Il punto di partenza di questa storia è uno: nel calcio, come d’altra parte in tutto, non esistono scelte giuste o sbagliate in assoluto. Quello che può andare bene a uno può essere inconcepibile per altri, e viceversa. Ci sono calciatori che hanno giurato amore eterno a una sola maglia, e altri passati da una squadra alla diretta rivale come se niente fosse. C’è chi si è ridotto lo stipendio per andare incontro al proprio club, e chi ha puntato i piedi per ottenere un aumento. Alla base di tutto un principio semplice, che in molti tendono a dimenticare: le scelte di vita sono personali, e chi le fa deve sempre pensare – innanzitutto – al meglio per sé.
Detto questo, alcune decisioni fanno più rumore di altre, e Juve-Chelsea di ieri in Champions League lo avrà probabilmente ricordato a qualcuno. Per molti, infatti, la sfida tra bianconeri e Blues ha un nome ben preciso e un’immagine fissa nella mente: il primo è Oscar, la seconda è – metaforicamente – un lampo. Torniamo indietro: 19 settembre 2012, prima giornata di Champions. Un brasiliano di 21 anni è da poco arrivato a Stamford Bridge dall’Internacional di Porto Alegre. È alla prima gara nella massima competizione europea, ma ha una bacheca già abbastanza piena, con anche un Mondiale Under-20 con la nazionale deciso con una tripletta in finale. È uno dei talenti più in vista del calcio mondiale, tanto che Abramovich per assicurarselo deve sborsare 25 milioni di euro.
È alla prima in Champions, dicevamo, ma non sembra: perché nel Chelsea campione d’Europa lui ci entra alla perfezione e in due minuti, tra il 31’ e il 33’, ne fa due: prima con un tiro da fuori sporcato da Bonucci che beffa Buffon, poi con uno dei gol più belli della storia recente della competizione. Ashley Cole è sulla trequarti, Oscar gli detta il passaggio e il terzino inglese esegue immediatamente. Ora però il brasiliano ha un problema: da un lato c’è ancora Bonucci, dall’altro Pirlo. È circondato, non ci sono vie di uscita. E invece: senza nemmeno pensarci se la porta di tacco verso il centro, aggira il centrocampista bianconero e la piazza sotto la traversa per il 2-0. Ci vuole più tempo a leggerlo che a guardarlo, perché il tutto avviene alla velocità della luce. Un lampo.
Oscar è joga bonito puro: giocate di suola, tunnel, no look anche non necessari, cambi di gioco d’esterno. È allegria, e ogni esultanza bailada con David Luiz lo dimostra. Anche in un calcio fisico come quello inglese lui domina di pura tecnica, e da giovanissimo entra subito nelle rotazioni della Seleçao. C’è solo il suo nome nella serata più nera del calcio verdeoro, quell’1-7 subito dalla Germania nella semifinale dei mondiali casalinghi del 2014: l’unica rete brasiliana del Mineirazo è sua, luce solitaria nel buio pesto. Poi però il buio, quello dell’oblio, avvolge anche lui: perché a gennaio 2017 lo Shanghai gli offre 24 milioni a stagione e ne mette 60 sul piatto del Chelsea. Il brasiliano ha 25 anni, in prospettiva almeno altri 5-6 al top della forma, può lottare per vincere i trofei più importanti e per imporsi come uno dei migliori al mondo nel suo ruolo. Ci pensa, forse giusto il tempo per cercare una penna, e su quel contratto ci mette la firma.
La sua è letta come una scelta apripista, come l’inizio di una migrazione di massa verso Oriente: la Cina ha scoperto il pallone e vuole comprarselo a colpi di yuan. Non sarà così: suo compagno di squadra diventa Hulk, nel Paese (prima e dopo l’arrivo del brasiliano) andranno anche vecchie conoscenze del nostro calcio come Pellè, Eder, Gervinho, Arnautovic ed El Shaarawy, ma il calcio lì non sfonda. E di Oscar si perdono le tracce: nessuno lo cerca più, anche perché quell’ingaggio è fuori dalla portata di chiunque. I ct Dunga e Tite lo ignorano, e la sua carriera in verdeoro finisce in silenzio, nell’indifferenza. Tutti si chiedono perché un giocatore dal grandissimo talento abbia deciso di sacrificare una carriera di altissimo livello a soli 25 anni. La risposta la darà lui stesso in un’intervista ad As: per i soldi. «Tutti quelli che decidono di andare in Cina lo fanno per guadagnare molto e aiutare la propria famiglia. Molti mi criticano, ma io non voglio vivere di ricordi. Io vengo da un contesto di povertà, in Brasile non avevamo niente. Non voglio essere povero quando sarò vecchio». E ora provate a dargli che ha sbagliato, scegliendo la Cina.