Okaka: «Ancora mi chiedono del tacco di Roma-Siena. Al Ravenna ne ho fatti due»

by Alessandro Lunari

Se negli ultimi due anni avevate perso traccia di Stefano Okaka era più che lecito. Dopo l’esperienza all’İstanbul Başakşehir, conclusa nel 2023, aveva deciso di fermarsi: «Dopo 20 stagioni di agonismo, ho sentito il bisogno di staccare e stare con la mia famiglia. Ma volevano che mi ritirassi in campo e alla millesima volta che me l’hanno detto, ho iniziato ad allenarmi».

Per questo in estate Stefano ha accettato l’offerta del Ravenna, in Serie C: «Ho sentito quanto mi volessero il ds Mandorlini e il presidente Cipriani. Ho riniziato ad allenarmi, ho avuto buone sensazioni e così mi sono aggregato alla squadra per questa stagione». Il futuro, poi si vedrà.

 

Quel gol di tacco come marchio di fabbrica

Con il Ravenna, in testa al Gruppo B, ha già segnato 5 gol in 15 partite. 2 di questi li ha fatti col tacco: «Un gol promozione di tacco? Li ho già fatti, sono finiti i bonus. Ma andrebbe bene anche un calci di rigore».

Se dici Okaka e gol di tacco, la testa va a quel Roma-Siena del 31 gennaio 2010. Cross di Più, tacco di Okaka all’88’: «Istinto puro, nient’altro. Il contesto ha reso storico quel gol: io che sono cresciuto a Roma, De Rossi che esulta rincorrendomi e urlandomi ‘Ma che hai fatto?’… e poi l’Olimpico: raramente l’ho visto così. A distanza di 16 anni la gente ancora me lo fa rivedere».

Era la stagione con Claudio Ranieri in panchina, subentrato a Luciano Spalletti proprio un girone prima: «Il giorno dopo sono partito per il Fulham. Era tutto fatto già prima della partita, ma il mister una volta rientrati nello spogliatoio mi disse: ‘Ora faccio qualsiasi cosa per non farti andare’. I documenti però erano già partiti».

Con quel gol folle la Roma si prese il 1° posto in classifica: «Era l’anno in cui abbiamo perso lo Scudetto contro la Sampdoria di Cassano. Ad Antonio lo dico sempre: ‘Tutta colpa tua’». Con lui ha un rapporto speciale, instaurato al Parma: «Avevo discusso con la società ed ero finito fuori rosa. Ricordo che Cassano una sera mi chiamò per sapere qualcosa di più e il giorno dopo andò a parlarci. Gli sarò riconoscente per tutta la vita: il giorno dopo mi reintegrarono in squadra».

In carriera ha condiviso lo spogliatoio con Totti, De Rossi, Ozil, Cassano: «Antonio è stato un genio del calcio mondiale. Dovevate vederlo in allenamento. È nato per il calcio: uno dei migliori di sempre».

 

«Ero del Milan, ma la Roma disse ai miei: ‘Potrete vivere qui’»

La storia di Okaka con la Roma inizia nel 2004, ad appena 15 anni. Stefano aveva già lasciato la sua Castiglione del Lago per entrare nel settore giovanile del Cittadella, attirando poi l’attenzione dei top club: «Io ero praticamente del Milan. Non avevamo stampato il cartellino perché mancavano le fototessere, ma mi avevano detto: ‘Quando torni la prossima settimana completiamo tutto. Non sono più tornato».

Stefano e la sua famiglia si innamorano della Roma: «Il primo giorno ci accolse Bruno Conti. Ci mostrò tutto il centro sportivo: una volta visti bar e ristorante ho capito fosse il posto giusto per me. E poi avrebbero permesso alla mia famiglia di vivere lì dentro: cosa che oggi sarebbe impossibile».

Il classe ’89, di fatto, si trasferisce a Trigoria: «Mio padre ogni giorno si fermava a fare colazione con Totti, De Rossi, Cassano e Montella. Era la normalità per tutti. E poi spesso incontrava Spalletti: ‘Mister, come si comporta Stefano? È bravo’. Per me è come se fosse stato un secondo padre».

A quell’età qualche peccato di gioventù è concesso, ma Stefano si ricorda bene le reazioni del suo allenatore: «A 18 anni arrivai a Trigoria con un’auto molto costosa. Parcheggiai davanti all’ufficio di Spalletti. Mi vide: ‘Se ti presenti un’altra volta con questa, non giochi più’».

E non solo: «Una volta contro l’Atalanta mi mise in campo a pochi minuti dalla fine. Diciamo che non entrai col piglio giusto… ma il controllo antidoping e Vito Scala mi salvarono. Mi disse: ‘Non uscire da questa porta, se ti prende ti stritola’. Ancora oggi ci scherziamo».

Spalletti è stato il primo a dare fiducia a un giovanissimo attaccante. Con lui, Stefano gioca da titolare la finale di Coppa Italia persa ai rigori contro l’Inter: «Nessuno lo dice, ma ha creato un modulo che è passato alla storia. Ha reinventato Totti centravanti facendogli vincere la Scarpa d’Oro».

 

Il peso di un’etichetta

Nella stagione 2004/05 Okaka vince lo Scudetto con la Roma Primavera di Alberto De Rossi: «Ho segnato 20 gol e giocavo sotto età di 3 anni. Lì ho capito che avrei potuto fare qualcosa nella mia carriera».

Strappa la prima convocazione contro l’Udinese: «Fossi entrato sarei diventato il più giovane di sempre nella storia del calcio italiano». Lo diventa, invece, delle coppe europee debuttando in Coppa UEFA. Il 18 dicembre fa l’esordio a 16 anni in Serie A contro la Sampdoria, mentre nel settembre 2006 segna il 1° gol al Siena. Un continuo di intrecci e rimandi, come per tutta la sua carriera.

Ma il peso si sente: «A 15, 16 anni ero visto come uno dei migliori al mondo. Convivere con quell’etichetta è stato molto complicato. Dovevo sempre dimostrare di essere il migliore. Ho sentito il peso a una certa».

D’altronde il trattamento riservato ai nostri giovani non è sempre così soft: «Adesso i ragazzi arrivano a giocare in Serie A a 25-26 anni. Io ero lì a 16. La cosa che ho sofferto di più? Essere dato per finito a 21-22 anni. Rientravo a casa e dicevo: ‘Ma come? Ma in che senso? Sono all’inizio della mia carriera, come possono dire una cosa del genere?».

Pensateci è un po’ quello che è accaduto a Moise Kean: «Il calcio italiano ha questo problema: non accompagna i talenti. Non bisogna esaltarli per poi bruciarli. Serve farli crescere e programmare: altrimenti diventa un usa e getta e non va bene. All’estero è diverso».

Oltre che al Fulham e al Watford, Okaka ha giocato anche in Belgio, con l’Anderlecht: «Giocavamo in Champions League con Tielemans: a 17-18 anni aveva già giocato 100 partite. Non è che le facesse tutte bene, però lo sostenevano: era il bambino del club. Capivano l’età, ma vedevano il potenziale. C’erano anche Svilar, Praet, Lukebakio: gente arrivata in alto. Da noi ti prendono, ti portano su e ti abbandonano».

 

Il 7-1 di Manchester e le offerte di Milan e Inter

Fra le soddisfazioni che si è tolto in carriera, c’è anche una presenza all’Old Trafford. Anche se in una serata di per sé amarissima per la Roma: il 7-1 nei quarti di finale di Champions League 2006/07 contro il Manchester United: «Quella partita non la dimenticherò mai. Lì però ho capito la personalità e la leadership di certi campioni: in hotel ci siamo chiusi in camera di Totti o De Rossi. Ci dicevamo: ‘Ma che è successo?’. Senza fare drammi, ma eravamo tristi».

Una partita passata alla storia, da cui però la Roma fu in grado di rialzarsi arrivando poi a conquistare la Coppa Italia contro l’Inter: «Eravamo 7-8 del settore giovanile. Una situazione che non si ripeterà più. C’erano ovviamente De Rossi e anche Chivu: non pensavo facessero gli allenatori, ma per la personalità che hanno sono destinati ad arrivare al top. Sono ossessionati dal calcio».

Stefano, invece, è ancora in campo e al futuro non ci pensa. La sua vita è stata un film: «Sono partito da Castiglione del Lago: il mio obiettivo è sempre stato quello di dare un futuro migliore alla mia famiglia. I miei genitori facevano 2-3 lavori al giorno, hanno cresciuto me, mia sorella e mio fratello senza aver bisogno di parlare: i loro insegnamenti erano sotto i nostri occhi».

Sin da bambino, Stefano ha sentito il bisogno di provare a cambiare le cose: «In ogni famiglia c’è uno che prima o poi prova un’altra strada. Dovevamo uscire da quella situazione: non ne sentivo il peso, anzi: era il mio sogno. Se farò un film? È presto, devo aspettare la fine».

Ma la trama è più che avvincente e i colpi di scena non sono mai mancati, come quando era alla Sampdoria: «Arrivammo quasi a qualificarci in Champions League. C’erano Gabbiadini ed Eder. Io sono stato a un passo dal Milan, per la seconda volta nella mia vita. Poi si è messa di mezzo l’Inter di Roberto Mancini: io non avevo ancora firmato il rinnovo con la Sampdoria, ma sapevo che fra le due avrebbero voluto vendermi ai nerazzurri. Alla fine, però, sono rimasto incartato: lì qualcosa si è rotto con alcuni dirigenti».

Nella sua carriera Okaka ha vestito anche la maglia dell’Italia. Anche qui, esordio con gol contro l’Albania nel 2014: «C’era Antonio Conte: ho sempre sentito la sua stima. Come con Mancio. E quel gruppo poi mi voleva bene: c’erano Buffon, Bonucci, Chiellini, Marchisio».

 

L’amicizia con Pirlo in Turchia e il rapporto con De Paul

Dopo l’Anderlecht e il Watford, Okaka è tornato in Italia nel 2019, all’Udinese: «Venivano da 11 sconfitte di fila. Ricordo il nostro primo incontro: ‘Vediamo di risollevare la situazione’. Ma la squadra era molto forte: siamo stati insieme un paio d’anni, ma se non ci fossero state tutte quelle cessioni alla terza stagione avremmo potuto centrare l’Europa».

D’altronde in quella rosa c’erano il Tucu Pereyra, Muriel e De Paul. Qualità ovunque. «Muriel è un fenomeno assoluto. Ti lasciava a bocca aperta ad ogni allenamento. E poi mi ricordo di De Paul, quanto era timido all’inizio! Ricordo che un giorno sono andato da Behrami: ‘Ma chi è quel ragazzo?’. Mi rispose: ‘Lui è De Paul: è molto timido, non si è integrato, ma è davvero forte’. Quelle parole mi fecero riflettere così il giorno dopo gli parlai: ‘Amico mio, ora ci sono io qui! Vediamo di sistemare le cose. Era come se avesse bisogno di sentirsi appoggiato e accettato: da quel momento gli è scattato qualcosa ed è diventato il De Paul che tutti conosciamo».

Chiusa l’esperienza con l’Udinese, Okaka vola in Turchia: «Tutti mi davano del cog*ione: ‘Ma dove vai?’. Alla fine ho avuto ragione io. Il calcio turco è in crescita: con quei club non può non esserlo. Lì sono diventato anche vicino di casa di Pirlo, ora siamo amici. Dopo poco all’İstanbul Başakşehir mi hanno raggiunto Traoré, Biglia e Ozil. Ecco, lui è una leggenda. Un calciatore stellare».

Ora Stefano ha l’ultima grande missione della sua carriera: portare il Ravenna in Serie B. Con lui, c’è mister Marco Marchionni, ex compagno ai tempi del Parma: «Ama quello che fa e si vede. È stato bravo a ricostruirsi una sua routine: è la cosa più difficile quando smetti. Ora iniziamo il girone di ritorno, vediamo che succede». Ma basta, non chiedetegli altri gol di tacco.