Mi sono subito

detto: «Laki,

è normale»

di Lazar Samardzic

Menomale che mi ero allenato in Germania.

 

Quando la scorsa estate sono stato vicino all’Inter, non ho potuto allenarmi per due settimane. Se c’è una cosa che mi ha veramente disturbato, è stato interrompere la preparazione. Essere tornato a Udine dopo essere stato fermo, non aver partecipato agli allenamenti.

 

Fino a qualche settimana prima, ero su un campetto a Berlino insieme al mio amico Kenan Yıldız.

 

Abbiamo lo stesso preparatore e siamo entrambi nati lì. Ognuno di noi, poi, ha preso strade diverse: io ho scelto di rappresentare la Serbia, lui la Turchia. Ma casa nostra è lì.

 

Siamo amici e prima di andare in ritiro, ci siamo ritrovati per mettere un po’ di benzina nelle gambe e nella testa. Io sono cresciuto col calcio 10 ore per strada e il mio modo di giocare ne ha sicuramente risentito e beneficiato. Dopo la scuola, c’era il calcio. Tutto il giorno. La maggior parte delle volte giocavo uno contro uno, basando tutto sul dribbling. In strada, in quegli anni, il più forte ero io. Non c’era nessuno che mi battesse.

 

E con Kenan abbiamo riproposto quei giochi, allenando soprattutto il calcio. Avevamo un nostro conoscente che fa il portiere, lo abbiamo mandato in porta. Chi segnava più gol su 10 tiri, vinceva. Possiamo dire che la sfida è finita in parità, alla fine.

 

Dopo questi allenamenti, tornavo a casa dalla mia famiglia. E mi rilassavo giocando a FIFA. Credo che sia uno dei vizi che amo di più. Mi rilassa. Ho letto le parole del CT dell’Italia, però posso dire che da parte mia la playstation è sempre stata un modo per evadere dalla quotidianità e non pensare. Per staccare la testa. Ricordo ancora quando mi sono trovato per la prima volta nel gioco, con l’Hertha Berlino: ero un 60! Ma mi prendevo comunque. Ora sono un 73, ma dovrei essere un 76. Adesso, quando affronto i miei amici, se segnò con il mio alter ego loro rosicano ancora di più!! Ma sono sempre stato appassionato: prima di PES, poi di FIFA. Me l’ha trasmessa mio padre Mladen, ci giocavamo insieme quando ero piccolo. Ora gioco online con uno dei miei migliori amici, Milan Kremenovic, che è a Reggio Calabria in Serie D. Fortissimo lui nella realtà. Ma a FIFA non ce n’è per nessuno: lo scorso anno ho fatto 20-0 su FUT, avevo anche Di Natale! Quest’anno sono meno forte, ho fatto comunque 18-2 e in ogni squadra ho sempre lui: Lionel Messi.

 

 

Messi sì, è il mio idolo incontrastato. Ricordo ancora la partita contro l’Arsenal in cui ha fatto tripletta. Ero in un bar con mio padre e l’abbiamo vista lì. Non mi perdevo neanche una partita di Leo in Champions League da ragazzo. Ho scelto adidas… anche per assomigliare a lui! Ho una sua maglia del Barcellona, me l’ha regalata un mio procuratore qualche anno fa. Ma purtroppo non sono mai riuscito a incontrarlo. Se accadesse, sono sicuro che rimarrei zitto e paralizzato. Probabilmente gli chiederei una foto, ma non saprei cosa dirgli. È unico.

 

Ho stretto la mano a Cristiano Ronaldo, dopo la sua ultima partita con la Juventus. Ho stretto la mano a Zlatan (dopo avergli dato una spallata in un contrasto, ehm ehm… e aver temuto che mi guardasse malissimo) e ho anche preso la sua maglia. Mi manca solo Messi. Lui è unico.

 

Mentre crescevo in Germania, cercavo di assomigliargli. A 16 anni ho avuto l’occasione di provarci. Venne a bussare alla mia porta il Barcellona. Era Patrick Kluivert, responsabile del settore giovanile del Barcellona. Della cantera. Ci mostrò il piano di crescita e l’idea che avevano per me. Ma i miei genitori pensarono che ero troppo piccolo per partire, che fosse troppo presto, e io ero d’accordo con loro.

 

Un anno dopo invece ci provò il Milan. Insieme alla mia famiglia andai a Milanello, su invito di Paolo Maldini. Ci fecero visitare le strutture, avevo 17 anni e mio padre mi aveva sempre detto che il calcio italiano fino a qualche anno prima, comandava nel mondo. Anche quel giorno, ci dicemmo di non aver fretta. Poco dopo, avrei esordito con l’Hertha Berlino e ogni weekend, andavo all’Olympiastadion per vedere la partita. Mi piaceva molto andare allo stadio: quando scendevamo in Serbia, mi portavano sempre al Marakana per tifare la Stella Rossa. Mio padre è un fan sfegatato. Gli ho promesso che chiuderò la carriera lì. Mi sono innamorato del loro tifo.

 

 

Il momento di lasciare Berlino però è arrivato: firmai con il Lipsia. Sono rimasto un solo anno, ma ho potuto vedere da vicino calciatori come Dani Olmo, Sabitzer e Forsberg. Non ho giocato tantissimo. Poi ci hanno chiamato dall’Italia, stavolta era l’Udinese. E stavolta abbiamo convenuto che fosse il momento giusto. Anche perché mi ripetevano: «Vai in Serie A! Dopo un gol ti esaltano! Se fai bene, con il talento che hai, verrai subito celebrato». Avevano ragione. A Udine ho trovato subito uno stadio stupendo. Anche se qui da voi, rispetto alla Germania, il calcio viene vissuto… un po’ diversamente ahah! Qui siete tutti pazzi, ogni giorno poi mi scrivono per il fantacalcio. Da noi se ne parla meno del campionato. Qui è questione di vita. Ed è bellissimo quando in città mi fermano per dirmi: «Dai Laki, fai un altro gol come quello al Napoli!!».

 

Magari. Quello è un gol come a FIFA!

 

Anche io mi sono chiesto: «Perché non faccio un gol del genere a partita?». Probabilmente quel giorno eravamo sotto e la mente era più libera. Ha ragione mister Cioffi, quando dice che devo prendermi più responsabilità e farmi trascinare meno dal risultato.

 

Dopo quella rete mi hanno scritto in tanti. Vlahović su tutti, con cui gioco in Nazionale.

 

Ho scelto di rappresentare la Serbia nel 2023 e ho capito subito che il livello era altissimo. Dušan, ma anche Milinković-Savić, Tadić (un altro mio idolo, ma vi ricordate il gol che segnò al Bernabéu?!) e Mitrović. Mi sono subito accorto di aver fatto la scelta giusta: nonostante abbia sempre vissuto in Germania, in famiglia parliamo soltanto serbo e anche culturalmente mi sento di esserlo.

 

Quando ti trovi davanti a una scelta così importante, devi pensare. Come quando da ragazzo, appunto, abbiamo rifiutato le big. I miei genitori non hanno mai avuto bisogno di tenermi con i piedi per terra, anche nella gestione di soldi e fama. Ho sempre avuto equilibrio. Anche perché puoi andare al Barcellona da giovanissimo, avere il contratto alto e subito i riflettori puntati. E poi rischi comunque di non arrivare. Non c’è un percorso più furbo o giusto di altri. Da ragazzo in ogni torneo vincevo il premio di miglior giocatore. Ma nel mondo dei grandi non conta niente.

 

L’unica cosa che ho chiesto a mio padre è stata: «Facciamo così, appena segno il primo gol in Serie A mi compri la macchina». Il giorno del mio esordio, sono entrato a 9 minuti dalla fine e ho subito fatto gol ahahah. Promessa mantenuta.

 

 

Voglio diventare sempre più forte. Ispirarmi ai giocatori di qualità come Dybala. Ma che stop ha fatto in Europa League?! Pallone incollato ai piedi. La differenza tra lui e un altro giocatore, tipo me, è questa: se su 10 palloni che arrivano, a lui quella giocata viene 9 volte… a me forse viene 5. Ha tutto e fa tutto in modo naturale. L’ho conosciuto, ci siamo salutati, mi ha fatto l’in bocca al lupo. Ma quel giorno ho preso la maglia di Paredes. Ne ho varie: Calhanoglu, Jović, Džeko, Leão. A proposito, Rafa mi ha fatto i complimenti dopo la rete che gli ho segnato contro nell’ultima partita che abbiamo disputato da avversari. Negli spogliatoi stavo parlando con Jović ed è arrivato Adli: «Oh Laki ma che roba hai fatto!!». E poi anche Leão è venuto a stringermi la mano.

 

Ma la strada è ancora lunga. Ho imparato a essere glorificato ma anche a prendere qualche batosta. Come la scorsa estate.

 

 

Quanto se n’è parlato!

 

Ho vissuto in prima persona una situazione spiacevole. Stavo trattando con l’Inter, ma poi non se n’è fatto di niente. Era agosto, ricordo bene, e non si leggeva d’altro. Quando sono sorti i primi problemi, ho aperto il telefono e ho trovato tantissimi insulti in chat. E ogni ora aumentavano. Ogni commento sul mio profilo parlava di quello.

 

Mi sono subito detto: «Laki, calma. È normale». I tifosi sono persone, e non tutte le persone sono uguali. Mi sono promesso immediatamente di guardare avanti, che avrei trasformato quelle offese in carica per andare ancora più forte. Mi hanno ferito però quei tifosi che mettevano in cattiva luce mio padre, che lo insultavano dicendo che pensava soltanto ai soldi, che mi rovinava la carriera. Niente che fosse più distante dalla realtà. Ci siamo parlati molto in quei giorni.

 

E alla fine, dopo tutto quel caos, mi sono guardato dentro e ho capito che non avuto alcun tipo di rimpianto per com’è andata la vicenda, di non essere andato all’Inter.

 

Sono cresciuto da quella situazione, un momento che ho vissuto e che mi ha fatto male. Posso dire che quando vieni preso di mira dagli haters, non devi né cadere né mollare. Piuttosto prendila sul ridere, perché è normale che accada purtroppo. Deve darti delle positive vibes per ribaltare la situazione. Se a loro non va bene e sentono che devono insultarti, sappi che ci sono altrettante persone pronte a sostenerti.

 

Infatti quando sono rientrato a Udine per allenarmi, nessuno me l’ha fatta pesare. Anzi, mi hanno accolto con il sorriso. Non era successo niente. Ed era ciò di cui avevo bisogno. Ne sono uscito più grande, questo sicuramente. Anche in campo: in questa stagione ho avuto modo di provare anche altri ruoli. Io mi sento trequartista, ma sto crescendo anche come play e mezzala. 

 

Voglio dirvi un’ultima cosa: state attenti a David Pejičić, è del 2007 e gioca qui con noi. Se sta calmo e ci mette la testa, può diventare fortissimo.


CREDITS:
autore: Giacomo Brunetti; testo di: Lazar Samardzic e Giacomo Brunetti; immagine di copertina: Udinese Calcio; immagini: Udinese Calcio, Imago, Image Photo Agency, Shutterstock.