Posch, lo sciatore mancato che sta trascinando il Bologna

by Lorenzo Cascini
Posch

Ogni tanto se chiude gli occhi e pensa alla sua vita, probabilmente si immagina a Solden o a Kitzbühel con gli sci ai piedi e le montagne intorno. Paradiso della sua Austria che lo ha sempre accolto, protetto e coccolato. Poi è arrivato il calcio e la voglia di sciare è passata in secondo piano. Chissà se una volta che avrà smesso di giocare tornerà a farlo. Il presente di Stefan Posch, difensore di 25 anni, dice 5 gol in 24 presenze e ottavo posto in classifica con il suo Bologna. Stefan è un ragazzo tranquillo e passeggiando per la città capita spesso di vederlo in centro con la sua ragazza, non rifiuta mai una foto anche se non ama i riflettori. Restio alle interviste, non è un tipo loquace. Antidivo per eccellenza: da sempre preferisce far parlare il campo e i numeri. Della serie tanti fatti e poche parole. Thiago Motta stravede per lui, gongola e se lo gode.

Posch centravanti? No, difensore centrale. Merito di un allenatore testardo

Se Posch fa il difensore lo deve a un allenatore testardo e deciso, che ai tempi dell’Admira Wacker decise di fargli cambiare ruolo. Dall’attacco alla difesa, dal voler fare gol al cercare di non prenderne. «Sei forte fisicamente e hai un buon senso della posizione. Il resto lo imparerai». Intuizione vincente, anche se all’inizio Stefan non era molto convinto. Giocava centravanti, era un nove che si sbatteva per la squadra, lottava e faceva a sportellate. Gli è servito poi per arginare gli attaccanti. Un ragazzino di quindici anni che sognava a occhi aperti guardando Henry e che quando non segnava faticava a prendere sonno. Un’ossessione che lo ha aiutato ad arrivare in alto. 

LEGGI ANCHE: La storia di Sartori, il miglior direttore sportivo di questa Serie A

In rossoblù finora ha fatto sia il centrale che il terzino destro e se l’è sempre cavata. Poche sbavature in mezzo, tanta spinta e cinque gol da terzino. Ci ha preso gusto. Eppure sulle sue qualità nessuno ha mai avuto dubbi. Il primo ad accorgersene fu Wenger, che rimase stregato e lo convocò a Londra per un provino. Erano Posch, Bellerin e qualche altro ragazzo. Lui e lo spagnolo rubano l’occhio, ma l’Hoffenheim non trova l’accordo con l’Arsenal e Stefan resta in Germania. Poco male, è bastato solo pazientare qualche anno.

«Vieni a Bologna, credimi ti troverai bene».

Decisiva per arrivare in Italia è stata una chiamata di Marko Arnautovic, amico fidato e compagno di nazionale. «Vieni qui, ritroverai morale e sicurezze». Così è stato, anche perché Stefan veniva da un anno così e così passato in Germania. Il Bologna l’ha preso in prestito all’ultimo giorno di mercato. Il primo mese non è stato facile, viveva in una stanza d’albergo e non conosceva la lingua, poi piano piano ha preso confidenza con il nostro calcio e il nostro paese, oltre a trovare una casa in centro. Con Motta il feeling è scattato subito. È bastato uno sguardo. «È uno che ti dà tanto, non può non piacerti come calciatore», ha detto di lui.  Stefan infatti gioca e giocherebbe ovunque, pronto sia a guidare la difesa che a spingersi in avanti per trovare il gol.

Il killer instinct è ancora quello di un tempo, anche se tra i professionisti non aveva mai segnato così tanto. Altro record infranto. Ci sarà tempo per batterne altri, personali e di squadra. Con l’obiettivo di tornare in quell’Europa, già assaggiata con la maglia dell’Hoffenheim.