Pecini: «Come ho scoperto Modric e Mbappé»

by Lorenzo Cascini
Riccardo Pecini

Il punto di partenza della storia è un campetto sperduto in Bosnia, di quelli in cui la tribuna è gratuita e gli spettatori sono più o meno un centinaio. Quel giorno giocano gli Under 15, quelli in maglia gialla sono gli ospiti dell’Inter Zaprešić. Il livello tecnico è basso, terra e polvere regnano sovrane. C’è solo un ragazzino biondo, visibilmente più piccolo degli altri, che in mezzo al campo ruba la scena. Fa le cose con una semplicità incredibile, ha una tecnica sopra la media e sembra che abbia 200 partite tra i professionisti. «Chiedo il suo nome sugli spalti, nessuno lo sa. Torno a casa con un paio di ‘forse si chiama…’ e nulla di concreto in mano. Poi lo trovo e inizio a seguirlo. Lo avrò visto venti volte prima di provare a prenderlo, due anni dopo ce l’ho fatta». Il nome del biondino era Luka Modric e quei signori che non sapevano il nome in tribuna avranno avuto modo di impararlo bene. 

Riccardo Pecini, l’occhio vuole sempre l’ultima parola

A raccontarlo è Riccardo Pecini, allora osservatore del Tottenham, che era lì quel giorno. «Sono passati vent’anni eppure mi ricordo quelle sensazioni come se fosse successo ieri». Colpo di fulmine. Ma anche intuito, guizzo e perseveranza. «Su Modric siamo arrivati molto prima di tutti, sai allora non c’erano internet e i video. Un ragazzo o lo vedevi di persona e ti colpiva o non c’era nulla da fare. Anche se personalmente io lavoro ancora così, l’ultima parola la vuole sempre l’occhio». L’uomo al centro dell’universo che batte tre set a zero algoritmi e classifiche.

Il modus operandi nel tempo è quindi rimasto lo stesso. «C’è tanta ricerca. Il segreto penso sia girare tanto, non fermarsi mai. E soprattutto non pensare di lavorare per se stessi. Le scelte vanno prese in gruppo, per il bene della squadra e della società». Non si guarda solo il valore di un giocatore ma la sua possibile utilità al contesto in cui lo si va ad inserire. «Lo scouting dipende dagli obiettivi del club. Puoi vedere tanti ragazzi forti, ma la bravura deve essere quella di portare il giocatore giusto per quel determinato momento». 

«Lo vado a vedere tre volte in due mesi, gioca poco e non segna. Eppure mi colpisce»

Di esempi se potrebbero fare a bizzeffe. Viaggi, giocatori visti, studiati, inseguiti e alla fine presi. Anche perché in un mondo in cui le informazioni le hanno tutti, diventano decisivi l’occhio, la velocità e il coraggio. Principi cardine. «Io l’ho imparato sul campo. Mi vengono in mente tanti ricordi. Uno su tutti? Skriniar, portarlo alla Samp fu davvero un colpo di livello. Convincere un ragazzo a mettersi in gioco, partendo dalla primavera. Poi il merito è stato suo e di Giampaolo. Le sue prime tre partite in A furono un disastro, lui gli disse ‘se continui così arriverai, gli errori capitano a tutti. Bisogna guardare le cose positive’. Ci ha preso in pieno. E devo dire che vederlo arrivare in alto, conoscendo il contesto da cui partiva, è una grande soddisfazione». Dai campetti in Slovacchia alla Champions League. Anche se Pecini di gioie così in carriera se ne è tolte parecchie. «Un altro è Icardi, anche se la storia di Mauro è diversa. Vado a vederlo a Barcellona tre volte in due mesi. Gioca tre spezzoni, non segna e non viene valorizzato. Eppure mi colpisce. Vado a casa sua, conosco la famiglia e creo un contatto. Tempo un mese ed era da noi in Primavera, si capiva già da lì che era devastante. Ho provato poi a portarlo al Monaco, ma alla fine lo prese l’Inter».  

 «Fallo venire qui con la famiglia e non li facciamo andare via finché non firma»

Occhio, guizzo ma anche video e dati. «Sono importanti, ma successivi alla ricerca. Diciamo che danno la conferma. Poi ovviamente ci sono casi e casi». Basta pensare alla storia del contratto dì Mbappé. «Questa è bella, anche se non è una scoperta mia. Quando ero il direttore sportivo del Monaco, viene un osservatore giurandomi di aver visto un marziano. Mi mostra un video di quindici minuti e credimi non servì neanche andarlo a vedere. Era di un altro pianeta. Gli dissi ‘fallo venire qui con la famiglia e non li facciamo andare via finché non firma’ ». Andrà così. «Lo seguivano in tanti, siamo stati bravi noi a convincerlo».

Da Martial ai grandi colpi sfumati

Un colpo che invece Pecini sente suo è Martial, portato a Monaco a 16 anni. «Lo sono andato a vedere tantissime volte, circa venti. A volte anche in campi sperduti. Ma aveva davvero qualcosa in più degli altri, era devastante. Forte fisicamente, tecnico e con un gran tiro. È stato uno degli acquisti più riusciti della mia carriera, avevo la sensazione che sarebbe arrivato in alto». Nel principato Riccardo ha portato tanti campioni, da Falcao a James Rodriguez, ma ce ne sono almeno un paio che sono sfumati dopo essere stati seguiti, analizzati e corteggiati. «Il presidente voleva una stella. Ranieri chiese Lampard, che aveva già allenato al Chelsea, e provammo anche a prendere Beckham. Io però sapevo che per vincere la Ligue 2 avevamo bisogno di giocatori francesi, che conoscessero il campionato. Alla fine ho avuto ragione io, ma quanti insulti che ho preso…».

Tra i colpi sfumati non può non raccontarci di Leao, anche se la storia qui è diversa. «Lavoravo per la Sampdoria. Vedo questo ragazzino dello Sporting che dribblava e sorrideva. Metteva allegria, il tutto a una velocità incredibile. Ma non c’erano le condizioni per prenderlo. Stesso discorso per Lewandoski. Quando lo vidi io giocava in Polonia e aveva un’eleganza che sembrava danzasse. Certe cose non le dimentichi, anche perché ormai sono sempre più rare». 

Dopo l’ultima esperienza allo Spezia dove tra i tanti ha pescato Kiwior, poi rivenduto a peso d’oro in Inghilterra, ha scelto di dire basta, aspettando un nuovo progetto per ripartire. «Kiwior è uno che ti cattura. Il giorno del suo primo allenamento aveva una personalità da capitano. Parlava con tutti anche se con molti non si era neppure presentato, guidava già la difesa da leader. Non ho mai avuto dubbi, prima di prenderlo lo avevamo seguito a lungo. Ne sono molto fiero». Ennesimo guizzo di una carriera fatta di pepite e futuri campioni, mettendo sempre al centro l’occhio e il coraggio. E chissà chi sarà il prossimo campione, preso con il solito modus operandi e grazie a una ricerca continua. Pecini ce lo insegna. Le scoperte sono e resteranno sempre i suoi trofei più belli.