Marco Materazzi a Cronache: «Per vincere una Champions non devi mai aver mollato un centimetro»

by Redazione Cronache

Grazie a Nike, Cronache di Spogliatoio ha avuto l’opportunità di intervistare 4 coppie formate da un campione del Mondo e da un talento della Nazionale di oggi. Un giovane del presente che incontra il proprio idolo. Il primo contenuto realizzato è stato quello insieme a Marco Materazzi e Gianluca Mancini, uniti dalla passione dell’attuale difensore della Roma per Matrix. L’ex difensore, salito sul tetto del Mondo con l’Italia nel 2006, si è raccontato a Cronache.

NUMERO 23 – «L’ho scelto per mia moglie, praticava basket ed è normale che questo numero ti riporti a Michael Jordan. Ho vinto il Mondiale e tutto il resto con il mio numero, è diventato il mio compagno preferito».

CRESCITA DI MANCINI – «Lui ha fatto un percorso netto secondo me. Da Perugia, dove io avevo già avuto modo di ammirarlo perché giocava nella mia città, è andato a Bergamo ed è cresciuto tantissimo, cambiando totalmente metodologia di lavoro e migliorando anche dal punto di vista tattico. Adesso si è ritrovato con un allenatore portoghese che io ho avuto prima di lui (Mourinho, ndr), quindi so, bene o male, qual è la loro mentalità. Questa estate ho avuto la fortuna di vederlo qui, quando ancora era alle prime armi nella sua avventura in una grandissima squadra come la Roma. Ha fatto un’amichevole con il Perugia e mi ha chiesto qualcosa, gli ho detto: ‘Guarda, continua così perché giocare molto alto e fare determinate cose non è semplice. Tu sarai sempre, in questo momento, la promessa o il ragazzino, quindi ti addosseranno colpe, responsabilità e quant’altro. Tu vai avanti per la tua strada’. Da quel momento lì fece 3 o 4 partite fuori, se non ricordo male. Sicuramente quando stai iniziando a volare con le tue gambe questo ti dà sicurezza, perché quando giochi in una ‘piccola’ realtà hai delle sicurezze che in una grande non hai, in una realtà dove la gente critica, ti aspetta, poi è più facile cadere. E invece da lì, da quella partita a Perugia, fece 3 o 4 partite fuori e poi è tornato a essere quello che era, il leader della difesa. Non a caso io gli ho detto qualcosa, il mio pensiero, gli ho detto: ‘Continua così perché è facile poi adattarsi a quello che sono i compagni, il compagno più esperto e più scaltro vivacchia‘. Invece lui è abituato a stare in campo in modo diverso, ha iniziato ad avere una mentalità che è quella che penso voglia il suo allenatore. È solo merito suo se ha continuato a fare quello che ho visto nell’amichevole a Perugia e adesso sappiamo tutti chi è, alla Roma e in Nazionale».

IL VIDEO –L’intervista realizzata a Gianluca Mancini e Marco Materazzi sul nostro canale YouTube

FORZA MENTALE – «Penso che sia la forza di una squadra quella di mettere prima il club, i compagni, e poi se stessi. Gianluca è vero, lo abbiamo visto giocare centrocampista centrale e lo ha fatto bene. Poi tutti dicono: ‘Il solito messo lì davanti alla difesa per fare da diga’. Io ricordo che fece un passaggio, una scucchiaiata per Dzeko e solo chi ha nelle sue corde alcune giocate può fare determinate cose. Io neanche me la sarei sognata, invece lui l’ha fatta con naturalezza. Quello ti fa capire da un lato la crescita che ha avuto anche mentale, perché arrivare all’Olimpico e fare una giocata del genere non è scontato e vuol dire che ce l’hai nella testa. Quello ti fa capire che è partito centrocampista e difensore, ma potrebbe ricoprire diversi ruoli non snaturandosi. L’ha detto anche Fonseca, Gianluca deve tornare centrale difensivo ma potrebbe fare i due ruoli senza risentirne. E quello è un valore aggiunto secondo me».

ESEMPIO PER TUTTI – « Io penso di essere l’esempio di quello che può essere l’avventura di un bambino che sogna di giocare tra i professionisti. Ne partono tantissimi e purtroppo ne arrivano pochi. Lascio da parte l’infortunio, adesso quando ci si fa male alle ginocchia si guarisce subito quindi non abbocco più, ai miei tempi dicevano ‘Eh sai, il ginocchio’. Sicuramente la perseveranza e il voler superare gli ostacoli che ti si parano di fronte è stata fondamentale, ognuno di noi ha un maestro cattivo che non ti vede bene. Quello deve aiutarti a crescere, a buttare giù un boccone amaro perché sai che quando ti arriva l’occasione giusta sei più forte di qualsiasi altra cosa. Io ho iniziato a vincere a 34 anni, vincere cose pesanti. Lo Scudetto, la Coppa Italia, la Supercoppa. Quelle sono cose che all’Inter, al Milan o alla Juventus devono essere naturali, anche alla Roma. Sono cose che devono venire quasi naturalmente per quello che rappresenta il club. Poi per vincere una Champions o un Mondiale devi essere nel posto giusto al momento giusto, senza aver mai mollato di un centimetro prima. E prima vuol dire quando avevi 17, 18 o 19 anni. A Tor di Quinto, a Marsala, poi a Trapani nei professionisti, il campo si chiamava le saline, avevo Barraco che si allenava con i Ray-Ban perché non vedeva il pallone da quanto era bianco. Quando sono arrivato a Trapani con Arcoleo, al primo allenamento mi disse che per sei mesi non avrei giocato, e mi aveva voluto lui. Quando ti dicono così vuol dire che non vogliono il tuo bene. Sono stato lì sei mesi alle saline, sali e salta di testa. Senza lampadine. Questo ha pagato, sono stato fortunato a cogliere l’attimo. Al Mondiale stesso sono entrato, ma venivo da un Europeo e un Mondiale in cui l’Italia aveva fallito, pur essendo la squadra più forte quella del Mondiale in Giappone e Corea nel 2002. Venivamo da 4 anni dove avevi fallito il Mondiale, torni e ti aspettano con i pomodori in aeroporto. Mica vanno a dire ‘l’arbitro Moreno’, no. La Nazionale ha fallito, tornano e sono scarsi. Poi abbiamo ricominciato e quando sono entrato contro la Repubblica Ceca, da un lato non vedevo l’ora, perché dopo un percorso di 2 anni con Lippi, ognuno di noi pensava di essere titolare, pur sapendo che Cannavaro e Nesta erano superiori. Ognuno sapeva quale era il suo ruolo, io quando sono entrato ho detto: ‘O ci vuole il pannolone e vado a casa, oppure qui facciamo la storia’. Ho avuto la fortuna anche lì di entrare, fare subito gol, rinviare Nedved appena stava per calciare, mi ha caricato e da lì è stata discesa fino alla finale di Berlino. Tutti chiedono cosa è successo. È successo che ho fatto 2 gol e abbiamo vinto il Mondiale. Punto. La realtà, vuoi o non vuoi, è quella. Non è il fatto della testata».

MENTALITÀ – «Io penso che sia uno stimolo da regalare e dare a un compagno per poter arrivare con questi club. Ricordo con Eto’o, mise prima il gruppo e poi il personale, quello è stato l’esempio lampante. Quando uno arriva dal Barcellona del Triplete e potrebbe guadagnare tutti i soldi che vuole. Era uno scambio talmente grande con Ibrahimovic. Arrivava in una squadra con una fame di vittorie come l’Inter, poteva chiedere la Luna e gli dissero: ‘Facciamo un contratto a bonus, a gol’. E lui disse: ‘Non voglio i bonus e i gol, facciamolo a trofei‘. Ogni volta che arrivavamo in finale gli dicevo: ‘Oh, guarda che incassiamo’. La mentalità di uno forte che dice ‘Vado lì, vado per vincere i trofei, non per fare tanti gol’. Andavo da lui e gli dicevo: ‘Incassiamo’, e non era la medaglia d’oro. Era un modo per stimolare lui, era stato lui a dare questo incentivo per la squadra e non per se stesso».

MOURINHO ED I SUOI ALLENAMENTI – «Io non ne ho mai fatte di ripetute con lui, dico sempre che è stata la mia fortuna o sfortuna. La fortuna di averlo avuto a fine carriera, se lo avessi avuto a 18 anni e poi avessi incontrato il Mancio con cui corri tanto, penso che mi avrebbe preso male alla testa. Bene o male ho smesso, ma sapevo di andare lì a fare un allenamento che ti faceva divertire. Con altri tipi di allenatori non succede. Vai il lunedì, sei scazzato perché non hai giocato, perché è così, in allenamento magari ti metti a fare gli 800 o i 1000 sapendo che la squadra la rivedi tre giorni dopo. Con la Champions non hai modo per farti notare anche in allenamento. Con lui ogni allenamento era una guerra per poter dire ‘Ci sono, fammi giocare’. Questo lui lo valutava ed era molto importante, averlo avuto alla fine è stato bellissimo ma un peccato non averlo avuto per tutta la carriera. Mi sarei divertito di più».

DIVENTARE PADRE – « Ho avuto una grande fortuna, non ho mai fatto una notte. Non me ne hanno mai fatta fare una. Almeno avevo la scusa, dovevo giocare. Sono stato fortunato perché il primo che dormiva poco non lo sentivo: io quando dormo, dormo. Devo recuperare. Ha fatto sempre tutto lei da questo punto di vista e i risultati sono suoi. Il merito è suo, io sono solo di appoggio. Quando sei padre, il consiglio deve essere quello di fare da appoggio a colei che tira su i figli. Il tempo con i bambini lo passano di più loro, bisogna supportarle perché non è semplice, però alla fine i risultati se la coppia è solida si vedono a lungo andare. Quando sono piccoli il papà lo rivedi a dicembre, non c’entra niente. Vieni annullato, passi in secondo piano, però penso che sia la natura. Dopo i primi sei mesi, quando inizia a sorriderti, non solo a dormire, ti dà una spinta incredibile. Quella è stata la mia forza più grande, tornare a casa e avere i figli ti cambia a livello umano ma anche per il tuo lavoro secondo me».