Petricciuolo, l’autista di tram che vestiva l’azzurro: «Quando fermai Spinazzola…»

by Francesco Pietrella

Il rumore dei piatti che toccano il lavandino. L’acqua che lava via lo sporco. Un po’ di musica. La quotidianità di casa Petricciuolo racconta il suo presente. Qualche anno fa gli scarpini a sei tacchetti graffiavano il parquet, il fango dei calzettoni macchiava gli altri panni. Oggi il borsone è impolverato nell’armadio, le scarpe da calcio in una cesta, sostituiti da un cartellino bianco fissato su un completo blu. «Simone Petricciuolo, dipendente ATM, autista di tram». 

Contro Spina

Lui che ha giocato una partita con l’Under 17 azzurra contro la Germania. Lui che ha marcato Spinazzola in un Atalanta-Avellino di Coppa Italia del 2014, senza fargli toccare palla. «La Gazzetta mi diede 6,5, conservo ancora il giornale». Lui che ha detto basta col professionismo a 23 anni, con molti rimpianti, e oggi guarda San Siro da lontano. «Ogni tanto ho un po’ di nostalgia. Non sono mai stato un fenomeno, ma un calciatore bravo sì, terzino di spinta e corsa, e quando vedo alcuni coetanei giocare in Serie A dico ‘cazzo, potevo esserci anche io’. Ne ero sicuro. Alla Roma ero con Lorenzo Pellegrini e Simone Verde. A volte li saltavo io, altre loro. Ho giocato una partita in Nazionale, quindi forse non ero così scarso». 

Autista di tram

Simone ha chiuso col professionismo un po’ di estati fa. Oggi ha 26 anni e si è reinventato autista. Come suo nonno: «Quando ero un bambino guidava pullman». Vive a Milano da solo, si è trasferito a settembre, aspetta la fidanzata. Esce la mattina presto e torna il pomeriggio: «Per guidare i tram ho fatto un corso di tre mesi, non prima di aver preso le patenti superiori. È una cosa che mi ha sempre incuriosito. Pensa che durante le trasferte, quando andavamo in pullman e c’erano manovre da fare, chiedevo all’autista come facesse a restare così calmo. Era destino». Il nuovo impiego lo rende fiero, il calcio nostalgico. Quando ne parla si intuisce che la cicatrice è ancora profonda: «Sono successe un po’ di cose». Di alcune non parla, di altre sì. E alla domanda sul perché abbia detto basta così presto risponde secco. «Poche motivazioni. A volte ho visto passarmi avanti la qualunque, calciatori che portavano lo sponsor…». 

Top 11 del Viareggio

Napoletano doc, Simone ha iniziato a divertirsi alla Mariano Keller, scuola calcio molto quotata. Poi il Bari e la Roma. «Mi notò Bruno Conti in un torneo, ho fatto un anno con l’Under 17, poi mi hanno mandato alla Juve Stabia per giocare in Primavera sotto età». Progressioni e falcate a cento all’ora, prima della Serie D a Torre Annunziata con il Savoia. Squadra forte, 30 partite a 18 anni, assist a pioggia, poi tre presenze nel Torneo di Viareggio con la Rappresentativa di Serie D: «Segnai all’Atalanta di Caldara. A fine evento finii nella Top 11 con Petagna e Jordan Lukaku. Mi volevano diverse squadre. Palermo, Pescara, Avellino. Scelsi i verdi in Serie B». È il 2014. I primi mesi, con Rastelli in panca, Simone gioca qualche partita e si fa notare. «Contro l’Atalanta in Coppa feci un figurone. Perdemmo 2-0, ma Pierpaolo Marino a fine partita mi fece i complimenti». Arriva perfino la chiamata della Nazionale U20. «Nota dolente questa». 

Delusione

Come mai? «Ero in forma, mi stimavano, ma a gennaio l’Avellino mi manda in prestito all’Aversa Normanna in Serie C. Il giorno dopo aver firmato mi dicono della Nazionale. Strano. Di solito si sa prima, al club arriva la pre convocazione. Va così. In quei due anni faccio la trottola, a gennaio dell’anno dopo finisco un’altra volta in prestito, stavolta a Melfi. Gioco poco, situazioni strane, persone che scompaiono. Gli stessi che mi dicevano ‘sei forte, sei un fenomeno’ e cose così. L’intera storia mi delude, nei due anni successivi gioco così poco che nessuno si ricorda più di Simone Petricciuolo. Mi chiedevano solo cosa avessi fatto l’anno precedente, così a gennaio 2018 scendo di categoria e vado alla Sarnese in Serie D. A 23 anni ero il secondo più ‘anziano’ della squadra, la più giovane della categoria. A fine anno ci salviamo. Una bella esperienza, davvero».  

Impiegato

Ormai il treno è passato. «In C non mi chiama nessuno, così giro. Anzio, Puteolana, un po’ di Eccellenza. A un certo punto ricevo un’offerta dalle Poste Italiane e accetto. Mi sono fatto un anno da impiegato. Ormai il calcio non era più un lavoro, ma solo passione e divertimento. Qualche anno fa ho scritto un post su Facebook e mi hanno scritto in centinaia. Madri, padri, giovani calciatori. Invece di farmi 10 anni in Serie D ho scelto di costruirmi qualcosa». E quindi eccolo lì, a Milano, cappotto scuro e occhiali da sole. Davanti al suo tram. «Qualche rimpianto ce l’ho. Forse sono stato sfortunato, di sicuro ho sbagliato a buttarmi giù, ma il sistema non funziona. Non sono stato aiutato. A 16 anni ero nell’Under 17 azzurra, giocai contro Goretzka, Sule e Gnabry. Ero a quel livello per merito». Lo dice quel 6,5 sul giornale. Contro un campione d’Europa.