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Marco Silvestri

«Welcome to England», mi ha detto l’arbitro. Pazzesco, non ci credevo. Stasera ho esordito con il Leeds: la mia prima partita in Inghilterra. E non una banale: Milwall-Leeds al The Den. Stadio pieno con 35mila persone. Al primo calcio d’angolo, mi preparo a uscire sereno e tranquillo, perché in Italia se ti toccano fischiano fallo a tuo favore appena perdi l’equilibrio e il tempo. E invece mi è arrivato addosso un avversario come un treno, asfaltandomi. Mi sono ritrovato a pancia all’insù, dolorante. L’arbitro ha fatto segno di proseguire. Mi sono alzato: «Ma come? Ma ha visto che botta?». Lui mi ha guardato dicendomi: «Benvenuto in Inghilterra». Spero che il mio preparatore, Sullivan, che poi è anche il portiere che ha subito il famoso gol di Paolo Di Canio, mi aiuti ad abituarmi e difendermi da questi colpi.

Io e la mia fidanzata ci siamo subito innamorati dello spirito inglese. Lei mi ha seguito in questa avventura, adesso è incinta. Qui la partita va seguita allo stadio, non esiste alternativa. Gli impianti non sono enormi, ma sono tenuti con cura e la gente ci va volentieri. I tifosi hanno una cultura sportiva davvero di alto livello. Quando andiamo in trasferta, la società ci dà alcuni biglietti per i familiari, ma a differenza dell’Italia questi non sono in tribuna, bensì nel settore ospite. Le prime volte le ripetevo: «Aspetti un figlio, non venire, ti stressi e rischi di rimanere nella folla». E invece i tifosi del Leeds, che avevano imparato a conoscerla, la aspettavano e la accompagnavano dentro alla curva, la facevano sistemare e le lasciavano qualche posto libero intorno, cosicché potesse stare comoda e al sicuro, e poi la scortavano fuori. Uscivano tutti insieme, anche insieme agli avversari, e non accadeva mai niente.

Stasera ho giocato per la prima volta nella mia vita ad Anfield. Siamo arrivati qui in Coppa di Lega, dopo aver eliminato il Norwich… quel giorno ho parato tre rigori! Il più soddisfacente, quello centrale. Oggi è stato bellissimo, anche se abbiamo perso la semifinale per 2-0 subendo entrambi i gol nel finale. È stato emozionante fare 3-4 interventi sotto la nostra curva nel primo tempo. Erano in 12mila! Porterò con me quando, al rientro in campo dopo l’intervallo, sono andato nella porta sotto la Kop. Mi hanno accolto con un applauso, io continuavo a girarmi pensando che ci fosse qualche giocatore del Liverpool dietro. E invece era per Silvestri! Una volta che l’ho capito, ho ringraziato la curva: si stavano complimentando per le mie parate fatte fino a quel momento.

L’Inghilterra è tutta un’altra storia. Prima di arrivare, ero reduce da 6 mesi al Chievo e altrettanti al Cagliari. Al primo anno qui, con Cellino, eravamo molti italiani ed è stato abbastanza facile integrarsi. Gli inglesi ci hanno aiutato, era difficile come calcio inizialmente e ricordo di aver faticato molto, non stavo giocando bene. La Championship è tosta fisicamente e tecnicamente, la tattica è tenuta meno in considerazione. Poi il campionato è lunghissimo, infinito. Sono arrivato quasi a 92 partite, sembrava non finisse mai. Arrivi a febbraio che pensi di essere alla fine, ma in realtà mancano ancora 20 partite. 

Quando Buffon mi ha dato il suo numero, non volevo crederci. Da buon italiano, da buon portiere, sono cresciuto con la sua figura come migliore di tutti i tempi. Perché questo alla fine è Gigi. Il mio modello, insieme a Dida, è sempre stato lui. Abbiamo avuto lo stesso preparatore, Ermes Fulgoni, che mi ha insegnato tantissimo e allena i ragazzi della sua zona. A volte vado con loro e devo dire che sono fortissimi, tecnicamente sono pazzeschi. Dopo una partita, è capitato di dire a Buffon: «Ti saluta Ermes». E lui, da grande, ha iniziato a parlarmi, io quasi non ci credevo. Abbiamo iniziato a sentirci, non troppo perché non voglio disturbarlo. Ma è favoloso.

Appena sarà possibile, voglio andare a vedere una partita di hockey su ghiaccio, una delle mie più grandi passioni. Ogni anno compro il gioco per la PlayStation: saremo in 10 in Italia ad acquistarlo! Uso spesso la modalità rissa ahah! Da quando viene trasmesso in Italia, ho cominciato a seguirlo maggiormente. Nell’hockey il portiere è un ruolo molto considerato, un ruolo sacro. A fine partita tutti i compagni vanno sempre dal portiere a salutarlo… una cosa che vorrei venisse fatta anche nel calcio dei miei! Appena toccano il portiere nell’hockey, partono botte da orbi. È un ruolo in cui devi avere qualche rotella fuori posto per farlo: lì probabilmente ancora di più del calcio, sei nel mezzo a lame e stecche.

Sapete cosa significa sfidare Zlatan Ibrahimović? Ecco, io oggi ci ho provato. Stadio vuoto per colpa del Covid-19, silenzio. Hanno assegnato un rigore al Milan e mi sono detto: «Se c’è anche la possibilità di togliere l’1% delle certezze a Ibra, devi provarci». Mi sono avvicinato e gli ho detto: «L’ultimo lo hai sbagliato tirandolo a destra, lo so che ora calci a sinistra». Se fosse arrivato lì al 100% delle sue capacità, mi avrebbe buttato dentro col pallone. Ho provato a punzecchiarlo… e l’ha tirata alta! Magari ha funzionato davvero… era l’unica arma in più che avevo.

La Nazionale per me è un’ossessione. Non tornarci è veramente difficile. Nonostante sia stato lì soltanto 10 giorni nel 2020, mi sono trovato così bene che non essere stato più convocato è complicato da digerire. Non sarei voluto mai andare via, per quanto mi è piaciuto stare lì. Le scelte le fa Mancini, giustamente. Io la rincorro questa convocazione, è un pallino fisso. Ogni volta che escono i convocati, li guardo sperando di trovare il mio nome: non c’è e ci sto male. Ci sono tanti portieri bravi, ma io soffro perché lavoro per quello.

L’Italia u-20 mi aveva convocato per la prima volta. Avevo 17 anni, eravamo in aeroporto aspettando di partire. Ho visto una ragazza con una valigia enorme, più grande di lei. Era bellissima. Mi sono avvicinato per chiederle se volesse una mano, lei però non mi ha calcolato. Le ho anche chiesto il numero, ma non me l’ha dato. In compenso, mi aveva detto come si chiamava: l’ho aggiunta su Facebook, scoprendo che faceva la modella. Ci siamo conosciuti, lei lavorava molto ed era sempre in giro. Non ci siamo visti per 2-3 anni, anche se ci sentivamo spesso, e siamo entrati in confidenza. Lei era più seria di me, più matura, e successivamente ci siamo messi insieme, nel 2012. Non ci siamo più lasciati. Oggi, al matrimonio di Verre, la cui moglie è sua amica, le ho chiesto se volesse sposarmi. Ha detto sì!

Sono un grande gamer. Provo tanti giochi, senza costanza: mi piace variare e capire come funzionano, anche a livello tecnico. Quelli con i camion… ti fai delle guidate allucinanti e poi finisce sempre male perché quando inizi a sorpassare a destra alla modica velocità di 180 km/h in autostrada non può finire bene ahah! A FIFA ci gioco, anche se meno rispetto a prima. Mi innervosisco, ma poi ogni anno lo ricompro e ci gioco. Mia moglie mi dice sempre: «Sei il classico che si lamenta, dici che non lo prenderai ancora, ma poi sei sempre lì a lamentarti se gli altri ci giocano e tu no». Non posso darle torto. Utilizzo Call of Duty, mi piacciono il mondo di Harry Potter e i videogiochi correlati. È un bel mondo, scritto bene, e mi è capitato recentemente di guardare tutti i film ancora una volta.

Osservo molto il portiere di hockey su ghiaccio. Negli ultimi anni, il ruolo nel calcio si è avvicinato all’hockey. Ora giochiamo più con i piedi e da quest’anno viene richiesto pure a me. Jurić non lo pretendeva, era molto diretto come modo di giocare. Mi piace, perché non si smette mai di imparare e migliorarsi, questa ne è una dimostrazione molto chiara. Adesso rischio delle giocate che in passato non avrei mai fatto poiché non richieste e non avevo una predisposizione nel tentarle. In Inghilterra, anche in allenamento, i piedi si usano molto: le sedute vengono fatte tra portieri, non dal preparatore che coordina soltanto. Si calciano tra loro. Questo, fatto tutti i giorni, serve molto. Per giocare con i piedi il portiere deve avere una buona tecnica podalica, ma più che altro penso che sia una questione di confidenza. Quest’anno stiamo facendo molti possessi con la squadra e questo ci aiuta a capire qual è la giocata giusta da fare e magari leggerla in anticipo. La differenza la fa anche la squadra, un estremo difensore ti gioca la palla se ha un paio di soluzioni. Tu sai che se la palla ti arriva da sinistra, hai una soluzione al centro o a destra: questo è fondamentale per il gioco da dietro, perché se un portiere non ha soluzioni non può inventarsele. Tu sai che facendo un determinato passaggio puoi saltare due uomini e permettere alla squadra di attaccare. Devi già sapere cosa fare, poi è chiaro che i tuoi compagni devono aiutarti molto in questo. 

Ho promesso a Gigio Donnarumma che devo giocare a Call of Duty con lui. Siamo legati da questa passione per i videogiochi al computer. Mi scrive spesso «Dai, giochiamo!», ma io per un motivo o per un altro ho dovuto ignorarlo a livello ludico. Prometto che mi rifarò, ho promesso che gli dedicherò un po’ più di tempo! Ci siamo conosciuti in quei giorni in Nazionale, eravamo 4 portieri e io ero in coppia con lui per gli allenamenti. L’ho sempre stimato, soprattutto per quel che ha fatto nonostante la giovane età. Sono amico dei vari portieri italiani: Meret, Vicario, Provedel, Cragno, Gollini, Audero… tutti bravissimi ragazzi. Ma con Gigio c’è un vero legame. E non averci più condiviso la Nazionale mi dispiace. È un pallino che non mi tolgo. L’altro giorno l’ho chiamato: «Gigio, pensa come sto messo… ho sognato che eravamo in Nazionale insieme e tu mi aspettavi per cena».