Ziegler: «Era una Samp da brividi, faccio vedere le foto a mia figlia»

by Francesco Pietrella
ziegler

Poco svizzero. Reto Ziegler si palesa in sala stampa con un po’ in ritardo. Colpa di una doccia più lenta del solito. «Dai, abbiamo vinto». Indossa la numero 6 dei Dallas Mavericks sopra una maglietta bianca. I tatuaggi gli coprono le braccia, il sorriso è di quelli che perdoni subito. In fondo ha appena vinto la sua seconda Coppa di Svizzera a 36 anni con il Lugano, stavolta senza addormentarsi in pullman: «Ho rischiato, ma ce l’ho fatta. Nel 2015, con il Sion, ho chiuso gli occhi una mezz’ora dopo i festeggiamenti. Non ce la facevo più. Ok le birre, ma mettici anche la tensione. Alla fine ho ceduto».

«Io e Lichtsteiner»

Stavolta no, sveglio e lucido: «Ci tenevo. Nel 2003 ho giocato e perso la finale con il Grasshoppers dopo aver vinto il campionato. I terzini eravamo io e Lichtsteiner». Il compagno di una vita: «Lui aveva 19 anni, io 17, abitavamo nello stesso palazzo messo a disposizione dal club. All’epoca era il miglior settore giovanile di Svizzera. Chiunque voleva giocare lì. Di tutti quei ragazzi, ed eravamo tanti, solo io e lui siamo diventati calciatori. Una fortuna. Stephan era lo stesso che abbiamo visto in Italia tra l’altro, l’incubo di tutti i guardalinee. O lo ami o lo odi, ma non molla un centimetro». 

ziegler lugano coppa

Vecchi amici a Lugano

Come Reto del resto, chiamato a Lugano dal suo amico Marco Padalino, prima d.s. e ora nell’area scouting: «Abbiamo giocato insieme alla Samp. Quando mi ha parlato del progetto ho accettato subito. Erano 29 anni che il club non vinceva un trofeo. È stato un privilegio battere il San Gallo e festeggiare in centro con i tifosi». Ziegler giocava a Dallas in Mls, una piazza a cui è rimasto legato. Lo dice la maglietta che indossa durante la chiacchierata via teams. L’italiano è perfetto, impossibile scordarlo, soprattutto dopo i cinque anni in Serie A tra Sampdoria, Juve e Sassuolo: «L’Italia mi ha reso il calciatore che sono. Prima di arrivare a Genova giocavo con l’istinto, poi ho imparato la tattica e mi sono specializzato in un ruolo». Terzino sinistro: «Al Tottenham ero un ‘all rounder’, uno che gioca ovunque. Non l’ho mai considerata una cosa positiva. Facevo l’esterno alto, poi ho cambiato». Merito della Samp, 155 partite e 5 gol dal 2007 al 2011: «In Italia ho capito cos’è la pressione. Ci sono dieci televisioni che parlano di calcio, ma se ho giocato il Mondiale 2010 lo devo a quanto imparato lì». 

Pazzini, Cassano e ‘Zighi’

Quando parli a Reto Ziegler della Samp sorride subito. Il classico gesto involontario di chi sa che sta per tirare fuori ricordi unici: «Qualche giorno fa ho fatto vedere a mia figlia i video dei festeggiamenti dopo la qualificazione in Champions nel 2010. All’ultima giornata sfornai l’assist decisivo per il ‘Pazzo’. Credimi, dopo dieci anni ho ancora i brividi. Eravamo uno squadrone: Storari, Cassano, Pazzini, Palombo, Guberti, Poli. Delneri in panchina. Un grande lui, gli devo tutto, anche se quando parlava capivi poco. Mi chiamava ‘ Zighi’, e ogni tanto lo ripeteva dieci volte al secondo. Usciva un ‘Zighi, Zighi, Zighi’ da sentirsi male». Aneddoti sparsi. Il primo è su Pazzini: «Pretendeva tanto, ogni volta che qualcuno sbagliava un cross te lo faceva notare, ma ho sempre amato giocatori così. Esigenti e vincenti. A fine stagione regalò a tutti i compagni una collana con inciso il suo numero di gol. La conservo ancora». Poi tocca a Cassano. Altro sorriso: «Ogni tanto mi capita di vederlo sulla Bobo Tv. Di lui potrei raccontare tremila aneddoti e ognuno di questi ti strapperebbe una risata. Non ho mai incontrato uno così forte in carriera. Magari non si allenava tutti i giorni al top, ma faceva sempre la differenza. Io ero uno dei suoi pupilli poi. Se ti prende a genio ok, altrimenti ti massacra. Devi avere un carattere forte per stare con lui». Soprattutto se fai l’allenatore. «Una volta uscì dall’allenamento minacciando di non giocare più. Il solito show. Risultato? La domenica vincemmo grazie a lui». 

Lacrime per la retrocessione

Qualche rimpianto. Su tutti la retrocessione in B l’anno successivo alla qualificazione ai preliminari di Champions, persi contro il Werder Brema in una partita da cuori forti, infranti tutti dai gol di Rosenberg e Claudio Pizarro tra l’ultimo minuto del secondo tempo e i supplementari. «Dopo una stagione al top perdiamo Storari, che contro la Roma parò tutto, i dirigenti e Delneri, poi Pazzini e Cassano a gennaio. Così è impossibile. La retrocessione è stata una botta enorme, abbiamo pianto tutti. A me davano addosso dicendomi che tanto avevo già firmato con la Juve. Mai vero. Ho sempre dato il massimo, posso gridarlo a voce alta». Un’altra delusione è la finale di Coppa Italia persa con la Lazio nel 2009: «Vederla dalla tribuna mi ha fatto male. Stimo Mazzarri come allenatore, ma quando mi chiamò nel suo ufficio per dirmi che non avrei fatto parte dei convocati è come se mi avesse dato una coltellata. Pazienza, la Samp è stata casa mia e sono fiero di quanto fatto». 

«Io alla Juve, perché?»

Dopo la Samp arriva la Juve. È l’estate del 2011. Il tandem Marotta-Paratici, traslocato all’Allianz dopo anni di Marassi, sceglie Ziegler come terzino sinistro quando l’allenatore bianconero è ancora Delneri. Il resto ce l’ha raccontato Reto: «Per la Juve ho rifiutato di tutto, ho scelto Torino per Gigi, ma una volta arrivato mi ritrovo Antonio Conte. Capisci subito quando vai a genio a qualcuno oppure no, quindi ho intuito che non avrei mai giocato. Non sono uno a cui piace festeggiare trofei stando in panchina, quindi ho chiesto di andare via. Inoltre mi sono anche chiesto cosa fossi venuto a fare alla Juventus. Dopo qualche offerta trovo una soluzione: Turchia, Fenerbahce, piazza calda con grandi obiettivi». Amore a prima vista: «Sono stato da Dio. Il primo anno gioco titolare, arrivo secondo in campionato e vinco la coppa. Il presidente mi avrebbe riscattato, ma la Juve non mi ha lasciato andare. Non ho mai capito perché. Tuttora è un grande rimpianto, quando ci penso ho un nodo alla gola». Lo dice in francese, una delle quattro lingue che parla. Il senso si capisce: «Sarei andato a piedi, la società avrebbe risparmiato perfino l’ingaggio. Chissà come mai dissero no». Dopo sei mesi al Lokomotiv Mosca Ziegler torna a Istanbul in prestito a gennaio 2013. «Ci siamo spinti fino alla semifinale di Europa League eliminando la Lazio. A fine anno ho vinto anche un’altra coppa. I tifosi del Fenerbahce mi scrivono ancora sui social. Mi sono sentito amato». 

Reto Ziegler, futuro allenatore

Reto è un uomo di mondo. Partito da Ginevra, manifesto di tranquillità, ha giocato in Inghilterra, Germania, Russia, Italia, Turchia e Stati Uniti: «Esperienze che mi hanno reso uomo». Dice che l’avversario più tosto mai affrontato è stato Alexis Sanchez, un «piccoletto con i razzi nelle gambe», e che Ibra resta un’icona: «Dieci anni dopo è ancora sul pezzo». Dopo mezz’ora di chiacchierata gli chiediamo cosa vorrà fare in futuro: «Mi vedo allenatore, penso di poter dare molto ai giovani». Intanto Ziegler  ha fatto vedere alla figlia i frammenti della grande Samp. Da qualcosa bisogna pur iniziare.