La mattina del 30 ottobre 1978 a Quilmes, zona sud di Buenos Aires, non dormiva nessuno. Il club locale aveva appena vinto il Torneo Metropolitano, primo e unico titolo nazionale a livello professionistico. Le strade erano piene di coriandoli, che da quelle parti si chiamano papelitos e si erano cominciati a vedersi da qualche anno anche negli stadi, per colpe delle birre.
Genesi di una moda
Non è un caso che la più famosa birra sudamericana abbia lo stesso nome di quella zona, perché lì viene prodotta. Durante una trasferta a Juanin nel 1961, come riportano diverse fonti locali, un gruppo di tifosi dei cerveceros staccò le etichette delle loro Quilmes per lanciarle in campo, insieme ad altre prese dal magazzino. L’idea piacque tanto e l’azienda, quando decise di cambiare logo, regalò ai fans 90 milioni di etichette in eccesso. Come raccontato in Storie d’ordinaria Argentina, il 19 agosto, durante un derby contro il Banfield, dagli spalti scesero sul campo oltre due milioni di fascette. Una tradizione riproposta anche nelle settimane successive, contro Platense e Newell’s Old Boys. La birreria fu multata per pubblicità abusiva, ma la moda aveva preso piede.
Nei mesi successivi, infatti, l’usanza cominciò a diffondersi anche in tutti gli altri stadi argentini, in modo sempre più organizzato. Venivano create delle strisce più lunghe, realizzate anche con la carta igienica. I papelitos cominciarono a vedersi anche nelle partite della nazionale, tanto che nel mondiale casalingo del 1978, nello stesso anno in cui il Quilmes vinse il suo unico campionato, ogni partita della seleción di Menotti veniva accompagnata dal lancio di milioni di pezzetti di carta. In occasione della finale contro l’Olanda, furono talmente da tanti da rimanere in campo per tutta la durata del match. Era la consacrazione di una tradizione che ancora oggi è un must dei prepartita argentini. E pensare che tutto nacque da una etichetta di birra lanciata un po’ per caso.