Dai tuffi in cortile a una parata che vale l’Europa

by Matteo Lignelli
Pietro terracciano

«San Pietro». È da tempo che lo chiamano così e sono stati i suoi compagni i primi ad iniziare. Forse perché si erano accorti, anche se giocava di rado, di quanto fosse determinante quando scendeva in campo questo portiere di 32 anni, nato a San Felice a Cancello, nel Casertano. Dava loro una sicurezza assurda. Coraggioso negli interventi, affidabile quando gli mettono la palla tra i piedi, Pietro Terracciano è uno di quei calciatori che si sono dovuti sudare ogni centimetro del loro viaggio dai dilettanti alla Serie A. E lui, che spesso e volentieri si è trovato nella scomoda situazione di partire da riserva, è stato costretto dalla vita a farsi trovare sempre pronto.

Negli ultimi anni è successo a Empoli e poco dopo a Firenze, dove Vincenzo Italiano – che ammira la sua abilità di giocare il pallone – lo ha preferito a Dragowski per tutta la passata stagione. Poi in estate è arrivato Pierluigi Gollini dal Tottenham e per Terracciano sembrava tutto da rifare. In panchina in campionato, è diventato l’uomo di coppa e con una parata su Brenet al 97’ ha permesso ai viola di tornare ai gironi di una competizione europea, la Conference, dopo una vita.

 

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Terracciano come l’idolo Toldo

«Senza quell’intervento saremmo andati ai supplementari con un uomo in meno». ha sottolineato proprio Italiano. In diretta su Sky, Massimo Marianella l’ha paragonato a quello di Zoff in Italia-Brasile 1982. Altri ci hanno rivisto Toldo a Wembley contro Kanu, sempre con la maglia della Fiorentina che quella notte superò l’Arsenal. Simile, è vero, ma sul lato opposto. Due paragoni che avranno gasato Terracciano, in particolare il secondo visto che «Toldone» è uno dei suoi idoli.

Il Twente non sarà l’Arsenal, però è un gesto che rimarrà nella storia del club. E nella testa del fratello Clemente, che nemmeno a farlo apposta tifa viola. «Era l’unico della famiglia contento quando ho firmato» ha raccontato Pietro un po’ di tempo fa. «Ho sempre avuto simpatia per la Fiorentina perché lui la seguiva negli anni di Batistuta. Ricordo che fece un macello quando Edmundo andò al carnevale». Così nel 2019 per il suo compleanno gli ha portato in regalo la maglia di Chiesa.

Quei sei anni di purgatorio, ora il «Paradiso»

È stato proprio il fratello a metterlo sulla strada della porta. In tutti i sensi. Da bambini giocavano nel cortile di casa. «Di solito il più sfigato va in porta: io non ero sfigato, ma piccolo» ha spiegato Terracciano. «Così mi tuffavo sul cemento. Mi è piaciuto da subito, è stata come una vocazione. Chi nasce portiere muore portiere, gli altri possono cambiare ruolo, ma noi no». Il papà, «uno testardo», lo ha convinto a fare diversi provini e a un certo punto l’ha preso l’Avellino. Finché, nel 2009, non ha deciso che era l’ora di smetterla di stare in Primavera e si è messo alla prova in Serie D. Alla prima stagione, da fuoriquota, gioca e vince il campionato con la Nocerina. La tappa successiva è Milazzo, poi Catania.

In Sicilia le cose cambiano. Intanto perché nel 2012, con Montella in panchina, fa il suo esordio in A contro il Cagliari, in una gara persa 3-0. Passeranno altri 10 anni prima che si affermi nel massimo campionato con la Fiorentina. Con tanta panchina nel mezzo. Anche a Empoli, dove arriva nel 2017, in B. Il club viene promosso anche se a lui gli toccheranno, da titolare, solo le ultime tre partite, quando i giochi ormai sono fatti. L’anno successivo gioca le prime otto per via dell’infortunio di Provedel e finalmente, a 28 anni, la Serie A lo scopre. C’è ancora il Cagliari da avversario, come uno strano scherzo del destino, ma la notte che non dimenticherà mai è quella contro il Milan, fermato sull’1-1 con dieci parate una più bella dell’altra

Potrebbe essere l’inizio di un’altra storia invece c’è sempre da aspettare, da faticare il doppio degli altri. Firenze non fa eccezione, perché sia Lafont che Dragowski sono davanti nelle scelte dei suoi allenatori. Serve l’arrivo di mister Italiano, a cui delle gerarchie non frega niente. Gioca chi merita, a costo di cambiare nove undicesimi dei titolari come ha fatto nell’ultima gara di Serie A contro l’Empoli. «San Pietro» lo conquista con l’impegno in settimana e sfrutta al meglio ogni occasione. Per il suo allenatore è fondamentale perché sa giocare con i piedi. Lo scorso settembre, a Bergamo, gioca dal 1’ al posto di Dragowski e la sua carriera cambia per sempre. Sembra che il Purgatorio sia davvero finito. E giovedì 25 agosto, nel ritorno del playoff di Conference, è stato lui a scegliere tra «Inferno e Paradiso» (parole del suo allenatore), salvando la qualificazione ai gironi di Conference. Anche se per scrivere il finale la Fiorentina ha preso in prestito direttamente le parole di Dante: «E quindi uscimmo a riveder le stelle» (Inferno XXXIV, 139).