Sì, balbetto

di Alessio Cragno

«Perché parli così?».

 

«Perché balbetto».

 

La sincerità dei bambini è naturale. E fin da quando ero piccolo, mi è capitato che qualcuno mi chiedesse di queste continue interruzioni. Neanche io avevo una spiegazione, o meglio: per me era la normalità. Sono sempre stato così. Non c’è stato un momento in cui è partito tutto. Ho iniziato a parlare e la difficoltà si è manifestata subito: balbettavo.

 

Non ho paura a chiamarlo «problema».

 

Sono nato a Compiobbi, un piccolo paesino in provincia di Firenze, e la mia vita fino ai 14 anni si è sviluppata lì. Fulcro di tutto, con gli amici d’infanzia e una comfort zone impareggiabile. Da bambino ho iniziato a fare delle visite specialistiche per capire cosa mi accadesse. I miei genitori mi hanno fatto analizzare dalla testa ai piedi, per comprendere a cosa fosse dovuto. Andavo dalla logopedista, e alla fine la diagnosi è stata chiara: niente.

 

Stavo bene, nessuna criticità. Solo queste continue interruzioni, un problema al linguaggio. Tutta colpa del diaframma. Del mio stato emotivo. Ho provato a curarle, e lo faccio ancora adesso. Vado dalla logopedista, ogni tanto faccio un ciclo di terapie. Da adulto è molto più facile. Quando hai 6 anni, prendi tutto come un gioco: leggi, fai le pause, impari a respirare nel modo corretto. Lo fai divertendoti. Da grande impari ad ascoltarti, a gestirti, a renderti conto di cosa serva davvero per migliorare. Ora ho maggiore consapevolezza di quello che faccio. Riesco ad ascoltarmi e capirmi.

 

 

Non mi sono mai privato di niente. I miei genitori mi hanno sempre ripetuto una frase: «Tu prendi il tempo che ti serve. Se qualcuno è realmente interessato a te, aspetta». Fondamentale. Perché se lo capisci, il problema non sei più tu. E se per te non è un problema, perché dovrebbe esserlo per gli altri? Me lo ripeto sempre: davvero, se non è un problema per me, perché dovrebbe esserlo per qualcun altro?

 

Accetto il giudizio esterno su quello che dico, ma su come lo dico non mi tocca e non mi deve toccare. Meglio trovare le parole giuste che non trovarle. Questo non significa evitare di migliorare, ma se nel percorso inciampo, pazienza. Sono questo: parlo, balbetto, vado in diretta tv e faccio le interviste balbettando. Capita che, una volta rientrato negli spogliatoi, trovi qualche messaggio su Instagram: «Ciao, ti ho visto, ma come fai? Io soffro del tuo stesso problema e mi vergogno nell’approcciare alle persone». Ne patiscono, come me, oppure sono i genitori di quei ragazzi che hanno la mia stessa caratteristica.

 

Mi dicono «grazie» perché mi vedono sereno e prendono coraggio. Io non sono un santone, né posso dire alle persone come vivere. Ma oggi vi scrivo perché spero di essere d’aiuto. C’è chi è senza capelli, chi ha un occhio più aperto e uno più chiuso. Io balbetto. Tutti vogliamo essere perfetti: belli, intelligenti, simpatici. Altrimenti non siamo abbastanza. Smettete di fare a gara con gli altri. La corsa è solo con voi stessi.

 

 

Tu sei questo, con i tuoi pregi e i tuoi difetti. I problemi diventano tali quando uno li fa diventare. Accettatevi con i difetti che avete. Se fossimo tutti uguali e impeccabili, sai che noia. Non sono queste le caratteristiche che fanno di te una brava persona. Non voglio essere retorico, so che è dura, ma vale la pena provarci e avere una prospettiva diversa da quella che ci raccontano fin da piccoli.

 

Quando mi vedete balbettare in tv, pensate: «Ma se ce la fa lui, perché non posso farcela io?». Sono un padre, e l’istinto è quello di proteggere i figli sempre e comunque. Tutelarli, evitargli i disagi. I miei mi hanno lasciato libero di fare quello che volevo, accompagnandomi e supportandomi nel farlo. Non è che se ci metti due secondi in più a pronunciare una frase, allora devi limitare la tua vita. Il rischio è quello. Frenarsi nelle situazioni per paura di essere giudicati è la fine. Io ho sempre fatto quello che volevo.

 

Mi hanno spiegato più volte come funziona. Questione di respirazione. Se riesco a mantenerla costante, a tempo, difficilmente balbetto. A tutti, quando inizia a mancare l’aria, viene automatico irrigidirsi. Se parli fino a finire l’aria nei polmoni, accade anche a te. A me capita una cosa simile: devo capire quando sta mancando l’aria e rilassarmi. E ripartire. Il problema è che non hai la percezione esterna. A volte, la percezione di te stesso è molto peggiore rispetto a quella che appare realmente.

 

 

In campo, ad esempio, mi scompare. Perché urlo, e quando urlo non mi succede. Così come quando canto. Sono frasi corte, e seguono una linea, un ritmo. Se riesco a mantenere una respirazione costante, parlando a cantilena, difficilmente balbetto. Potrei andare avanti per ore. Se parlando mi accorgo che sta per accadere e sto per andare contro un muro, cambio discorso o parole. Allungo le frasi, la prendo alla larga. Quando sei lì è un rigore: non importa con quale piede lo calci, basta che lo tiri.

 

Devo gestirmi continuamente. Io la vivo su me stesso, non per tutti è uguale. La mia sensazione è molto collegata con lo stato emotivo. Nei momenti di maggior stress o nervosismo, quando sono teso, il problema aumenta. Certo, anche nei momenti di tranquillità non mi abbandona. Ti accorgi che c’è, devi restare rilassato. Sai che devi dire ogni frase in un certo modo, che c’è il rischio di interrompersi.

 

Per me è la normalità. Se parlo, parlo così.

 

Non mi sono mai limitato, sicuramente in certe situazioni non ho detto le cose come avrei voluto, ma non mi sono mai sognato di non dirle. Questo deve essere chiaro. Nei momenti importanti non mi sono mai bloccato. Non puoi fermarti a pensare sempre: se è un periodo in cui sei stressato, e sai che può accadere, intervieni lo stesso e ti esponi. Non puoi farti condizionare e non parlare per mesi! Vai, e se succede… succede. Altrimenti diventi vittima della situazione, ti sovrasta. «Eh… volevo dire… ma non l’ho fatto», non esiste.

 

A 16 anni ho approcciato alle prime interviste nella Prima Squadra del Brescia. Sei in piazza, alla presentazione della squadra, e qualcosa devi dire. Sei il più piccolo, ed è la prima volta che parli davanti a tanta gente. Lì si è palesato il mio incubo: il microfono. Il microfono è bastardo perché, mentre parli, non senti direttamente la tua voce, ma la ascolti dalle casse. Tremendo. Forse è la situazione peggiore in cui personalmente mi possa trovare. Quella che mi dà più ansia. Ma anche lì, nessun problema: non ci si tira indietro. Da ragazzino mi preoccupavo del voto sul giornale, e mi sono anche chiesto cosa pensassero di me che balbetto. Poi mi sono detto: «Io sono questo, non succede niente». Capitava che i compagni mi dessero una pacca sulla spalla prima di un’intervista, o che l’addetto stampa mi dicesse «Tranquillo, sei andato bene».

 

 

Adesso riesco a gestire meglio le situazioni e i miglioramenti. Ho più percezione di me. Sono più maturo. Mia moglie a volte neanche se ne rende conto. Le dico «Cavolo, non sono riuscito a dire quella frase…». E lei: «Ma davvero? Mica mi sono accorta di nulla!». E rido dicendole: «Ma come? Come hai fatto a non accorgertene!». Non ho mai pensato a cosa dirò ai miei figli quando mi chiederanno spiegazioni sul perché parlo così. Vivrò il momento. D’altronde si tratta di respirare meglio.

 

Al telefono, poi, si creano dei momenti incredibili. Mi è capitato di chiamare per ordinare la pizza. Sapete cosa mi hanno risposto: «Scusi, non funziona il cellulare, mi sa che ha poco segnale, non si sente bene». Mi veniva da ridere perché volevo rispondergli «No no, guardi in realtà sono io che non funziono!». E poi la conversazione proseguiva: «Ora sento… ora no». Ci rido. Accade anche nello spogliatoio: chi ne ha vissuto almeno uno, in qualsiasi sport, sa che è un minestrone. C’è quello senza capelli, quello senza un dente, quello che ha avuto un’altra roba… e di conseguenza com’è giusto che sia ci finisco anch’io dentro. Magari ti incazzi, e nel mentre ti incarti e qualcuno ti fa una battuta. Scoppiamo tutti a ridere e stop. Dipende da come la vivi: se male, e ci scherzi sopra, peggiori. Un po’ di autoironia non ha mai ammazzato nessuno. Mi reputo una persona permalosa, ma non su questo. Se lo fossi anche sulla balbuzie sarebbe la fine. Non ne vale la pena.

 

Non sono i vostri difetti fisici a delinearvi. Non cade il mondo se avete un occhio gonfio, uscite senza vergogna. Non riuscite a parlare fluentemente come vorreste? Le persone che davvero tengono a voi vi aspetteranno. Quei 10 secondi a fine frase non cambieranno la vita né a loro, né a voi.

 

Sono Alessio Cragno. Balbetto. Pazienza.