Stavolta la Danimarca non è andata per sbaglio all’Europeo

by Cesare Ragionieri

Scindere la Danimarca dal ricordo dell’impresa del 1992 è impossibile. Eriksen proverà a ripercorrerlo.

La bandiera danese, attestata per la prima volta nel lontano 1219, è il più antico vessillo di una nazione indipendente ancora in uso. Un simbolo di longevità e di resistenza al lento scorrere del tempo. Chissà se penseranno a questo gli uomini di Kasper Hjulmand quando sentiranno risuonare il proprio inno pochi istanti prima dell’inizio del loro EURO2020. O se ripenseranno a tutti i sacrifici fatti fin dalla tenera età per riuscire a emergere nel calcio ed arrivare a rappresentare la propria bandiera – appunto – nella massima competizione continentale per Nazionali. 

Quel che è certo, invece, è la fonte di ispirazione che proveranno a seguire, nella speranza che diventi la strada maestra fino alle Final Four di Wembley. Ci riferiamo – e davvero non può essere altrimenti – alla storica cavalcata della Danimarca agli Europei del 1992. Una competizione, tanto per intenderci, a cui non avrebbero dovuto neanche partecipare. Nel girone di qualificazione, infatti, si era piazzata al secondo posto, ma poi accadde qualcosa che la rimise in gioco. Un fatto storico che va al di là del terreno calcistico, ma che ebbe dirette ripercussioni anche su questo specifico ambito. 

Mentre in Svezia i preparativi per l’Europeo volgevano al termine, in Jugoslavia era in corso una guerra civile. L’anticamera della divisione di uno Stato che di fatto non esisteva più, sbriciolato tra etnie, rivalità, nazionalismo e violenze. Così, il 30 maggio 1992, l’ONU approvò la risoluzione 757, che tra le altre cose vietava ad ogni nazionale jugoslava di partecipare a qualsiasi manifestazione sportiva nel mondo. Il che comportò l’esclusione della Jugoslavia dalla competizione. L’UEFA si ritrovò così costretta a cercare in pochissimo tempo una sostituta e decise proprio per la Danimarca, arrivata seconda nel girone di qualificazione vinto dalla rappresentativa jugoslava. 

Buona parte dei giocatori erano già in vacanza e furono costretti a tornare frettolosamente in patria. Naturalmente, nessuno di loro era nella condizione fisica ideale per una competizione del genere, mentre gli avversari si allenavano da settimane. Lapidario il ricordo del CT danese, Richard Møller-Nielsen, sul momento in cui fu avvisato del ripescaggio: «Dovevo cambiare la cucina, ma mi chiamarono per giocare in Svezia. Ho chiamato un arredatore professionista per finirla». Inserita nel girone di ferro con Francia, Inghilterra e Svezia, la Danimarca superò il turno grazie alla vittoria nell’ultima giornata contro la Francia e al contemporaneo ko dell’Inghilterra contro la già qualificata Svezia. In semifinale eliminò l’Olanda ai rigori, grazie alla decisiva parata di Schmeichel, recordman per presenze (129) nella storia della nazionale e padre dell’attuale portiere Kasper. In finale l’avversario fu la Germania, battuta con una rete per tempo. Quello che sembrava impossibile era appena successo: ripescata a 10 giorni dall’inizio degli Europei, la Danimarca era riuscita a vincerli. Un percorso trionfale, scandito da tre ingredienti principali: difesa solidissima, spirito di sacrificio collettivo e grande capacità di resilienza.  

Uno dei marcatori nella finalissima fu Kim Vilfort, la cui storia merita un capitolo a parte. Durante la manifestazione continentale la sua piccola figlia di otto anni, Line, era malata di leucemia. Vilfort, sfruttando la vicinanza tra Svezia e Danimarca, tornava spessa in patria per andare a trovarla. A cause delle condizioni sempre più gravi della figlia, saltò la sfida con la Francia, ma riuscì a tornare per giocare semifinale e finale. Qualche settimana dopo la fine degli Europei, Line morì. 

Dopo qualche anno di difficoltà (non ha partecipato ai Mondiali del 2014 né agli Europei del 2016), la Danimarca si è riaffacciato nel calcio che conta in occasione dell’ultima edizione dei Mondiali, quando è stata eliminata agli ottavi di finale dalla Croazia, futura finalista, ai calci di rigore. Più in generale, la Danimarca è tornata ad ottimi livelli, come dimostra l’ultimo ranking Fifa in cui occupa la 10° posizione. Un risultato straordinario, che assume ancora più valore se si pensa ai fallimenti del 2014 e 2016. 

In tal senso, il futuro potrebbe essere ancora più roseo per la Danimarca se si pensa ai talenti che potrebbero sbocciare negli anni a seguire. Primo fra tutti Mikkel Damsgaard, per cui la Sampdoria ha anticipato una foltissima concorrenza acquistandolo nel gennaio 2020. E rimandando il suo arrivo in Italia di sei mesi, così da permettergli di concludere la stagione tra le fila del Nordsjælland. Damsgaard ci ha messo ben poco tempo per far innamorare un tecnico come Claudio Ranieri, che nella sua lunga carriera ne ha viste di cotte e di crude. «Damsgaard è un ragazzo, si sta affacciando adesso alla Serie A: quando lo mando in campo fa spesso la differenza. Può fare l’esterno a tutta fascia o giocare sul play avversario. Mi offre ampie possibilità sia dall’inizio che a partita in corso, è sempre pronto e disponibile e questo mi dà serenità nel farlo giocare». Parole tutt’altro che banali, soprattutto quando escono dalla bocca di un signore come Sir Claudio. 

Il talento della Sampdoria è solo l’ultimo giocatore della Nazionale danese che sta giocando in Serie A. Oltre a lui, infatti, ci sono capitan Kjaer, Mæhle, Stryger Larsen, Eriksen e Skov Olsen. Dalle loro giocate, ma anche da quelle dei vari Christensen, Højbjerg e Dolberg, passerà parte delle fortune della Nazionale di Hjulmand a EURO2020. Inserita in terza fascia, la Danimerca è stata inserita nel girone con Belgio (prima fascia), Russia (seconda) e Finlandia (quarta). I biancorossi, che giocheranno tutte e tre le partite davanti al pubblico amico di Copenaghen, esordiranno venerdì 11 giugno contro la Finlandia. Giovedì 17 sarà il turno del temibilissimo Belgio, mentre l’ultima partita sarà lunedì 21 contro la Russia. Passare il turno è un obiettivo alla porta della Danimarca, considerato anche che si qualificheranno le prime due di ogni girone più le quattro migliori terze. Dagli ottavi in poi, tutto potrà succedere e toccherà agli uomini di Hjulmand farsi trovare pronti e cogliere le opportunità che il destino metterà loro davanti. Cercando di emulare quanto fatto dai loro concittadini nel 1992, fenomenali nello sfruttare la possibilità che si era spalancata davanti. 

di Cesare Ragionieri