Ti scatterò una foto: Ernesto Valverde e il declino del Barça

by Alessandro Lunari

I palazzi e le strade di Bilbao si snodano sinuosi attorno alle rive lunghe e strette del Nervión, il fiume che nasce dalla Cordigliera Cantabrica e taglia il centro più grande dei Paesi Baschi, prima di tuffarsi nel Golfo di Biscaglia. Attraversarlo in barca significa fare un tour rapido dei posti più belli della città, costringendo i passeggeri a un costante destra-sinistra con la testa non sempre facile da sostenere. Ma ne vale la pena, questo è certo, per avere una visuale privilegiata sui luoghi simbolo di Bilbao: il Museo Guggenheim di Frank Gehry, il ponte Zubizuri, l’Università di Deusto. Il San Mames.

Sono pochi gli impianti spagnoli ad avere il fascino dell’impianto bilbaino. Il vecchio San Mamés, quello soprannominato La Catedral, sorgeva proprio qui, e dal 1913 al 2013 è stato lo stadio in cui l’Athletic ha vinto otto campionati di Spagna e 23 Coppe del Re, così tante da rendere il trofeo, per un lungo periodo, la Copa Athletic. Otto anni fa, dopo un secolo glorioso, si decise di tirarlo giù e costruire un impianto nuovo e moderno, e a due anni dalla sua inaugurazione i biancorossi tornarono a sollevare un trofeo dopo oltre due decenni: la Supercoppa di Spagna contro il Barcellona, che pochi mesi prima aveva tolto ai baschi la possibilità di vincere la ventiquattresima Copa del Re. Un successo festeggiato come ai bei vecchi tempi, riempiendo e colorando le rive del Nervión.

Alla guida di quell’Athletic c’era Ernesto Valverde, e nelle immagini di quella festa lo si vede impegnato, tra le altre cose, a fotografare il popolo bilbaino. E non potrebbe essere altrimenti: ex calciatore, ma anche ex studente dell’Institut d’Estudis Fotogràfics de Catalunya, Valverde non ha mai smesso di fotografare. E non è l’unico con la vena artistica in famiglia: il fratello minore Mikel è infatti un famoso fumettista. Smartphone in mano, Valverde ha immortalato alcuni dei momenti più significativi della sua carriera, la maggior parte dei quali riguardano i tifosi: mentre festeggiano un trofeo, mentre caricano la squadra dalle strade – nel tragitto verso lo stadio – o sugli spalti. Il tecnico ha messo “il contorno” al centro del suo obiettivo, poi ha selezionato alcuni scatti e ne ha fatto una mostra: la prima si è tenuta a San Sebastian, l’altro centro calcisticamente più importante dei Paesi Baschi e casa della Real Sociedad. L’altra, iniziata a metà settembre, è ancora visitabile proprio a San Mamés.

Molte immagini ritraggono le vittorie conquistate con l’Olympiacos, con cui ha sollevato tre campionati e due coppe di Grecia. Altre riguardano la festa per la Supercoppa del 2015. Altre ancora, invece, immortalano il popolo catalano tra le strade di Barcellona mentre festeggia la vittoria delle due Liga (2017/18 e 2018/19), della Coppa del Re (2017-18) e della Supercoppa di Spagna (2018) conquistate con l’allenatore di Viandar de la Vera nei suoi due anni e mezzo al Camp Nou. «Uno magari può guardare alla mia esperienza da allenatore del Barça e dire: “Ha vinto solo due campionati, ma non ci vuole niente”. Non è vero, perché ogni vittoria comporta una quantità di lavoro che da fuori non si può capire», ha detto Valverde in un’intervista di qualche mese fa al Guardian. E ora provate a dargli torto.

Perché quelle immagini del popolo blaugrana in festa, immortalate dal sapiente occhio del tecnico, rimangono al momento le ultime immagini del popolo blaugrana in festa. Nel gennaio 2020 Valverde fu esonerato per Quique Setien, uno che al Camp Nou, fra qualche anno, sarà probabilmente ricordato meno di Francesco Coco (che comunque le sue 23 presenze col Barça le ha). Poi è stato il turno di Ronald Koeman, dell’addio del presidente Bartomeu – e del suo arresto a marzo 2021 –, del ritorno di Laporta. Della separazione con Leo Messi, delle difficoltà per tesserare Depay e Aguero. E ancora: dell’attuale settimo posto, dei due pareggi di fila con Granada e Cadice, dell’ennesima umiliazione europea contro il Bayern.

Perché è vero che Valverde è stato il volto delle due rimonte più clamorose della storia recente della Champions League, quelle subite di fila contro la Roma (quarti di finale 2018, 4-1 al Camp Nou e 0-3 all’Olimpico) e Liverpool (semifinale 2019, 3-0 in Catalogna e 4-0 ad Anfield). Ma è stato anche l’ultimo a vincere in blaugrana, in un contesto già traballante – ai limiti del decadente – ma comunque di primo piano. E invece.

Invece adesso Koeman, l’allenatore che rimarrà per sempre legato all’addio della Pulce – per colpe chiaramente non sue – è costretto ad andare in conferenza stampa per dire che la società non può permettersi di lasciare la squadra da sola. Per poi aggiungere: «Guardate i componenti della rosa… cosa si può fare? Il Tiki-Tiki?», sbagliando clamorosamente il nome della filosofia calcistica che il club ha creato, e che in molti hanno provato a replicare senza successo. Adesso il capitano, Piqué, quello che in blaugrana ha vinto 30 (trenta) trofei, è costretto a tagliarsi lo stipendio, alzare le spalle e ammettere che «siamo questi». Nel senso, non aspettatevi molto di meglio, questo siamo in grado di fare. Adesso il Barcellona è un qualcosa di talmente deprimente che la testata The Athletic, in maniera provocatoria, ha scritto un pezzo che recita così: “Col Granada 54 cross in area e Piqué usato come centravanti. Il Barcellona è il nuovo Stoke? O lo Stoke è il nuovo Barcellona?”. Amen.

Adesso, Valverde è ancora senza squadra e il Barcellona, sostanzialmente, pure. E quelle foto esposte a San Mamés, per quanto scattate meno di tre anni fa, sembrano lontane un secolo. Per entrambi.