a cura di Alessandro Lunari

Il Sant’Ambroeus come simbolo di Milano

Siamo stati nel cuore del Sant’Ambroeus, che a Milano unisce calcio e integrazione.

Dal 2018 a Gorla, un quartiere nella periferia di Milano, esiste una squadra di migranti e rifugiati politici. Un progetto di integrazione sociale che prende vita grazie ad un pallone calciato in un rettangolo verde. La missione del Sant’Ambroeus FC è di quelle rivoluzionarie, coraggiose: creare più di un semplice club, creare una seconda famiglia pronta ad accogliere buttando giù qualunque tipologia di barriera. Il calcio che unisce, racconta, amplifica. Vi raccontiamo a 360° tutto ciò che c’è dietro il Sant’Ambroeus FC.

 

Per presentare appieno la realtà del Santa, abbiamo intervistato varie figure. Dal Presidente ai calciatori, fino ai tifosi. Ma ci arriveremo. Il primo pezzo del puzzle non poteva che spettare a Davide Salvadori, il presidente del club.

 

«La fondazione ufficiale risale al 2018… in una pizzeria di cattivo gusto: il Santa è l’evoluzione e la fusione di esperienze preesistenti che avevano in comune la visione del calcio come strumento per far interagire persone provenienti da differenti Paesi, con lingue, religioni e culture diverse tra loro». Preparatevi, ve l’avevamo detto: è molto più di una squadra di calcio.

 

«Basta prendere un campo, un pallone e 22 persone che non hanno nulla in comune. Meglio ancora se con lingue incomprensibili tra loro. State certi che troveranno il modo per trascorrere del tempo insieme parlando una lingua universale, quella del calcio».

 

Nel 2018 il Sant’Ambroeus si iscrive in FIGC per il primo campionato. Fino a quel momento, le diverse realtà avevano partecipato solo a piccoli tornei o campionati aziendali. La fusione è il primo step di un percorso lungo già 5 anni: «Ci siamo resi conto di quanto il calcio in una grande città possa essere d’aiuto per creare connessioni. Eravamo in 6-7 nel gruppo dirigenziale, con poco personale eppure come abbiamo ufficializzato la fondazione del Sant’Ambroeus abbiamo ricevuto tantissime richieste.

 

Alla prima amichevole, organizzata proprio per riunire tutti i ragazzi interessati, eravamo in 65. Per 11 maglie. Di questi, quasi tutti erano richiedenti d’asilo che vennero al campo lasciando le loro strutture d’accoglienza. Ma quello è stato solo l’inizio: abbiamo sempre avuto un problema di panchina lunga».

 

La società è nata grazie ad una campagna di crowdfunding: nessuno dei fondatori aveva alle spalle delle risorse economiche tali da poter avviare un progetto di tale portata. Tramite i social, più di 150 persone hanno donato un totale di 10mila euro, necessari per l’affitto del campo, comprare il necessario per gli allenamenti, pagare le visite mediche e l’iscrizione al primo campionato di FIGC.

Eppure il Sant’Ambroeus non si è sempre chiamato così: «Scegliere il nome è stata la cosa più difficile. Per due mesi abbiamo avuto nomi orribili con richiami a squadre del passato, come ‘Dinamo Milano’. Poi c’è arrivata l’ispirazione: Sant’Ambroeus». L’obiettivo è diventare un simbolo di Milano. Quale modo migliore di fare riferimento al padrono della città, Sant’Ambrogio, addirittura nella lingua locale? ‘Ambroeus’, appunto, in dialetto milanese doc.

 

«Era una rivendicazione di milanesità vera, di chi vive tutti i giorni questa città fatta di differenze, stratificazioni, percorsi migratori differenti. Il nostro è solo l’ultimo step». La ricerca di milanesità si è poi spostata sul logo: «Ne abbiamo avuti di terrificanti fra il classico Duomo e altri scontati. Dopo 20 proposte, il piccione ci ha fatto innamorare subito… anche perché è l’unico animale autoctono della città. E poi dai, concedete la battuta, caga in testa a tutti. Era perfetto».