Rio Ferdinand intervista Guardiola. L’allenatore si confida: «A Manchester sto bene. Mi sento amato e protetto, ma se non vinciamo la Champions…»

by Redazione Cronache

Pep Guardiola, allenatore del Manchester City, si è raccontato durante una diretta social con Rio Ferdinand.

STRISCIA DI VITTORIE – «Dopo il pareggio contro il WBA per 1-1 mi sono interrogato con il mio staff. Non mi piaceva il modo in cui giocavamo, a prescindere dai risultati. Correvamo troppo, non eravamo nella giusta posizione e la nostra forza è che ognuno sa dove si trovano gli altri. Andavamo troppo veloce: nel calcio c’è anche bisogno di pause per cambiare il ritmo. Siamo tornati all’A-B-C, ai principi: esterni alti e in ampiezza, tanta densità al centro, recuperare il pallone come animali e gestirlo con più calma. Le vittorie aiutano ad aumentare l’autostima dei calciatori».

CANCELO – «Cancelo sempre più al centro del gioco? Lo avevamo già fatto con Delph e Zinchenko. È una mossa che si è rivelata importante per sorprendere gli avversari».

RUBEN DIAS – «È importante che gli attaccanti e i centrocampisti si sentano liberi di giocare: “Ok, alle spalle abbiamo una difesa solida”. Se gli avversari sono forti e segnato, ok, complimenti, è il calcio. L’anno scorso soprattutto regalavamo i gol agli avversari: “Tenete ragazzi, segnate”. Sotto questo punto di vista siamo migliorati tantissimo con Stones e Dias.  Ruben guida la linea difensiva: gioca bene e fa giocare meglio gli altri. E’ questo che ti rende un grande centrale. Lo vedi dal suo linguaggio del corpo che vive tutti i 90′ come se fosse sempre l’ultima azione».

MANCHESTER CITY – «Quella è al City è la mia esperienza più lunga in panchina? Qui sto bene, anche l’anno scorso nonostante non abbiamo vinto. Ho tanti amici, mi sento protetto, i tifosi mi fanno sentire amato, la squadra mi segue, ci sono ottime strutture. C’è un però: il clima. Odio l’inverno in Inghilterra. Quando allenavo Barça e Bayern avevo questo desiderio di allenare in UK, nella nazione di Shakespeare, dei Beatles, degli Oasis. Non solo per il calcio, questo Paese è speciale».

LA CHAMPIONS – « Mi porterò dietro questa croce per tutta la mia esperienza in Inghilterra. È vero, se non vinceremo la Champions League, allora il lavoro non sarà stato completato. Mi piacerebbe che le cose incredibili che abbiamo fatto in Premier negli ultimi 4 anni riuscissimo a replicare il Europa. Quest’anno o il prossimo possiamo compiere questo passo. In Champions è questione di centimetri o di pochi secondi: in un minuto può succedere di tutto. Bisogna accettarlo».

MODO DI VIVERE LE PARTITE – «Ho paura di perdere. Reagivo così anche quando ero io a giocare. A breve avrò l’età che adesso ha Ancelotti, spero di aver imparato a controllarmi nel frattempo. Chiedo spesso scusa ai miei giocatori per come mi comporto, ma voglio che quello che proviamo in allenamento venga applicato anche in partita. L’essere umano tende a rilassarsi. Con me in questa squadra non può succedere».

SGRIDATE A FINE PARTITA – «È più facile per loro ricordare le azioni. In questo modo capiscono più facilmente cosa migliorare. Tutti i grandi atleti vanno a fare la doccia guardano già avanti, non vivono nel passato».

PHODEN – «Non importa se hai 25 anni o 20. Se hai le capacità, il talento, allora giochi. Lui è già un top player, ma deve imparare a cambiare ritmo: prima la calma e poi l’esplosione. Se giochi al centro non puoi essere solo bravo individualmente, ma bisogna capire i momenti all’interno della partita».