a cura di Giacomo Brunetti

Il Tre Fiori è una squadra dilettantistica che partecipa alla Conference League per San Marino

Siamo stati nella Repubblica di San Marino per rispondere a una domanda: come funziona il calcio qui? Troppo spesso stigmatizzato, abbiamo vissuto insieme ai giocatori del Tre Fiori il match-day di una partita europea

Non c’è alcun segno di stanchezza sui loro volti. Qualcuno ha appena staccato da lavoro per raggiungere la hall dell’hotel National di Rimini prima di pranzo. Altri, invece, sono alle prese con qualche colpo di tosse, dolce regalo dell’infinito viaggio di ritorno dalle isole Fær Øer. Sono arrivati ieri sera, dopo il loro orario d’ufficio, perché mancano 24 ore a un evento molto importante della loro vita. Alcuni vendono macchine, qualcun altro fa l’impiegato, c’è anche chi ha dovuto saltare la partita d’andata perché «era proprio l’ultimo esame d’università e non potevo fare altrimenti». Ma oggi non si scherza: loro sono i giocatori del Tre Fiori e la storia li chiama. Il secondo turno di qualificazione di Conference League è a portata di mano: hanno eliminato il Fola Esch, società lussemburghese, e adesso devono compiere l’impresa con il B36, sbarcato in Italia due giorni fa da Tórshavn e rinchiusosi in ritiro in un paesino romagnolo, cercando di combattere l’escursione termina che li ha sbattuti in un colpo solo da 10 a 40 gradi centigradi.

 

Stasera, al San Marino Stadium, rappresentano una nazione. Il loro condottiero è il mister, Andy Selva, primatista di reti con la selezione del suo Paese e autentica leggenda da queste parti. Siede in panchina da qualche settimana e ora cerca di trovare la concentrazione parlando con il resto dello staff. Si adagia su una sedia in vimini e ripassa ad alta voce

 

«Non è semplice preparare la partita. Ci alleniamo tre volte a settimana, e per giocare stasera, non abbiamo avuto molto tempo». Già, perché la scorsa settimana è stata dura. Qualcuno ha dovuto chiedere al titolare 5 giorni di ferie per volare fino alle Fær Øer. Un viaggio traumatico e infinito: partenza da San Marino il martedì sera, volo charter fino in Danimarca, poi un’odissea culminata nel ritardo di 12 ore per sbarcare sull’isola. Una notte in più a Copenaghen e tanta stanchezza. «Un volo diretto, con il charter, ha dei costi impensabili, perché non tutti i piloti possono atterrare alle Fær Øer per le caratteristiche della pista, serve un patentino speciale», ci spiegano. Sembrano problemi impensabili per una squadra di calcio. Non per il Tre Fiori, che ha uno status dilettantistico e nonostante ciò, vive da anni il brivido europeo. Nel 2020 ha pure giocato in Champions League, scendendo in campo nella prima partita di una competizione europea post-pandemia, a Nyon. «Sembrava di essere in un mondo parallelo».

 

 

Selva trascorre queste febbricitanti ore insieme al figlio e ad alcuni membri dello staff: «Tutto qui è complicato, i giocatori lavorano e fortunatamente la UEFA ci permette di aggiornate la lista della rosa ogni 2 giorni». Anche perché davanti c’è il B36, che vive di professionismo: «Spendono 10 volte tanto. A livello tecnico sono avanti, ma all’andata gli abbiamo dato filo da torcere. Abbiamo perso all’ultimo. Abbiamo dovuto rinunciare a quattro calciatori per impegni lavorativi e universitari, adesso ne abbiamo recuperati due. Le difficoltà legate al lavoro dei nostri atleti rappresentano il 70% di quelle totali. Questo è uno sport impegnativo e qualcuno deve mollare, reperire talenti non è semplice anche per questo fattore».

 

La mentalità del Tre Fiori è rinnovata: «Dal professionismo voglio importare il concetto di non accontentarsi. Non è semplice in una realtà dilettantistica, dove i calciatori giocano per passione e non possono allenarsi con costanza e totale dedizione. San Marino è sempre stata considerata la fine del calcio, posso confermare che in passato era così. Adesso non più, specialmente se ti accasi in uno dei top-6 club. C’è voglia di fare calcio, c’è organizzazione, ci sono ottime rose. Mi piacerebbe vedere le migliori squadre competere nel campionato italiano, magari in Eccellenza: sarebbe allenante e metterebbe alla prova le società sammarinesi».

 

L’emozione, nonostante 76 presenze con la Nazionale e la riconoscibilità internazionale, c’è anche per mister Selva. «Abbiamo un’opportunità che, in carriera, non capita neanche alla maggior parte dei calciatori di Serie A», perché effettivamente disputare una competizione europea è un privilegio per pochi.

 

 

I giocatori si avviano verso la sala pranzo mentre noi stiamo parlando con un altro protagonista. Si chiama Andrea De Falco, è nato nel 1986 e dopo 16 anni di professionismo, si sta regalando un’avventura inedita. Fiorentina, Sassuolo, Chievo, Pescara e tante altre piazze hanno contraddistinto il suo percorso da nord a sud della penisola. «A San Marino il campionato non è professionistico, ma ti dà la possibilità di giocare in Europa, ed è qualcosa che in pochi possono fare. Ho una stabilità economica, per molte persone la mia scelta è stata folle, ma invece ho accettato questa sfida in modo completamente razionale». Qualcuno gli ha detto «Guarda che in questo modo ti allontani dal calcio di livello»: Andrea non è assolutamente d’accordo, dato che «Ci sono obiettivi più grandi qui che in tante piazze italiane».

 

Mettere un solo scarpino sul prato di Champions, Europa League o Conference è – diciamocelo – il desiderio di ogni appassionato. Anche se questo appassionato, come detto, ha una miriade di partite nelle maggiori serie calcistiche. «Lo ammetto: prima della trasferta in Lussemburgo nel primo turno di qualificazione, non ho dormito per due notti. Mi tremavano le gambe, non vedevo l’ora di provare questa emozione. Lo ammetto: sto volando».

 

De Falco prosegue con le proprie convinzioni: «Secondo me, tra qualche anno tanti dilettanti si sposteranno qui». Certo, c’è un problema con gli impianti: a San Marino ci sono 15 club e i terreni da gioco non bastano. «Dividiamo per la maggior parte degli allenamenti il campo con il Fiorentino: metà campo a testa. Devi attivarti anche a livello di attenzione, perché il pubblico è poco e la partita viene vissuta diversamente. Il problema delle strutture e del dilettantismo è il maggior ostacolo: siamo tornati sabato dalle Fær Øer e ci siamo allenati soltanto il lunedì». Lui non lavora, certo, ma i suoi compagni sì: «Io mi adatto, sono umile e certe cose mi emozionano. Ho capito la realtà ed è diventata la mia normalità. Ti alleni alle 19.30 per permettere ai tuoi compagni di staccare dall’azienda e venire al campo. Seguiamo un’idea unica, senza egoismo o malizia. C’è una concezione di calcio diversa. Devi essere leader tenendo conto di molti fattori, diversi dal solito: posso chiedere di dare il massimo a un ragazzo, ma considerando sempre che arriva da 8 ore di lavoro, mentre io ho avuto la giornata per prepararmi». 

 

Pensate che 6/11 della formazione titolare ha fatto, forse, sei allenamenti insieme. Hanno terminato la scorsa stagione a fine maggio, a giugno si sono subito ritrovati e hanno iniziato a chiedere i permessi ai datori di lavoro. I nuovi innesti sono arrivati progressivamente, qualcuno tesserato solo per le coppe europee con la speranza di trattenerlo in rosa per il resto dell’anno sportivo.

 

Sono le 16.30 e li vedi i primi sguardi persi. Stanno realizzando che sì, ci siamo

 

Bisogna controllare che tutti i pass siano in ordine e che tutte le figure dello staff siano in elenco. «Solo a me fa un caldo tremendo?», ma nella sala il condizionatore fa il suo dovere. Il team manager, Filippo Silvi Marchini, ne è consapevole: «Ok, è l’ansia per la partita». Bisogna chiamare in Federazione per alcune delucidazioni, perché c’è un giocatore squalificato e serve capire se possa accedere o meno agli spogliatoi per vivere la preparazione insieme i propri compagni. Ci sono tutti: tifosi, curiosi, appassionati, familiari. Ci sono anche gli avversari, perché l’impresa gioverebbe a tutto il movimento, sia a livello di prestigio, sia a livello di premi economici. E a queste latitudini, ogni aiuto fa la differenza

 

Aster Casali, il dirigente di lungo corso, controlla insieme al team manager, Filippo Silvi Marchini, le richieste degli avversari. Ci mostra il pannello della UEFA – «Sì, quello che utilizzano anche Barcellona e Real Madrid, per intenderci» – dove si possono esternare le proprie richieste in vista della partita: puoi richiedere la scorta, il numero di banane che ti aspetti nello spogliatoio, qualsiasi bizzarra fantasia necessaria alla performance. E una miriade di moduli burocratici. Insomma, saranno dilettanti, ma fanno le cose da professionisti, com’è obbligatorio che sia per la UEFA. Loro non hanno figure adibite a questi compiti: tutti fanno tutto e si danno una mano. Con loro anche Giorgio Leoni, direttore tecnico da 5 stagioni e per anni ct della Nazionale e amante del calcio, conoscitore profondo della materia.

 

Siamo seduti insieme accanto a loro, e a Nicola Della Valle, 25enne difensore che da qualche anno difende i colori del Tre Fiori. Che ci inizia a raccontare.