Su una spiaggia di Mykonos, alle 11 di mattina, non c’è molto da cercare. Bottiglie, orecchini, divanetti che si riposano in attesa che i ragazzi si sveglino e tornino a ballare. Ci sono tutte le carte in regola per rilassarsi, finalmente. Non ci trovi tante persone, il bagnasciuga è sgombro e i locali raccontano la serata della notte prima.
E poi ci siamo io e Steve.
L’ho chiamato quando è finita la stagione: «Devi aiutarmi ad andare a mille il prossimo anno». Ha accettato la sfida ed è partito insieme a me per la Grecia. Una vacanza scandita da due allenamenti: quello della mattina e quello del pomeriggio. Nel mezzo mare, divertimento e riposo. Dietro ai miei gol di questa stagione, c’è il cambio di mentalità che ho maturato in quei giorni. Mi alzavo dopo essermi assicurato il giusto riposo, e dopo una corretta colazione andavo in spiaggia. Indossavo il paracadute e correvo controvento, per fare forza. Avevo appena perso un anno. E un calciatore ha gli anni contati.
Mentre Steve mi incitava e il vento mi sbatteva in faccia, tra un esercizio e l’altro, tutto sporco di sabbia, pensavo alle parole di mia madre di qualche settimana prima: «Mbala, non devi preoccuparti. Hai perso un anno? Hai segnato solo 2 gol? Che problema c’è, hai la carriera davanti».
Per molti, Mykonos rappresenta il luogo della perdizione. Per me, invece, rappresenta il posto in cui Nzola ha iniziato a carburare. Cercavo risposte da me stesso e non le trovavo dove le avevo sempre cercate. Avevo terminato la stagione spompato, quasi rassegnato. Ma dopo l’ultima partita, c’era stato un reset totale.
Basta, mi riprendo.
Dopo gli 11 gol all’esordio in Serie A, quell’unica doppietta all’Atalanta era stato il solo acuto del passato campionato. Nel mezzo ci ho messo tanti errori personali che ho scelto di cancellare. Non sono una persona che ama rispondere con le parole. Mi sono chiuso nel mio silenzio, incassando. Dentro, però, avevo un vulcano, e l’unico metodo valido era quello di dimostrare concretamente chi sono. Non a me stesso, ma agli altri.
Io, già dopo i primi 6 mesi in C alla Virtus Francavilla, pensavo di essere da Serie A. Ci ha pensato il tempo a farmi tornare con i piedi per terra. Da adolescente, in Francia, saltavo la scuola per andare a giocare a calcio. Rigorosamente con le scarpe, quelle buone, e mia mamma mi urlava dietro che si sciupavano! Mi piaceva troppo sfoggiare i miei abiti. Consumavo continuamente la suola perché praticavo il futsal e utilizzavo solo quella. I miei allenatori hanno dovuto lavorare molto con me perché giocavo esclusivamente così.
Per me all’epoca era solo divertimento. Perché nella mia testa mi ripetevo: «O divento un calciatore professionista, o faccio il pompiere». O arrivo in alto, o cambio lavoro. Non voglio giocare in Serie D o nelle altre categorie dilettantistiche. Ho una stima infinita dei pompieri e della loro professione. Anche oggi, il tarlo mi è rimasto: quando smetterò con il calcio, proverò a fare del bene. Magari divento proprio un pompiere ahah!
Il momento in cui sono stato più vicino a mollare tutto è stato su un treno diretto a Francavilla, in Puglia. Mamma mia, avevo fatto una marea di provini. Riavvolgo il nastro: sono nato in Angola e cresciuto in Francia. Del mio paese natale, Buco-Zau, non ricordo molto. Sono maturato nelle periferie francesi, dove perdersi è un attimo. Cosa mi è rimasto di quel retaggio? Non lo so. Sono andato al Troyes che ero un ragazzino, ho fatto perfino un provino al Crystal Palace. Il primo di una lunga serie. Ovunque andavo, mi dicevano di no. Il mio procuratore, Didier Pingisi, mi fece avere un’occasione con la Cremonese: giocammo il Trofeo Dossena, ma anche lì niente. Ne ho fatti di test, tanti. Alla fine sono andato in Portogallo, all’Académica. Segno all’esordio, in coppa, contro il Porto. Avevo 18 anni, per me non c’era spazio. L’anno successivo scendo in terza serie, sempre in Portogallo. Fermata: Sertanense. Segno, ma la società non è a posto economicamente. Riparte il giro dei provini. Mi rifiuta anche il Perugia. Ero esausto, il posto giusto per Nzola sembrava non esistere. Da nessuna parte. In Italia o altrove. Dissi: «Basta, torno in Francia».
Il mio procuratore mi telefonò: «Mbala, fermo. C’è l’ultima occasione. Si chiama Virtus Francavilla, sono riuscito ad avere un provino». Partimmo in treno: 7 ore di viaggio, infinite. Io ero demotivato, lui mi disse: «Questa è la tua prima finale di Champions League». Ci fermavamo di continuo, in ogni paesino sulla costa. Il tempo non passava mai, le ansie mi salivano a gola. Non per la prestazione che avrei dovuto fare, ma per la sensazione di sconforto che mi tenevo dentro.
Sarei tornato in Francia, a fare chissà cosa.
Quel giorno, la Virtus giocava un’amichevole contro il Monopoli. A un certo punto, la gara venne interrotta. Pioveva, ma niente di che.
Quel giorno, sugli spalti, c’era un uomo: Stefano Trinchera. Era il ds di quella squadra, oggi è al Lecce.
Non ho mai capito cosa sia successo fino a qualche settimana fa, quando proprio su Cronache ho letto la sua intervista. Come vi raccontavo, non pioveva troppo. Lui mi vide, rimase folgorato. Per paura che ci fossero altri scout sugli spalti, con la scusa dell’acquazzone entrò in campo e convinse l’arbitro a interrompere tutto. «Piove troppo», ma non era vero. Chiamò il presidente Magrì, che era in vacanza, pregandolo di tornare e firmare il mio contratto.
Accadde tutto in poche ore. Io ricordo solo che era un sabato ed ero scoraggiato. In confusione, ma era la svolta.
Se adesso posso raccontarvi di quella spiaggia a Mykonos, il merito è anche di chi ha fatto di tutto per migliorarmi. Innanzitutto, Antonio Calabro, l’allenatore che ho avuto alla Virtus e poi al Carpi. Tecnicamente c’era tanto da fare. Non perse tempo. Mi mise davanti al muro e mi disse: «Se imparerai a usare il piede destro, non sarai da Serie C, ma da Serie A». Prima e dopo allenamento: controllo, tiro, muro, controllo, passaggio, muro.
Fu lui a volermi a Carpi. Quando firmai, ero convinto di essere da A. E invece non ero pronto nemmeno per la B. Fu un disastro e tornai indietro.
In prestito a Trapani. La svolta, ancora.
Con Vincenzo Italiano: «Devi smetterla di correre a giro per il campo e sprecare energie». Appese nello spogliatoio una scritta: «Nessun limite, solo orizzonti». Vedere l’obiettivo Serie A non era più così complicato. Alla Virtus Francavilla avevo preso 8 giornate di squalifica per una reazione sbagliata. A Carpi stavo fuori. E a dir la verità, anche a Trapani inizialmente il campo lo vedevo poco. Andavo da Italiano e gli dicevo: «Cavolo, è la Serie C e non gioco?». Mi chiedevo se fossi scarso, non riuscivo a capire. Ma quei mesi mi hanno fatto maturare: presi coscienza del fatto che non fosse tutto dovuto, dovevo faticare e lavorare per avere un posto in squadra.
Tornavo a casa e pensavo al gol perfetto. Da segnare in Champions League, davanti a mia mamma e altre 50mila persone. Ecco, solo quel giorno mi sentirò soddisfatto e arrivato. Non voglio mollare un centimetro. Nella scorsa stagione ho segnato solo 2 gol. Ero diventato triste, mi sono lasciato andare pensando già a quella che stiamo vivendo. Mi sono affidato a una nutrizionista: mangio bene, riposo altrettanto bene. Dopo ogni partita mi si chiude lo stomaco per l’adrenalina e non faccio abbuffate. Un piccolo salto, in tal senso, lo avevo fatto già quando sono arrivato allo Spezia. Ora ancor di più. Mentalmente sono al passo.
Era necessario che capissi tante cose. Gli allenatori e i miei compagni mi ripetevano che sono forte, che vedono negli occhi dei difensori avversari il timore di affrontarmi. Io non me ne sono mai accorto. A Francavilla, aizzavo i difensori provocandoli. Ora sono schivo in campo: resto sul pezzo, non parlo, non mi distraggo. Non ho mai chiesto una maglia e mai la chiederò.
Ho capito che per M’Bala Nzola la storia stava tornando sui propri binari il 6 agosto 2023, circa un mese dopo la spiaggia di Mykonos. Esordio stagionale, in Coppa Italia contro il Como. Verso la fine del primo tempo un pallone si impenna, Bourabia di testa lo smista per Gyasi. Sa che ho il difensore addosso, con un colpo di tacco senza guardare manda il pallone sopra le nostre teste. Faccio finta di prendere posizione per controllarlo, ma in realtà è una finta per smarcarmi e correre alle spalle dell’avversario. Tocco sotto, gol.
Raddoppio su rigore. Eccomi. Ero tornato. Quando vedo tutto negativo, riesco a spronarmi.
Negli ultimi mesi ero rimasto a casa a ragionare. Incassavo perché era il solo modo con cui riuscivo a sentire il fuoco dentro. Non vedevo l’ora che la passata stagione finisse per riazzerare tutto. Ero bloccato mentalmente, come se sentissi il bisogno di ripartire da capo, da un foglio bianco. Ecco, sì, un foglio bianco, il primo di un quaderno sul quale prima non era stato scritto niente. Finalmente, dopo Mykonos, ho capito che M’Bala era l’unica persona ad avere la penna giusta per riempire quelle pagine.