Sacchi: «Maradona era il Picasso del calcio. Lo ho allenato solo una volta e…»

by Redazione Cronache

Arrigo Sacchi, storico ex allenatore del Milan e della Nazionale italiana, ha raccontato Diego Armando Maradona in un’intervista a La Gazzetta dello Sport.

RICORDO – «Conservo il pallone firmato da lui, Pelé e Di Stefano. Con un gesto rendeva bella anche una brutta partita».

NOTIZIA – «Ho pensato che non fosse vera. Ci ho sperato. Ero davanti alla tv: mi sembrava impossibile. Ma subito dopo sono cominciate ad arrivare le telefonate».

COS’ERA MARADONA – «Prima di tutto un amico. Ovunque capitasse di incontrarci, fosse a Milano Marittima per una cena a base di calcio, oppure ai Mondiali del Sudafrica o a quelli in Brasile, era sempre una festa. Per gli amanti del pallone Maradona è stato tutto. Era il Picasso del calcio. Uno straordinario interprete di questo sport. Con un gesto era capace di rendere bellissima anche una partita insulsa. Ed è stato un grande avversario, mai un nemico».

ANEDDOTO – «Le racconto un episodio. Io ho avuto un’unica possibilità di allenare Maradona. Accadde nel 1988, dopo la vittoria in campionato, quando venni incaricato di selezionare una rappresentativa della Lega di Serie A per giocare una sfida contro la Polonia, a San Siro, e convocai tra gli altri anche Maradona. “Vengo solo perché c’è Arrigo”, disse lui. Prima della partita mi chiese di giocare soltanto un tempo, dicendo che si sentiva un po’ stanco… Nel primo stavamo perdendo e riuscimmo a pareggiare solo poco prima dell’intervallo. Così Diego venne da me e mi disse: “Se vuole, gioco anche il secondo tempo…”. E infatti rimase in campo fino alla fine e segnò il gol che ci consentì di pareggiare 2-2, oltre a prendere un palo».

TELEFONATA – «Mi telefonò e mi chiese di andare al Napoli. “Mister, con me e con Careca partirai sempre con un gol di vantaggio…”. “E se tu ti infortuni?”, gli risposi. In realtà mi ero già impegnato con la Nazionale e inoltre non riuscivo più a gestire la pressione di un impegno dietro l’altro. Però mi fece piacere questo suo desiderio di avermi con lui. Siamo stati amici per tutta la vita, ora lo saremo ancora di più».

AMMIRAZIONE – «Gli amanti del calcio lo ricorderanno sempre con piacere: Diego ti stupiva, ti esaltava. La prima volta che ci giocai contro, col Milan a San Siro, loro nei primi dieci minuti non erano riusciti nemmeno a passare la metà campo, il nostro era un dominio assoluto. Ma a un certo punto lo vidi nel lato opposto scartare un paio di giocatori e dare un assist a Careca, che si ritrovò solo davanti al portiere e segnò il gol dell’1-0 per il Napoli. Mi girai verso la mia panchina ed esclamai: “Così non vale, abbiamo giocato solo noi!”. Un’altra volta ricordo che eravamo stati padroni del campo per tutto il primo tempo, tanto che alla fine la gente ci aveva applaudito nonostante il risultato fosse ancora sullo 0-0. Nello spogliatoio guardai negli occhi i miei giocatori e gli dissi: “Ragazzi, qui o ci decidiamo a segnare oppure il gol ce lo fa lui…”. Giocare contro Diego significava avere perennemente una spada di Damocle sopra il capo. Ricordo ancora quel pallonetto di testa a Giovanni Galli in uscita, realizzato da fuori area: incredibile… Conservo gelosamente un pallone firmato da lui, Pelé e Di Stefano. In quel periodo ero al Real Madrid e Butragueño, che è stato un signor giocatore, mi chiese se volevo che aggiungesse anche il suo di autografo. “No Emilio – gli dissi – per te ho un altro pallone…».

MIGLIOR MARADONA NELL’86 – «L’Italia era nello stesso girone dell’Argentina e Salvatore Bagni, che era suo compagno di squadra nel Napoli, si propose di marcarlo, visto cho lo conosceva. Finì che in campo nemmeno lo vide e quando gli chiesero come mai rispose: “Diego è un mese che non esce dal ritiro…”. Aveva ragione: quando stava bene fisicamente, Maradona era praticamente immarcabile. Tu pensavi una cosa, lui ne faceva un’altra. La sua è stata una vita di prodezze fuori dalla norma. Ma, sempre a proposito di Mondiali, credo che in quello del 1994 negli Stati Uniti, se non fosse stato squalificato per quel caso di doping, la sua Argentina sarebbe arrivata fino in fondo: si giocava a ritmi bassi, per le temperature infernali, e Diego avrebbe potuto fare ancora la differenza anche se era ormai a fine carriera».

L’UOMO MARADONA – «Un buono, una persona generosa. Ho parlato tante volte con i suoi compagni di squadra, tutti ne conservavano un bel ricordo, tutti ne parlavano bene. E del resto, Diego era sempre il primo a difenderli, Aveva i suoi lati deboli, come tutti del resto. I suoi erano più eclatanti, perché l’uomo era più famoso. E lo hanno sfruttato. D’altra parte, quando uno è generoso, lo è in tutto, e lui si dava senza risparmiarsi e senza avere in cambio alcun beneficio, anzi. Il nostro è un ambiente dove a volte bisogna fare molta attenzione, certe situazioni sono da prendere con le molle».

GRANDEZZA – «Diego ha illuminato, ha divertito, ha emozionato, ha fatto per il calcio una straordinaria operazione di pubblicità. E quando tu regali emozioni alla gente, questa ti sarà riconoscente per tutta la vita. Dobbiamo essere felici per averlo visto all’opera: pochi in altre epoche hanno potuto godere delle sensazioni che era capace di regalare Diego. La bellezza faceva parte del suo modo di essere. Lui aveva talento e attitudini ed era stato capace anche di migliorarsi perché amava quello che faceva. Non riesco a credere che se ne sia andato».