Quando il Qatar faceva l’Arabia Saudita

by Cosimo Bartoloni
Batistuta Qatar

«Volevo solo andare in un posto dove mi venisse chiesto di giocare e di allenarmi con calma, senza dover rispondere sul perché non abbiamo vinto o perché non ho fatto gol. L’unica cosa che mi interessava erano le scuole per i miei figli». Partiamo da qui: maggio 2004. Ai microfoni Rai parla Gabriel Omar Batistuta, ex Fiorentina, Roma e Inter che dopo una caterva di gol in Serie A ha scelto il Qatar declinando le offerte di Manchester United e Fulham. Di soldi, se si guarda le cifre di oggi, non ne prendeva tantissimi: con l’Al-Arabi Batigol firmò un biennale da 8 milioni di dollari complessivi. Fu una scelta anche personale.

Quando il Qatar faceva l’Arabia Saudita

‘Le scuole per i miei figli’. Torniamo a questo concetto, perché è stato uno dei punti cardine del progetto dell’emiro Al Thani volto ad attrarre star del calcio mondiale e dello sport. Investire anche nell’educazione per dare maggiori garanzie agli sportivi e alle rispettive famiglie. Batistuta accettò anche per questo. Non lo sapeva, ma fu un pioniere. Oltre a Batigol, infatti, in Qatar quell’anno andarono Guardiola (Al-Ahli), Hierro (Al-Rayyan), i fratelli De Boer (Al-Rayyan e Al-Shamal), Desailly (Al-Gharafa), Caniggia (Qatar SC) e Effenberg (che ritrovò Batistuta all’Al-Arabi). Lo stesso Al-Arabi, secondo il Guardian, quell’estate tentò il tutto per tutto per Maldini. Ma sapete tutti come andò a finire.

Il Qatar investì tantissimi soldi nello sport: la Federcalcio offrì dieci milioni di dollari a ogni club per ingaggiare stelle del calcio mondiale. L‘obiettivo era arricchire il campionato locale per invogliare i ragazzini a giocare a calcio e provare ad avere una Nazionale forte per il Mondiale del 2022, che il Qatar avrebbe ospitato. Il progetto comunque non riguardava solo il calcio: lo Stato del Qatar infatti supportò le altre federazioni nazionali per l”acquisto’ di altri atleti: tanti soldi in cambio di un passaporto. Lo scopo era chiaro: diventare una potenza sportiva mondiale.

La Qatar Stars League oggi

Il progetto partì anche bene. Ai ‘Giochi Asiatici’ del 2006, il Qatar, che ospitava quell’edizione, vinse 32 medaglie (di cui l’oro nella disciplina calcistica). Poi, però, nonostante la vittoria della Coppa d’Asia nel 2019, Doha non è mai diventata una realtà forte, né nel calcio né nello sport in generale. E anche la Qatar Stars League oggi non è più così attraente (se non per le garanzie economiche che offre) come prometteva di essere vent’anni fa. Nell’Al-Arabi di oggi, per dire, la stella è Rafinha (ex Inter), mentre i giocatori più blasonati di tutto il campionato sono Brahimi (ex Porto e Valencia) dell’Al-Gharafa e Javi Martínez (ex Bayern Monaco), oggi al Qatar SC. Non male. Ma poco, in confronto a cosa valevano Guardiola o Hierro, o appunto Batistuta nel 2003, seppur a fine carriera. Batistuta che poi, per dovere di cronaca, nella prima stagione in Qatar segnò 25 gol in 21 partite, frantumando ogni record, mentre nella seconda si fermò dopo tre partite: i soliti problemi alla caviglia lo costrinsero a dire ‘stop’. Definitivamente.

Le differenze con il ‘disegno’ dell’Arabia Saudita

Vent’anni dopo la nuova ondata del calcio arabo parte dall’Arabia Saudita, con un progetto molto più concreto e solido, che non parte da zero. In Arabia Saudita, intanto, c’è una popolazione molto più ampia rispetto al Qatar (circa 36 milioni di abitanti contro i 750.000 del Qatar nel 2003) e una popolazione culturalmente molto più attenta ai fenomeni sportivi. Come ci ha raccontato Marco Bellinazzo, autore di ‘Le nuove guerre del calcio’, il progetto saudita vuole strutturare intorno alla Saudi League un movimento calcistico che guardi oltre i confini, partendo da tutto il mondo arabo (quindi dal nordafrica al golfo). È un progetto che mira a mettere insieme i migliori brand calcistici del mondo. E magari chissà, attrarre anche club europei, ‘allergici’ (passateci il termine) alle restrizioni UEFA. E poi è anche un progetto geopolitico, che mira alla costruzione di una nuova identità araba che diventi protagonista nello scacchiere globale, sfruttando come mezzo iniziale lo sport (e anche il calcio), forse una delle piattaforme mediatiche più efficaci.

Comunque, da Batistuta a oggi sono passati vent’anni ma siamo di nuovo qui. A parlare dei progetti sportivi arabi. Ancora deserto, di nuovo popolato di stelle non certo riunite per l’educazione dei propri figli. Rivoluzione mondiale nel calcio o nuovo fuoco di paglia? Beh, l’Arabia Saudita sembra avere molte più carte in regola. Ma tra vent’anni chissà come la racconteremo.