a cura di Cosimo Bartoloni, Giacomo Brunetti, Andrea Consales, Matteo Lignelli e Francesco Pietrella

Cinque storie della Serbia.

Sono partiti dalla strada arrivando fino al Mondiale.

 

Aleksandar Mitrović, dalle strade di Smederevo al Mondiale

 

«Mio padre dice che se non avessi fatto il calciatore mi sarei dato al kickboxing o alla criminalità di strada»; più che l’estratto di un’intervista, un manifesto programmatico, il ritratto di un personaggio. Aleksandar Mitrović non ha paura di niente e di nessuno; chiedetelo a Zlatan Ibrahimović (sì, proprio lui) che in una partita di Champions League ai tempi del Paris Saint-Germain se lo è trovato ad un millimetro di distanza a dargli della femminuccia senza battere ciglio. C’è chi lo paragona a Mario Balotelli, e non solo per il numero, il 45, portato sulle spalle. Testa calda, ma anche tanti, tantissimi gol: detiene il record di reti in una stagione regolare di Championship (43 in 46 partite) e anche con la maglia della Nazionale non scherza: 44 volte a segno con le Aquile Bianche. Adesso si dice maturato e pronto per un Mondiale da protagonista, il bad boy è diventato grande.

 

 

Večiti derbi, il derby eterno tra Partizan e Stella Rossa

 

Da una parte i giovani coraggiosi, il popolo, dall’altra i Grobari, cioè i becchini: lo scontro infinito, quasi culturale, tra chi ti affronta a testa alta e chi ti scava la fossa per buttarti dentro. Questo è Stella Rossa-Partizan Belgrado, in due parole: il Večiti derbi, ossia il derby eterno. Così lontani ideologicamente, così vicini fisicamente: pensate che i due stadi distano appena un chilometro e ogni volta che si gioca il derby si accendono dando vita ad un vero e proprio Inferno dantesco. Nel 2000 la sfida durò appena 37 secondi: fischio d’inizio, invasione di campo di entrambe le tifoserie, scontri e tutti a casa. Attenzione però, in questa Serbia c’è chi non ha paura neanche di questa incredibile rivalità: si chiama Nemanja Radonjić e gioca nel Torino. Cosa c’entra? Calcisticamente nato tra le fila del Partizan, ha pensato bene come prima dichiarazione di rivendicare il suo tifo per la Stella Rossa, personalità.

 

 

Milinković Savić e Tadić: la qualità al potere, sulle orme di Stanković

 

Se immaginate la nazionale serba come una squadra tutta corsa e fisico, avete una visione quantomeno incompleta delle Aquile Bianche. Quella guidata da Dragan Stojković, infatti, è una nazionale dal talento debordante: tutto passa dai piedi di Milinković Savić e Dušan Tadić, eredi morali e tecnici del simbolo della Serbia del pallone: Dejan Stanković. Il primo, Milinković, ha fatto del gioco di suola il suo marchio di fabbrica, un gigante di oltre un metro e novanta con il tocco da numero dieci: una sorta di robot, la macchina perfetta. Il secondo ha trovato la consacrazione a 30 anni, quando ha cambiato la sua carriera passando all’Ajax e diventandone il centro di gravità permanente. Adesso il mondiale, per chiudere il cerchio. Una curiosità: compirà 34 anni il giorno in cui i Mondiali di Qatar 2022 prenderanno il via, segno del destino.

 

 

Dušan Vlahović, da aspirante medico a cannoniere

 

Che Dušan Vlahović avesse il calcio nel sangue già da ragazzo, quando vestiva la maglia dell’FK Altina Zemunì, non era difficile da immaginare. Più complicato, invece, pensare al talento serbo con camice e bisturi. Eppure, poteva essere così. Da ragazzo, infatti, il giovanissimo Vlahović, si era iscritto alla facoltà di medicina di Belgrado. Sarà poi costretto ad abbandonare il percorso quando l’impegno sui campi di calcio si farà, fortunatamente, sempre più pressante. Chissà però, che l’approccio scientifico non sia rimasto parte del suo bagaglio, ora che viene raccontato come un atleta quasi ossessivo nella preparazione e nel miglioramento del suo corpo e delle sue qualità tecniche.

 

 

Riavvolgi il nastro: Serbia Portogallo, la testa di Mitrović e il premio in beneficenza

 

Estàdio da Luz di Lisbona, minuto 91: Tadić dalla fascia destra rientra sul mancino, cross sul secondo palo dove c’è Mitrović. Colpo di testa. Gol. Silenzio. La Serbia ha appena compiuto una delle imprese più grandi della sua storia, si è qualificata ai Mondiali direttamente, senza bisogno di passare dal tritacarne dei play-off. Ha segnato la testa calda per eccellenza, e lo ha fatto di testa. C’è un profumo di dolce rivincita, a volte, quando la storia si compie. Ma non finisce qui. Qualche giorno prima della partita il Presidente della Repubblica di Serbia, Aleksandar Vučić aveva promesso ai suoi giocatori un premio da un milione di euro in caso di qualificazione. Bene, missione compiuta, e premio donato in beneficenza in favore delle cure per i bambini malati. Vittoria doppia.