La prima volta è stata quando avevo 10 anni. Abitavo a Banjul, la capitale del Gambia, dove sono nato. E con la mia famiglia ho assaporato il Ramadan. Fin da subito ho imparato a viverlo intensamente. Non come una condanna o una vetta da scalare, ma come una risorsa. Lo so: ai vostri occhi sembra una rinuncia che definirei enorme, invece no. Il Ramadan mi ha fatto sentire bene dal primo momento e ha continuato a farlo nel tempo. Adesso ho 28 anni e la religione è parte preponderante della mia esistenza. Io sono la mia religione. E ciò non significa che io preghi e basta. Sono musulmano e applico i suoi dogmi, metto in pratica i suoi insegnamenti. Ho iniziato da ragazzo e proseguirò. Sono felice così, mi fa stare bene.
Spesso le persone non conoscono davvero la nostra realtà. I musulmani sono coloro che professano la religione dell’Islam, e per noi musulmani andare a La Mecca è raggiungere l’apice della nostra fede. Il posto in cui tutto torna, in cui capisci davvero. Nel quale ti senti parte di qualcosa di concreto, che si assapora nelle strade della città dell’Arabia Saudita. È la nostra Città Santa. E io ho avuto la fortuna di visitarla. Posso dire che è il posto migliore in cui sono stato nella mia vita. Non immaginavo di vedere ciò che ho visto, non lo dimenticherò mai. Per noi è tutto, è anche ciò che tu preghi. Pregare ogni giorno per 5 volte è uno dei pilastri dell’Islam, e andare a La Mecca è un altro di questi. Devi farlo, ho incontrato tante persone lì, qualcuna che nonostante i pochi soldi a disposizione aveva intrapreso questa avventura, che chiamerei opportunità. Si chiama ‘Umrah, è il pellegrinaggio. Studi, realizzi e dici: «Qui c’è tutto quello che ho imparato nella mia esistenza».
Nel 2018 ci sono andato insieme al mio compagno al Genk, Mbwana Samatta, che oggi gioca nel Fenerbahçe. L’amico giusto con cui condividere il momento. Siamo due grandi credenti: abbiamo celebrato insieme anche alcuni gol, pregando, come quello in Europa League nel derby contro il Gent. La Sampdoria stava trattando il mio trasferimento con dirigenti e procuratori, e quel momento coincise con una delle fasi più importanti della mia carriera.
A febbraio ho incontrato il Papa. Lui è il capo dei cristiani: è stato un incontro che mi ha dato tanto, mi è piaciuto. Ho potuto toccare con mano l’altra parte, avendo contatti con una realtà diversa dalla mia. Ricordo quando il Papa venne in Gambia. Ero piccolo, da noi la maggioranza è musulmana ma ci furono grandi festeggiamenti. Era un evento, un’occasione per tutti. Li ringraziavamo per l’attenzione che ci stavano dando. Le strade erano piene di persone, le facciate delle case addobbate con striscioni per accoglierlo. Fa parte della religione: crediamo in qualcosa, ma siamo tutti uguali. E se crediamo in qualcosa, siamo davvero tutti uguali. Per me è stata pura felicità incontrarlo in Vaticano.
Ho portato in Italia la mia parte migliore, la parte migliore dell’Africa. Le lezioni che ogni giorno mi vengono donate dall’Islam, io cerco di trasmetterle nella vita. Prego prima e dopo le gare, mi reco nella moschea di Genova per sentirmi a casa. Non bevo, non fumo, e faccio tutto quello che mi viene richiesto. Le persone mi rispettano per questo. L’integrazione nel vostro Paese è stata perfetta. E poi avete il mare, se uno vuole il mare. La montagna, se un giorno scegli che vuoi salire in quota. E il cibo buono: quello sempre. Mi piace integrare la mia cultura con la vostra; così come amo la mia famiglia, quella della Sampdoria: uno spogliatoio multietnico e multiculturale, dal Giappone alla Norvegia, dalla Repubblica Ceca al Gambia.
Mi ritaglio 5 spazi al giorno per pregare, le giornate sono frenetiche ma trovo sempre il tempo per farlo. È molto importante per me. Anche se siamo in viaggio: cerco di tirare fuori il meglio di me, seppur in poco tempo. I miei compagni, durante il Ramadan, hanno cercato di informarsi, di comprendere. Qualcuno ha voluto provarlo per un giorno. Ma capirlo non è semplice: non si tratta di non bere, di non mangiare, quindi lo ṣawm, ovvero il digiuno. Mehdi Léris pratica anch’egli il Ramadan, abbiamo pregato insieme. Ci fa stare bene.
Devi dare sempre il 100% e pensare solo a quello. Il tuo corpo si adatta. Certo, il digiuno è un cambiamento, ma non è complicato trovare un equilibrio nella dieta. Già dopo 3 giorni ti sei abituato, è qualcosa che faccio per me stesso e, nonostante tutto, la mia vita è già in perfetta armonia tra dieta, riposo e gestione del mio fisico, sia per il lavoro che svolgo a casa, sia per ciò che faccio grazie allo staff della Sampdoria. Non è facile essere un calciatore durante il Ramadan, non puoi bere acqua per tutto il giorno, ma sai le motivazioni che ti spingono a farlo. Non devi essere impaurito, ma fare il meglio per te stesso e per il tuo corpo. Se segui l’Islam, si tratta solo di un mese. E poi dai, ho giocato bene durante l’ultimo Ramadan!
In Premier League hanno fermato la partita per permettere a Wesley Fofana del Leicester di bere. Io non ho avuto problemi quest’anno, soprattutto grazie agli orari in cui sono iniziate le partite contro la Roma e il Sassuolo. A fine primo tempo ho bevuto, senza esagerare, e mangiato una banana. Non ero stanco, neanche nella mia testa. Basta applicare un cambiamento che posticipa le attività tra il pomeriggio e la sera. Una nuova routine che mi dà maggiore energia. Bastano 4 giorni e il tuo organismo si adatta. Mi dicono: «Sei pazzo». No, questa è la mia vita. Corri come un folle, non ti fermi. E nessuno può dirti niente. Spesso lo staff mi chiedeva se stessi bene: «Mai stato meglio!».
La diversità delle nostre culture è ciò che le rende speciali. Rispettare le nostre diversità ci rende unici, ma le nostre differenze si azzerano se crediamo in qualcosa. Ho scelto di portare in Italia la mia parte migliore, la nostra parte migliore. E grazie a voi ho imparato a convivere con le vostre abitudini, a renderle mie. Non c’è cosa più bella.
Non importa da dove vieni, cosa possiedi, cosa non hai. L’unica cosa che conta è fissare un obiettivo e semplicemente sognare, lavorare sodo, vivere ed essere felice.