Mi convincevo

che non fosse niente

di Gianluca Scamacca

Se hai paura di aver paura, la paura te se magna.

 

Era questo che pensavo mentre fissavo il soffitto, mi sentivo come se mi avessero tagliato una gamba. Ho sempre saputo di avere delle doti non comuni, così come di aver percorso una strada più difficile rispetto agli altri. Ora ero fermo, in un letto, frustrato. Non riuscivo ad accettare l’infortunio: il primo infortunio della mia carriera. Qualche settimana fa ho dovuto confessarlo, penso di averlo fatto per tutelarmi: sono stato in silenzio per mesi, ma durante la scorsa stagione ho giocato per gran parte del tempo con un menisco compromesso.

 

Avevo paura di non tornare più forte come prima.

 

Mi convincevo nella mia testa che non era niente. Mi allenavo sopra al dolore, prendevo i medicinali per non sentire male. Perché mi uccideva correre e sentire che il ginocchio che non c’era. Letteralmente. A ogni cambio di direzione, era come ricevere un pugno forte a metà gamba. Ho rischiato tanto, non resistevo perché se mi togli il calcio, mi togli tutto. Non trovo alibi, perché non li ho mai cercati. Da fuori le persone non lo potevano sapere. Dici ‘cazzo, questo ha fatto solo 8 gol’, ma c’è un sottobosco di verità che nessuno riesce a vedere.

 

In Premier League, dove il fisico è una componente rilevante, se non sei al 100% ti spazzano via. Quando sono stato bene, in un mese ho segnato 5 reti. Poi i problemi: prima il ginocchio sinistro che faceva male, poi il destro. A dicembre è venuto fuori che avevo una lesione al menisco esterno che non mi permetteva di performare.

 

Avevo un edema intrarotuleo che si era creato dal menisco: quando mi sono operato, mi hanno tolto un pezzettino di corpo. È andata bene, ma è stato uno schiaffo perché era il primo infortunio della mia vita. 

 

Non potevo muovermi, vivevo con le stampelle. Me pareva de annà lento, più lento degli altri. Però chi va più lento, ha maggior possibilità di osservare.

 

 

Ma sapete? Mi è servito tanto. Per la prima volta ho avuto il tempo di restare in silenzio. Di pensare. Ho rivissuto nella mia testa i momenti in cui ero stato più debole mentalmente. Mi sdraiavo e guardavo le partite in cui non ero riuscito a dare il 100%. Oppure mi sedevo e cliccavo sui video con tutti i peggiori gol che mi ero mangiato. Quando stai bene, non apprezzi i momenti negativi. Quando stai male, sì. Mi sono sbloccato mentalmente e ho capito che volevo vivermi quel periodo a pieno: ogni giorno, quando mi alzavo dal letto con una gamba sola e non potevo muovermi senza le stampelle, mentre tutti andavo avanti e io restavo fermo, mi sono impegnato a imprimere quelle sensazioni dentro di me. Mi sono sforzato di trasformarle in corazza.

 

Ma dipende da te. Volevo a tutti i costi che fosse uno shock: qualcosa che non avrei mai dimenticato, da ricordare quando tutto sarebbe andato bene. Il dolore mi ha fatto lavorare sui miei pensieri. Devi prenderti dei rischi, anche. Dare tutto, più di prima. Fare un lavoro ripetitivo che alcune mattine può sembrarti senza logica.

 

 

La sicurezza e la fiducia che ripongo in me stesso mi hanno permesso di arrivare dove sono. Fin da quando ero ragazzo, la gente parla di me. Ma se tutti parlassero soltanto bene di me, sarebbe un problema. Sono stato giudicato per i tatuaggi o per i capelli biondi. Ma questo non mi ha penalizzato: se mi avesse penalizzato, non stavo qui! Dai ragazzi… ho tre passioni: il calcio, i videogiochi e i tatuaggi, me ne sono fatti fin sopra la testa. Non mi drogo, non fumo, non mi ubriaco tutte le sere… che devo fare! Conta quando vai in campo e se sputi sangue. Sappiatelo: non ho ancora mostrato al 100% le mie potenzialità. Sono due anni che il mio Instagram continua a essere tempestato di post di calciomercato in cui vengo taggato. Per tanti sono un talento inespresso: io so di avere delle qualità ancora nascoste, ma sono stra-sicuro al 100% che chi mi prende fa un affare. Penso che mi manchi solo stare nel posto giusto al momento giusto. Quale sarà? Lo scopriremo soltanto vivendo.

 

 

Credo, però, che un punto d’arrivo non lo raggiungerò mai. Nella mia testa mi pongo sempre due tipologie di obiettivi: uno a breve termine, l’altro a lungo. Anche se nella prossima stagione dovessi segnare 20 gol, al ventesimo punterei a farne 22. Sono molto duro con me stesso, molto pretenzioso. Fin da quando giocavo per strada nel mio quartiere di Roma. Sono uno di strada, nato nella strada e cresciuto per strada. Proprio per questo ascolto Rondo, Shiva e Capo Plaza. Mi rivedo nei loro racconti, quando dopo gli allenamenti mi fermavo sotto casa con i miei amici a provare le nuove skill.

 

Quando ho lasciato la mia città da ragazzo per andare in Olanda, è stata una mazzata. Volevo provare questa esperienza che mi affascinava e farmi una cultura: non mi pento di niente, i Paesi Bassi sono una scuola di calcio. Ma ho iniziato a sentire la mancanza e sono tornato. Forse non avrei dovuto farlo. Ero piccolo, mi ero stufato. Quando sono partito, le squadre italiane non investivano sui giovani. E puntavano sul collettivo: in Olanda, invece, vogliono l’evoluzione del singolo. Al mio ritorno, la filosofia era cambiata.

 

Sono tornato a casa tra un prestito e l’altro. Sentivo la lontananza. Ne è valsa la pena: pochi anni dopo ho esordito in Serie A, al Maradona, contro il Napoli. In quei 15 minuti non ho capito niente, ho ricordato le prime volte in cui andavo all’Olimpico. Mi è tornato in mente quando dalle giovanili della Lazio passai a quelle della Roma: al cuore non si comanda. Guardavo Totti mentre facevo il raccattapalle e non gli staccavo gli occhi di dosso.

 

 

Ho sempre cercato il successo. Quest’estate sono andato in Sardegna per sfuggire al caldo di Roma. Ho visto il mare due volte, quando il preparatore mi concedeva il pomeriggio libero. Altrimenti colazione, palestra, pranzo, riposo, poi in campo. E poi morto a letto. Non volevo più sentire nessun fastidio. Voglio solo tornare a giocare a calcio.

 

Qualcuno durante la mia carriera può non avermi apprezzato. Qualche tempo fa mi ha spiazzato il follow di Lukaku. Ma anche Morata, dopo un Genoa-Juventus, venne da me per complimentarsi. E ogni anno, tante squadre si interessano a me. O sto simpatico a tutti, oppure ci sarà un motivo!

 

Durante l’infortunio, quando ero fermo a letto, ho guardato un film. Si chiama Bleed, racconta la storia di Vinny Pazienza e della sua carriera nella boxe che sembrava finita. Un incidente lo aveva lasciato quasi paralizzato, costringendolo a vivere con un esoscheletro simile ad un collare fissato direttamente sulle ossa del cranio. Ma contro tutto e tutti, con l’aiuto di un ex pugile, inizia ad allenarsi per riprendersi il titolo di campione mondiale. A un certo punto gli chiedono: «Proprio non ce la fai a mollare?». Lui risponde: «So mollare eccome. Sai cosa mi spaventa? Che sarebbe facile».

 

Mi convincevo che quel dolore lancinante al ginocchio non era niente perché pensavo di non potermi fermare. Ma quello nessuno potrà mai farlo.


CREDITS:
autore: Giacomo Brunetti; testo di: Giacomo Brunetti e Gianluca Scamacca; immagine di copertina: Imago / Colorsport; immagini: Imago, Image Photo Agency, Shutterstock.