enne – che apre la bocca al compagno e gli tira fuori la lingua, per evitare che soffochi. «Non sono un eroe, non voglio nemmeno passare per qualcosa di simile. Sto studiando per diventare allenatore, ho fatto anche un corso di primo soccorso e sapevo quindi cosa fare in quel momento. Per fortuna è andato tutto bene, sono stato fortunato a trovarmi al posto giusto nel momento giusto».

Istinto e prontezza. «Non ho avuto il tempo di pensare. Armando era privo di sensi, bisognava agire subito.
L’ho girato di lato e gli ho tolto la lingua per evitare che si strozzasse. Poi sono stati decisivi i ripetuti massaggi cardiaci, io li ho fatti finché non sono arrivati i medici. Mi fa piacere pensare di essere stato importante per la sua vita». Se lo porteranno entrambi dentro per sempre.

Mentre lo racconta Massimiliano ha i brividi. «Rivivo ogni giorno le sensazioni di quel momento. Abbiamo avuto tanta paura. L’attimo più bello? Te ne cito due. Il primo è sicuramente quando ci hanno comunicato che Armando era fuori pericolo, il secondo quando ho ricevuto il messaggio di sua madre che mi ringraziava per aver salvato il figlio. Mi considera il suo angelo custode. Sono anche io un padre di famiglia e posso solo immaginare come ci si possa sentire in un momento del genere».

La Roma, l’esordio e gli scherzi di De Rossi

Per Marsili il presente dice Casarano, in Serie D dopo anni passati in giro per l’Italia tra B e C. Ma il suo posto del cuore resta uno, Roma, dov’è nato ed è diventato grande nel calcio. «Da quando avevo sedici anni ho avuto la fortuna di allenarmi con i miei idoli e credimi per un ragazzo cresciuto li non c’è niente di più bello. Ogni giorno mi sentivo come un bambino al luna park. Poi io sono sempre stato molto tifoso. È una sensazione quasi strana da spiegare, passi dal guardarli in televisione al giocare insieme a loro. Che puoi volere di più?».

Nel 2004 Massimiliano fa l’esordio in A con Bruno Conti in panchina, poi altre due presenze con Spalletti l’anno successivo in Coppa Italia. «Erano momenti diversi, certo la prima volta con la maglia della Roma non me la dimenticherò mai. In spogliatoio c’era un bel clima, ma quanti scherzi mi facevano…». E tira fuori dal cassetto aneddoti in serie, fotografie che conserva con cura. «Capitava spesso che ci trovavamo tutti insieme a giocare alla PlayStation. I più forti? Totti e Mexes. Quello che invece faceva più scherzi di tutti era De Rossi, una volta mi fece quasi sparire un cappotto».

Marsili si ferma e scoppia a ridere: «Io arrivai al campo con una giacca di pelle, pensando di essere vestito bene. Diciamo che i miei compagni non la pensavano così e la appesero a una stampella in corridoio. Daniele continuava a urlare chiedendo di chi fosse quel cappotto così brutto… io ero tutto rosso, loro invece erano sdraiati per terra dalle risate. Una figuraccia, c’era pure Spalletti che rideva a crepapelle».

“A regazzì viè qua”

Prima di salutarci Massimiliano confida anche qualche ricordo su Francesco Totti, idolo da sempre. «Sono cresciuto guardando le sue giocate. In spogliatoio non parlava tanto, ma sapeva farsi rispettare con uno sguardo. E pensa che il giorno del mio primo pranzo con la Roma dei grandi al tavolo eravamo solo io e lui…»

Anche qui non trattiene l’emozione, si blocca e poi riparte. «Pure questa è da raccontare: arrivo nella sala dove si pranzava e trovo tutti i tavoli occupati. Da dietro mi sento chiamare ‘A regazzì viè qua’, era Totti. Voleva andassi a pranzare con lui. Ero agitatissimo. Invece ho scoperto che dietro ai più grandi campioni si nascondono persone di un’umiltà e una simpatia unica».

All’Olimpico ha realizzato un sogno, poi ha continuato ad inseguirlo girando per l’Italia. Da domenica scorsa all’album della sua vita potrà aggiungere un’altra istantanea. Diversa, ma ugualmente bella. Con una corsa speciale che gli resterà nel cuore perché gli ha permesso di salvare un compagno.