Quando ter Stegen sbagliò porta facendosi autogol

by Redazione Cronache

Marc-André ter Stegen è uno dei portieri più forti del calcio odierno. Il tedesco del Barcellona, che sta sfilando i guanti a Manuel Neuer in Nazionale, si sta confermando ad alti livelli. Ma, come un altro dei più grandi, ovvero Gianluigi Buffon, non ha sempre fatto l’estremo difensore. Anzi.

Tutta colpa del naso sanguinante

Il portiere lo ha raccontato a The Players Tribune: «Un naso sanguinante. È così che sono finito a fare il portiere. Quando ho iniziato a giocare a calcio però ero un attaccante. Adoravo segnare gol, giocavo per quello ed era ciò che mi rendeva felice. Poi un giorno, avrò avuto 10 anni, al nostro portiere iniziò a uscire sangue dal naso. All’allenatore serviva un portiere, ma nessuno lo avrebbe fatto, così mi offrii io. Andai tra i pali e mi piacque. Non avvertii nessun grande cambiamento, non mi ero innamorato improvvisamente della porta, ma mi divertii. Ogni volta che giocavo in porta poi, mi sentivo sempre a più mio agio. I miei compagni di squadra e i miei genitori mi dicevano che stavo facendo bene, ma io continuavo ad amare quella stessa sensazione: segnare un gol, non impedirlo. Era quello che volevo fare ed è ciò che mi ha fatto innamorare del calcio».

 

 

Quel giorno al ‘Gladbach

Una passione per il calcio nata in casa: «Avevamo un piccolo giardino, ma non potevamo calciare lì dentro. Quindi io e mio fratello maggiore giocavamo nel garage dei nostri genitori. Mio fratello faceva il portiere, mentre io tiravo. Costruivamo i paletti con scatole, camicie o qualsiasi cosa trovassimo in giro. Quando avevo circa quattro anni, mio ​​nonno mi disse che avrebbe cercato di farmi entrare nel settore giovanile del club locale, il Borussia Mönchengladbach. Conosceva qualcuno che poteva dare una mano e così entrai a far parte della squadra».

Il sogno di un bambino che… al primo allenamento sbagliò porta: «Ma ero troppo giovane per capire cosa significasse far parte di un club come il Borussia e al primo allenamento avevo già tanto da imparare. Come detto, avevo giocato sempre e solo nel nostro piccolo garage, tirando sempre contro il muro, verso una sola direzione con la palla che tornava sempre verso di me. Non avevo idea che ci fossero due lati del campo, due direzioni da percorrere. Quindi il primo giorno al Gladbach presi la palla e cominciai a correre, intanto sentivo mia madre i miei nonni che urlavano e pensavo stessi facendo bene, più andavo avanti più li sentivo urlare. Alla fine segnai e qualcuno mi disse: ‘Sei andato nella direzione sbagliata’. Non esattamente un primo gol indimenticabile. Rido se ci penso ora, ma allora non mi sentivo imbarazzato, ero solo felice di aver segnato. Allora capii che si andava in entrambe le direzioni».