Mazzone raccontato da Guardiola: «Trattava il campo come una tela»

by Redazione Cronache

Quattordici squadre diverse, uomo-storia del Brescia e punto di riferimento per molti giocatori, ma soprattutto allenatore rispettato prima come uomo e poi come tecnico: in due parole Carlo Mazzone, che non a caso compie gli anni nello stesso giorno della festa del papà. Perché Mazzone, per addetti ai lavori e non del mondo del calcio, è come un padre calcistico.

Cosa dice di lui Guardiola

Due stagioni al Brescia, intervallate soltanto da un’annata in giallorosso (2002/2003) sono rimaste nel cuore e nella testa di Guardiola piuttosto che nel suo curriculum. Come ha più volte ricordato l’allenatore catalano, per lui Mazzone, il professionista capace di vedere sempre il positivo nel negativo (“Dicevano: Mazzone è il Trapattoni dei poveri. E io rispondevo: amici miei, Trapattoni è il Mazzone dei ricchi”) è stato uno degli allenatori più importanti per formare il Pep di oggi, come ricordato da lui stesso al quotidiano L’Équipe.

ARTISTA – «In Italia ho capito che una conversazione con un allenatore in seconda è più importante e soddisfacente di quella con un filosofo. Chi siede in panchina ha un mondo dietro, magari piccolo e sconosciuto, ma è un mondo, è come se venisse da un posto inesplorato, e parlandogli ti portasse in quel posto, dal quale torni necessariamente arricchito. Gli allenatori italiani trattano il campo come una tela, inquadrano lo spazio e lo dividono, difendono e conquistano sempre con estro. E Mazzone è uno di quelli».

Quell’invenzione con Pirlo…

Mazzone è passato alla storia anche come l’allenatore che ha saputo gestire Roberto Baggio e inventare Andrea Pirlo. Lo ha raccontato lui stesso al portale Operazione Nostalgia.

ANEDDOTO – «Pirlo è sempre stato un ragazzo serio, rispettoso, uno dei più puntuali ad arrivare ad allenarsi. Arrivò nel mio Brescia nel 2001, rischiava di finire tra i talenti bocciati del calcio italiano. Chiuso nel suo silenzio, di tanto in tanto provavo a scuoterlo: ‘Ahò, statte un po’ zitto che m’hai fatto ‘na capoccia così a furia de chiacchierá… Era il mio modo per dirgli di parlare, qualche volta. Volevo solo che fosse più loquace, che si esprimesse con la stessa disinvoltura che aveva quando era in campo ».

RUOLO – «Un giorno gli dissi: ‘André, non te la prendere ma ti devo cambiare ruolo, io voglio accrescere la qualità del nostro gioco perché hai i piedi buoni. Nel calcio conta la qualità, ma hai anche senso tattico, sai come ti devi muovere. Finora hai fatto la mezza punta, adesso ti chiedo di cambiare posizione, farai il playmaker davanti alla difesa, il regista arretrato…‘ Pirlo rimase lì ad osservarmi con aria perplessa e mi disse: ‘Mister, ma così io finirò per fare pochi gol’. Io gli risposi: ‘Andrea, fidati di me. Tu sei un giocatore che deve dirigere il gioco, non puoi stare con le spalle rivolte alla porta come un attaccante, tu sei come uno che ha la vista perfetta e invece vorrebbe tapparsi gli occhi, e nun te preoccupà, vedrai che qualche gol lo farai anche tu e con questa posizione entrerai nella storia del calcio».