Infanzia tosta, presente da star: Michail Antonio è la storia del West Ham

by Francesco Pietrella

Lo chiamano «la Bestia» ma non si incazza mai. Solo una volta. Aveva 14 anni e incassò il primo gancio destro dalla vita. Colpa di sua madre. Michail Antonio era un esterno veloce e forte del Tooting, squadretta del Sud di Londra. Uno scout del Tottenham lo notò in un match e lo riferì a un paio di persone: sua madre e il suo coach, che glielo disse a bassa voce. 

Il gran rifiuto di mamma

«Ti vogliono gli Spurs, continua così». Michail era così ‘geloso’ del segreto che non ne parlò neanche coi compagni, ma a parlare fu la madre. Erano in auto, dopo l’allenamento, cielo grigio sopra sogni rosei. «Ho saputo del Tottenham. Beh, non ci vai». «Ma come? Perché? È il mio sogno». «Devi studiare. E poi è troppo lontano». Michail sarebbe tornato a casa a mezzanotte. «E i compiti? La scuola? Non ci vai. Punto». E il treno salta la fermata. La bestia aspetta, si allena, dà spettacolo, segna qualche gol in Non-League a 17 anni e alla fine arriva il Reading. A quel punto mamma alza le mani. 

A tutta fascia, sempre

 Il viaggio di Michail è iniziato da un ‘no’ che sa di sliding doors e da una genitore severo. Oggi continua in Premier da miglior marcatore della storia del West Ham, 57 gol in sette stagioni. Meglio di Paolo Di Canio, leggenda degli Hammers. Antonio l’ha superato qualche tempo fa, entrando nel mito di forza e potenza, come sa fare da una vita. Uno dei giocatori più sottovalutati della Premier, un Adama Traoré con meno bicipiti e più tecnica. Intelligenza tattica. Per il West Ham ha giocato ovunque: esterno a tutta fascia, ala d’attacco a destra e a sinistra, perfino… terzino. Slaven Bilic lo faceva giocare lì perché «uno con quel fisico può coprire tutta la corsia». A Michail non è mai piaciuto, ma gli è servito. 

Infanzia tosta

Sacrificio. Occhi bassi. Lo chiamano la Bestia, sì, ma dentro di sé ha chiuso ricordi che graffiano il cuore. Antonio è cresciuto nel Sud di Londra, a Earlsfield. Ha visto morire amici accoltellati, spari tra gang, ragazzi finiti in carcere e usciti dieci anni dopo. Ha raccontato al Sun di «aver visto tutto». Due parole ripetute per tre volte, come fossero frammenti di vetro ancora incastrati vicino al cuore. «La mia scuola aveva tre bande. Sono un ragazzo forte e sono cresciuto combattendo». Si vede anche in campo, quando si fa largo tra i difensori tosti prendendo calci negli stinchi, senza cadere mai. Quest’anno ha già segnato 9 gol in 19 partite. Prima di imporsi in Premier League ha girato parecchio nelle serie minori: Championship con Nottingham Forest, Reading e Sheffield Wednesday, terza serie con Cheltenham, Colchester e Southampton, fino agli Hammers. Acquistato nel 2016 e diventato bandiera piano piano, con pazienza. 

Diploma e università

Oggi gli anni sono 31, i gol quasi 60, le presenze più di duecento, il ‘grazie’ uno solo. Per sua madre. Il gran rifiuto al Tottenham ha permesso al figlio di diplomarsi e avere perfino un’alternativa al Dio pallone: «Se non avessi fatto il calciatore avrei fatto l’insegnante di educazione fisica nella mia scuola, poi sarei andato all’università». Alla fine ha vinto il talento. Dopo una vita ad aspettare l’Inghilterra e due convocazioni senza mai giocare, Michail Antonio ha scelto la Giamaica per via delle origini dei genitori. Mamma e papà sono di lì, sbarcati a Londra anni fa. Fin qui ha segnato 2 gol in 3 partite. «Mi sono emozionato come un bambino». Dategli la ‘bella’ e anche la ‘bestia’ si commuove.