di Giorgio Scalvini

Nello spogliatoio del Borussia-Park di Mönchengladbach fa eco il rumore dei tacchetti che proviene dal corridoio. Sono stato tra i primi a rientrare e sono già seduto. Ho 18 anni e in quella stanza c’è anche un mio coetaneo. Noi in mezzo ai grandi. I nostri occhi si incrociano: io ho appena esordito in Nazionale, lui è diventato il più giovane marcatore nella storia dell’Italia. Ci conosciamo da un po’ di anni e quello sguardo incredulo che mi sono scambiato con Willy Gnonto quel giorno non lo dimenticherò mai. Mentre i nostri compagni arrivavano, noi eravamo seduti e in trance per quanto era accaduto. Eravamo diventati grandi, poco prima. Non saremmo più tornati indietro.

 

Gli ultimi due anni mi hanno stravolto la vita. Non mi sono mai sentito un predestinato: qui, l’unico predestinato, è Charles Leclerc! Fin da quando ho lasciato il tennis per dedicarmi al calcio, non ho mai percepito un peso sulle spalle. Sono stato nell’ombra evitando quella sensazione, e anche adesso che leggo il mio nome ovunque riesco a contenermi nella mia bolla. Sono bravo a isolarmi.

 

 

 

 

Per fissare i momenti della mia carriera e raccontarvi il punto di svolta, è necessario tornare all’estate del 2021, quella di due anni fa. La stagione era finita da un po’ ed ero in vacanza. Ho una chiamata persa di Andrea Ceresoli, mio compagno di squadra in Primavera: «Scalvo ma l’hai sentita ‘La canzone nostra’?».

 

Certo, chi non l’aveva sentita. Era ovunque. «Ma hai capito chi è Blanco? Il difensore della Feralpisalò contro cui abbiamo giocato due anni fa!». Questa coincidenza fa molto ridere, perché a quel punto ho scritto a Blanco ed effettivamente sì, ci conoscevamo. Mi hanno inviato le foto di una partita del 2015, del mio primo anno all’Atalanta, e mi sono ricordato di Fabbriconi, il difensore della Feralpisalò! Quando c’è stata la mia esplosione, tutti hanno iniziato a parlarne. Erano una bella squadra, vincevamo sempre noi ma eravamo un gruppo forte: secondi nella prima stagione, campionato vinto nella seconda.

 

 

 

 

Lui ha smesso di giocare poco prima della pandemia per dedicarsi interamente alla musica. Io, invece, alla musica ero devoto da tempo. Avevo 15 anni quando mio fratello mi ha fatto ascoltare per la prima volta Tedua. È stata una scoperta che mi ha stravolto. Mi ha sempre colpito ciò che dice nelle sue canzoni, l’ultimo album (finalmente!) me lo sono divorato. La prima strofa recita: «La strada verso la consapevolezza». Quello che sta accadendo a me. Su uno dei miei parastinchi ho fatto incidere l’intro della seconda parte di ‘Clone’: la ascolto prima di ogni partita per ricordarmi di non guardare mai ciò che fanno gli altri e i risultati altrui, di non invidiare il talento; perché se darò sempre tutto quello che ho, alla fine saranno gli altri a invidiare il mio.

 

Così rendo la mia mente sempre libera. Cercando di essere disilluso. Provando a realizzare tutti gli step necessari per raggiungere il mio obiettivo. Come quando una sera nell’ottobre di due anni fa ero seduto nei sedili posteriori della macchina di mio zio. Seduto nel posto davanti c’era mio fratello Andrea, accanto a me la mia fidanzata. Fermi a un semaforo, si sono voltati verso di me: «Oh, hai esordito in Serie A…». È calato il silenzio per un istante, dovevamo metabolizzare la notizia. Toccante. Pensate: quella contro l’Udinese, quando Gasperini mi ha mandato in campo la prima volta, è l’unica partita che mio padre non ha visto allo stadio nella mia carriera! Mi sono promesso di regalargli altre emozioni, quindi; ho sempre visto tutto come una spinta per raggiungere qualcosa di nuovo.

 

 

 

 

Pochi giorni dopo ero ancora in macchina, stavolta con il mio compagno Giorgio Cittadini. Non ero ancora maggiorenne, e quindi non avevo neanche la patente. Lui mi scarrozzava agli allenamenti, essendo tutti e due di Brescia. Nel pomeriggio è risultato positivo al Covid-19. Intanto era arrivata una e-mail all’Atalanta: Mancini mi aveva convocato in Nazionale. Mi fanno subito un tampone: negativo. Il giorno dopo, ancora negativo. Martedì, prima della partenza, la dottoressa si gira disperata: «Nooo Giorgio, sei positivo. Non puoi andare!».

 

Ho mantenuto la calma: sapevo che quel momento si sarebbe ripresentato. Non a maggio, quando rinunciai allo stage per le finali del campionato Primavera (caspita, era solo un anno fa!)… poi finalmente ce l’ho fatta. Mi chiamò il team manager dell’Italia, dopo alcune frasi di circostanza mi chiese dove fossi: «Sono a scuola, sto per fare l’esame». 

 

«Devo farti il biglietto del treno per Coverciano».

 

Appena sono sceso alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze, ad attendermi c’era un pullmino della Nazionale. Sopra c’era chiunque: persino Bonucci e Chiellini. Mi sono chiesto se sapevano chi fossi. E invece appena sono salito: «Oh grande Scalvo, come stai? Tutto bene?». Quando arrivi lì, sei uno di loro: a prescindere dall’età. È un ambiente stupendo, in cui tutto è più facile. Sono un gruppo di amici, come noi in under-21. Poi la prima partita contro la Germania, l’infortunio di Frattesi, Mancini che mi dice «entri tu come mediano» e l’incrocio di sguardi con Willy.

 

 

 

 

In quella squadra c’era chiaramente Barella. Lui non può ricordarselo, ma quando ero un semplice ragazzino del settore giovanile gli chiesi la maglia alla mia prima panchina con Gasperini. Mi piaceva tantissimo come giocatore e alla sua 23 nerazzurra ci sono affezionatissimo. Senza vergogna, sono andato da lui per chiedergliela. Mi ha fatto strano, quest’anno, quando sono stati altri calciatori a chiederla a me. È accaduto in due occasioni: la prima volta, a dir la verità, mi ha fatto molto ridere.

 

Ero in ritiro prima della partita contro la Sampdoria e mio fratello mi stava bombardando di messaggi per avere la maglia di Yoshida perché… gli aveva regalato tante gioie al fantacalcio. Al fischio finale, l’ho cercato in mezzo al campo per scambiarla. Non riuscivo a trovarlo, poi mi sono girato ed era vicino a me. Me l’ha chiesta lui! Era la prima volta che qualcuno voleva la mia. Abbiamo parlato, gli ho raccontato di mio fratello e siamo andati negli spogliatoi. Quando abbiamo giocato a Malta con la Nazionale, poi, uno degli avversari mi ha chiesto se potessimo scambiarcela: certo!

 

 

 

 

Se oggi sono qui, se tutti parlano di me, il merito è delle idee di mister Gasperini. C’è stato un momento nel gennaio del 2022 – che come avrete capito, è il mese intorno a cui girano gran parte dei cambiamenti della mia vita – in cui ha iniziato a prendermi di mira. Ma non in senso negativo: è scattato qualcosa, ha cominciato a spronarmi e provare a farmi crescere ogni giorno. Quando lui crede in te, fa così. E tu devi essere bravo ad analizzare e capire che è il suo modo di alzare il livello. È stato molto forte nel farmi diventare ciò che credeva potessi essere. Ho imparato a gestire la mentalità, me la porto dietro dal basket. Sono un grande appassionato di sport e mi piace l’idea di avere vari punti di riferimento. Certo, in campo non faccio trash talking come in NBA! Ma se mi chiedete chi seguo, non posso non citare LaMelo Ball! Abbiamo lo stesso sponsor e mi sono fatto inviare le sue scarpe da basket. Quest’anno ho fatto il tifo per Boston grazie a Jayson Tatum, ma non ho una squadra preferita. La cambio in base ai giocatori che mi piacciono.

 

Comunque, se il basket riesco a seguirlo con difficoltà a causa del fuso orario, appena ho delle ore libere vado al campetto con mio fratello. Anche adesso, che stiamo preparando l’Europeo, prima di ogni allenamento facciamo le gare di triple: devo essere sincero, siamo anche bravi! Non come all’Atalanta, quando con Zortea, Ruggeri e Okoli abbiamo deciso che avremmo imparato a giocare a biliardo. Mamma mia… all’inizio eravamo scarsissimi!

 

Poi… certo… il re della mentalità è LeBron: la sua routine pre-match, il lavoro extra, la gestione caratteriale. È a un altro livello.

 

In questa fase della mia vita, guardare la sua esperienza è fondamentale. Vivendo nella mia bolla, senza guardare cosa accade là fuori. Senza ascoltare le voci.

 

Come canterebbe Tedua,

Detto ciò, il concetto chiave è non lamentarsi

Né accontentarsi del proprio tozzo di pane

Lo vuoi più grosso? Vai, prendilo, rendilo reale

Senza piagnucolare sui “se”, sui “ma”.

AUTORE: Giacomo Brunetti.

TESTO DI: Giorgio Scalvini e Giacomo Brunetti.

IMMAGINE DI COPERTINA: su gentile concessione di FIGC/Getty Images.