Paramatti e la paura della guerra in Israele: «Vedevo missili esplodere, sentivo bombe. Sono andato via ma ora sono senza squadra»

by Cosimo Bartoloni

Andiamo dritti al punto. Lorenzo Paramatti, difensore classe 1995 figlio di Michele (ex Bologna e Juventus), cresciuto nei settori giovanili di Inter e Bologna, aveva iniziato la stagione 2023/2024 al Maccabi Petah Tiqwa. Prima divisione in Israele. Il resto lo racconta lui ai microfoni di Cronache di spogliatoio: «La sera del 6 ottobre ero a casa. Guardavo la partita dei Mondiali di rugby tra Francia e Italia. Sono andato a dormire tranquillo. Il 7 mattina mi sono svegliato con il rumore di una sirena di un allarme e dai mille messaggi di compagni e dirigenti che ci dicevano di stare tranquilli, non preoccuparsi e di stare in casa perché in Israele stava succedendo qualcosa che non era mai successo fino a quel momento». Angoscia: «A quel punto mi sono preoccupato. Non capivo», prosegue Paramatti. «Quando arrivai mi fu detto che se avessi sentito missili non mi sarei dovuto preoccupare più di tanto perché sarebbero stati quelli di Hamas e che la contraerea israeliana li avrebbe annullati. Quella volta però fu diverso, era una cosa grave».

Paramatti: «Mai sentito nulla di simile»

Inquietudine: «Nel giro di qualche ora la notizia era arrivata in tutta Europa: Hamas era entrato in Israele. Nel giro di tre ore sono state annullate tutte le partite di quel weekend. In un secondo momento, ho capito che quell’allarme erano le sirene che avvertivano i cittadini di correre nei bunker». Il racconto di Paramatti continua: «Dopo aver realizzato, guardando fuori dalla finestra ho visto i missili di Hamas e la contraerea israeliana che li intercettava in cielo e esplodevano. Era qualcosa di forte e incredibile. Non avevo mai sentito una roba simile e mai avrei immaginato di sentirla. Mi saliva la paura. Era una situazione nella quale non mi ero mai trovato. Io vivevo anche vicino al secondo ospedale più grande di Israele. Era un via-vai di feriti. In strada c’erano persone armate. In più, tutti gli amici, la famiglia e la ragazza continuavano a riempirmi di messaggi e chiamate».

Paramatti: «Maccabi Petah Tiqwa, società impeccabile»

Soluzioni immediate: «La società, dopo diverse ore, ha contattato tutti i suoi giocatori stranieri, tra cui il sottoscritto. Ci hanno chiesto se volessimo tornare nei nostri Paesi perché la situazione era critica. Ovviamente gli ho detto di sì. Da quel punto di vista la società è stata impeccabile. Nel giro di qualche ora ci hanno trovato i voli. L’8 mattina siamo ripartiti e sono arrivato in Italia. La Farnesina mi contattò il giorno dopo chiedendomi se volevo tornare. Gli dissi che ero già in Italia e rimasero increduli». Per Paramatti sospiro di sollievo. Almeno per un po’.

E ora?

«La federazione ha sospeso il campionato fino al 2 dicembre. A quel punto, da contratto, siamo dovuti tornare per riprendere a lavorare. Io ero in contatto con gli altri stranieri: eravamo tutti nella stessa situazione. Avevamo ansia e paura di tornare, compresa quella di tutti i nostri familiari. Così molti di noi sono tornati ma poi hanno deciso di rescindere e sono ripartiti da altre squadre. Io invece avevo già iniziato la stagione a Craiova e non potevo cercare un’altra squadra per chiudere la stagione perché, per regolamento FIFA, un giocatore non può svolgere una stagione calcistica con tre maglie diverse. Non mi è stato concesso il terzo trasferimento in deroga e non ho avuto la possibilità di poter andare ovunque volessi. Potevo scegliere di andare solo in alcuni Paesi in cui la stagione inizia e finisce entro l’anno solare, come Cina, USA, Giappone, Finlandia, Georgia ecc.. Quindi sono tornato in Israele, in piena guerra, ma dopo qualche settimana ho scelto di svincolarmi e andare via definitivamente. Ora però sono senza squadra, ma non me la sentivo di restare ancora lì in quella situazione veramente critica, con tanti attentati. La mia vita è troppo più importante».

La pistola del massaggiatore e il mitra del match analyst

La situazione in Israele, a tratti, era surreale già prima dell’invasione di Hamas: «Una volta stavo facendo un massaggio. Vidi il fisioterapista con una sporgenza nella maglia. Gli chiedo: ‘Cos’hai lì?’. E lui: ‘Una pistola’. All’inizio credevo fosse uno scherzo, poi me la fece vedere. Era così: per sicurezza si doveva tenere una pistola. Altra cosa: il nostro match analyst era stato chiamato per andare in guerra. Una volta terminato un servizio a Gaza, ci raccontò che mentre stavano perlustrando un edificio, quello accanto fu fatto esplodere da Hamas. Si presentò al campo vestito da militare, con un mitra enorme che neanche nei film di Rambo avevo mai visto. Era una situazione veramente paradossale».

Paramatti in cerca di uno sbocco

Lorenzo non ha perso i contatti dei suoi ex compagni del Maccabi: «La situazione ora lì sembra più tranquilla. Ho parlato con miei ex compagni israeliani, ma anche loro mi dicono che stanno continuando a far fatica a uscire. Gli attacchi terroristici sono sempre dietro l’angolo. Resta una cosa pesante. In giro per le città ci sono gli annunci delle persone rapite da Hamas. È una cosa angosciante».

Paramatti ha scelto la tranquillità. Per sé stesso e per i suoi cari: «Non me ne pento neanche un secondo. Però ora sono svincolato. Sto continuando ad allenarmi e sto benissimo, sia fisicamente che di testa. Posso firmare solo per alcuni Paesi nei quali i campionati iniziano e finiscono entro l’anno solare, tipo USA, Cina, Giappone o altri Paesi del Nord Europa. Alcuni club mi hanno chiamato, ma le trattative non sono andate in porto. Siamo a marzo e non è facile trovare una squadra con un buon progetto in un buon contesto, perché andare all’estero significa andare a vivere da soli, lontano da amici, famiglia e ragazza. Quindi vorrei qualcosa di stimolante. Non è facile».

Per giocare in Italia, comunque, Paramatti è disposto anche ad aspettare: «Da domani posso firmare anche per la prossima stagione. Non ho nessun tipo di problema: mi basta un bel progetto. Mi piacerebbe tornare a giocare in Italia: a 29 anni con tanti anni all’estero, in prima divisione rumena e israeliana con e contro squadre e giocatori di un certo livello, penso di aver acquisito l’esperienza giusta. Voglio dimostrare il mio valore qui. Ho tanta voglia».

La sliding-door della carriera di Paramatti

Ecco, fermi un attimo. Perché la carriera di Paramatti ha avuto un attimo che ha segnato un prima e un dopo, ossia un contrasto di gioco che ha fatto sterzare il suo percorso: «Nel luglio 2014 il Bologna mi prese dall’Inter per la stagione 2014/2015 in Serie B. Sarebbe stato il mio primo anno tra i professionisti. Il secondo giorno di ritiro estivo a Sestola, durante la prima partitella, anticipai Paponi, un mio compagno di squadra, ma mi cadde sopra la gamba. Mi infortunai gravemente al ginocchio. Da lì è iniziato il mio calvario. Mi operai e persi tutta la stagione della promozione in Serie A. Fu un treno perso che ha cambiato la mia storia. Oggi la vedo come un’esperienza di vita che mi ha aiutato a essere forte. E poi mi ha fatto vivere importanti, tipo quella a Craiova che mi ha aiutato a crescere. Lì mi sono divertito e ho vinto un campionato [di seconda divisione, ndr]. Se cammino per strada da quelle parti oggi tutti mi riconoscono. È bellissimo». Da ogni storia, anche se brutta, nasce sempre una nuova possibilità. Come adesso. Magari il calcio italiano tornerà ad accoglierlo e Paramatti esaudirà il suo nuovo sogno. Ma è disposto anche a continuare a fare nuove esperienze e viaggiare. Lontano, però, da quei rumori e quelle immagini che ci auguriamo che nessuno continui a vedere o sentire.