a cura di Giacomo Brunetti

«Rinunce, appunti passati e giga del telefono»: questo e altro per il proprio sogno

L’intervista a Nicola Della Valle e Federico Dolcini, due calciatori del Tre Fiori. Nella vita, rispettivamente venditore d’auto e studente di ingegneria

Nicola ha già diverse esperienze: «La realtà internazionale, noi sammarinesi, la viviamo fin da piccoli. Hai 14 anni ed entri a far parte della Nazionale, incontrando i campioni del domani. Ricordo l’Olanda di de Ligt e Bergwijn, ma anche l’Italia di Scamacca e Dimarco. Giocare in un club sammarinese e poter partecipare alle coppe, è un incentivo per rimanere a casa. Per alcuni giovani, il richiamo di andare a giocare fuori è forte, ma poi tornano». Si è tolto lo sfizio di fare la Champions League, l’Europa League e adesso la Conference. «A volte ci scherzo con un mio compagno: ‘Messi ha 0 presenze in Europa League, io 4’. E lui: ‘Io ho addirittura fatto un gol, Cristiano Ronaldo ne ha 0’», sorride. Sa che quella di stasera è un’occasione imperdibile.

 

«Da quando sono al Tre Fiori, abbiamo sempre fatto le coppe, tranne in una stagione. In determinati periodi della vita, è un pallino fisso. Come oggi, l’emozione è tanta. Vendo le macchine: ieri ho attaccato alle 9, alle 19 sono uscito e sono volato al campo, ancora vestito da lavoro. Ho passato la giornata in apnea, perché non riesci a connettere bene. Fortunatamente, operando a San Marino, il datore di lavoro conosce bene la realtà. I colleghi ti fanno qualche battuta, fanno il tiro per te. La gestione dipende molto dal titolare, dalla posizione lavorativa che hai. Quando accetti un lavoro, devi mettere in chiaro questa dinamica, se vuoi continuare a giocare. Siamo dilettanti ma abbiamo impegni da professionisti. Durante l’estate e il periodo delle coppe europee, devi battagliare per le ferie. Noi usiamo le nostre ferie per andare a giocare in trasferta, ad esempio», la vita continua al di là del terreno di gioco.

 

Intorno a noi non c’è nessuno, è il momento del riposo e chissà cosa sognano nelle loro stanze i suoi compagni. Soprattutto quelli alla prima esperienza. «Due volte mi è capitato di saltare una trasferta europea – prosegue Della Valle – perché avevo già spostato due volte il volo di una vacanza, e i miei amici mi avrebbero ucciso. Ho sofferto tremendamente da lontano, probabilmente la TIM mi ha ringraziato per tutti i gb utilizzati durante l’ora e mezzo di streaming della partita. Stavo malissimo, anche perché sono esperienze che ti rimangono: quando abbiamo passato il turno in Lussemburgo, la mattina dopo ero a lavoro, e fino a mezzogiorno non sono riuscito ad aprire bocca per i festeggiamenti della sera prima!», e sono momenti da vivere come se fossero sempre gli ultimi, dato che a questo livello il calcio è un’incertezza: «Parlavamo prima in camera di quanto sarebbe bello fare sempre questa vita. Oggi ci siamo svegliati con calma, siamo in ritiro a Rimini e appena apri la finestra, ti affacci e vedi il mare. Non sarebbe male… questi momenti, insieme alle trasferte, sono tra i più belli e particolari».

 

 

Quando le sammarinesi vanno all’estero, suscitano grande curiosità grazie alla loro storia e al loro status: «In aeroporto e mentre sei in viaggio vieni visto con curiosità. Le persone si avvicinano, fanno domande, ci vedono vestiti da calcio e chiedono». Si creano empatia e simpatia. Le persone si affezionano a questi ragazzi che inseguono la loro passione.

 

«In Lussemburgo, nel turno precedente, prima della rifinitura ho chiuso un contratto per la vendita di una macchina. Aspettavo la risposta del cliente, che si è recato in concessionaria, dov’è stato avvisato della mia assenza. Ho ricevuto la chiamata da un numero sconosciuto, ed era lui: mentre entravo allo stadio, mi ha inviato i documenti e abbiamo chiuso l’affare. Quando accadono queste situazioni, il datore di lavoro spiega il mio impegno. Le persone non si scocciano, anzi, sono incuriosite e mi fanno domande. Suscito curiosità. Rimangono stupite quando scoprono che lo facciamo gratis, solo per passione. Si immaginano le coppe europee, chissà quale retribuzione… e invece no». Non si può staccare. Pensate che all’andata, hanno rischiato di andare alle Fær Øer senza il portiere titolare, Alessandro Semprini: la lista UEFA chiudeva alle 23 e soltanto alle 20:30 il dg Giacomo Benedettini – che dopo incontreremo – è riuscito a convincere il datore di lavoro a lasciargli l’estremo difensore. A patto che… si portasse il computer dietro e facesse smart working!

 

Ebbene sì, accade anche questo. «In vacanza in Grecia, in maniera goliardica, dissi ad alcuni amici: portiamoci dietro la maglia del Tre Fiori. Appena arrivati in spiaggia, arrivavano tantissimi ragazzi a chiederci le foto: ‘Vi abbiamo visto! Dai, regalateci una maglia, facciamoci una foto’. Noi eravamo increduli, loro esaltati come se avessero visto CR7. Ho visto l’empatia che avevano nei nostri confronti, un interesse che ti rende orgoglioso. Leggi la stima nei loro occhi. Gli volevo dire: ‘Guardate che non sono speciale, la mattina mi alzo alle 8 per andare a lavoro proprio come voi’». Capita anche con gli avversari: «Durante un torneo giovanile con la Nazionale, eravamo nello stesso convitto dell’Italia. Pellegrini e Cerri vennero a chiederci ‘Spiegateci un po’ come funziona da voi’, e ci riempirono di domande. Ci fecero i complimenti, dicendo che loro facevano parte dei più grandi club d’Italia, ma che la nostra passione era imbattibile».

 

Occasioni che arrivano al cuore: «Due stagioni fa, al Tre Fiori è arrivato Francesco Lunardini, che ha fatto tanta Serie A. Mi ha detto: ‘Nicola, ho giocato contro Ronaldinho a San Siro, ho una foto di quel momento ed è incredibile, ma un’emozione come quella di fare la Champions con voi supera tutto».

 

La sfida contro il B36 si avvicina: «Le viviamo in apnea, sempre di rincorsa. Sopperiamo con la voglia e l’organizzazione difensiva. Nel 2020 abbiamo giocato la prima partita internazionale UEFA dopo la pandemia. Proprio per questo, venne disputata a Nyon, al quartier generale. Essendo dilettanti, noi non giocavamo da febbraio e avevamo qualche giorno di preparazione. Fu curioso, sembrava di scendere in campo sopra un grattacielo di New York. Quando vidi il cartellone con scritto UEFA Champions League dissi: ‘Ma davvero? Io?’. E poi eravamo preoccupati: c’erano le prime misure Covid e nessuna certezza. Avevamo paura di diventare positivi e non poter tornare indietro: come avremmo fatto con il lavoro? Si parlava di un’ambulanza che sarebbe dovuta partire da San Marino per venirci a prendere, o di un volo con infermieri».

 

Quel giorno, a Nyon, era presente anche Federico Dolcini, trequartista classe ’00: «Avevo 19 anni ed ero su un campo di Champions League». Lui, che nella vita è studente di Ingegneria Chimica a Bologna, terzo anno, dopo essersi diplomato con il massimo dei voti a Rimini: «C’era la festa per coloro che avevano preso 100 alla Maturità, ma ho dovuto disertare perché ero impegnato con la Nazionale». Ha maturato 19 presenze con la selezione sammarinese u-21 e non è sempre stato facile coniugare l’impegno calcistico con quello universitario: «Il primo anno non conoscevo nessuno. Appena iniziato, avevo una partita. Ho dovuto chiedere gli appunti, però non conoscevo nessuno. Tentavo di spiegare la situazione, ho visto altri studenti andare su Transfermarkt per verificare se fosse vero. A ottobre avrò la tesi, ho saltato l’andata contro il B36 perché dovevo sostenere l’ultimo esame prima della laurea». Un ragazzo come tanti: «A Bologna non mi invitano ai calcetti perché credono che sia fortissimo», ride.

 

Tanti sacrifici per inseguire questo sogno con il Tre Fiori: «Studiando a Bologna, con le lezioni online ho avuto vita più facile. Non è semplice. Ci allenavamo il lunedì, il mercoledì e il giovedì. A volte giocavamo infrasettimanale. Lunedì dopo allenamento partivo per Bologna con il treno, dormivo due notti lì e rientravo a San Marino». Difficile rinunciare alle esperienze internazionali, ma a volte non si può fare a meno: «I compagni mi chiedono le maglie». Studia in ritiro, ma non a ridosso della gara. Che, spesso, ti spreme non solo fisicamente, anche mentalmente: «Sono toste. Stasera io ci credo, in Nazionale ho giocato partite che erano impossibili, questa non lo è. Abbiamo dimostrato di potergli tenere testa. Non dico di essere abituato, ma gestisco meglio la pressione. Loro sono professionisti, si allenano ogni giorno, noi no. Ma ho imparato che a volte è impossibile, ma che se a volte fai la partita della vita e gli altri no, allora puoi fare la storia».