Un ex poliziotto e l’altro Ibra: tutti i segreti della Turchia

by Francesco Pietrella

Si dice da mesi, con sicurezza, a voce alta. «Italia-Portogallo si giocheranno il Mondiale in finale playoff». Come se Macedonia del Nord e Turchia non esistessero. Con i primi ci giochiamo noi, giovedì a Palermo, con gli altri i lusitani. Siamo sicuri che entrambe reciteranno il ruolo di comparse? Dei macedoni abbiamo già parlato qui, ora tocca alla Turchia. Premessa: è quasi la stessa squadra a cui abbiamo rifilato tre gol all’Europeo, zero punti in tre partite, anche se il tedesco Stefan Kuntz ha preso il posto di Gunes a settembre (fatali i sei schiaffi presi dall’Olanda). La Turchia non si qualifica a un Mondiale da vent’anni, Corea-Giappone 2002, quando arrivò terza e stregò tutti. L’obiettivo è tornare lì. 

Nuovo allenatore

Intanto il c.t. Kuntz è alla prima esperienza con una nazionale. Negli ultimi sei anni ha reso grandi i talenti tedeschi, c.t. dell’U21 dal 2016 al 2021. Ha vinto due Europei di categoria e in uno è arrivato secondo. Il Portogallo gli porta bene: a giugno 2021 ha battuto 1-0 i lusitani grazie a un gol di Nmecha, Germania campione d’Europa per la seconda volta nella sua gestione. Tra le fila di Rui Jorge c’erano Vitinha, Dalot, Leao, Diogo Costa e Djaló, oggi in rosa con Fernando Santos. Negli ultimi anni ha plasmato un’ottima generazione di tedeschi da cui attingerà la Mannschaft (vedi Wirtz).

L’ex poliziotto Kuntz

Con la Turchia non ha ancora perso una partita, tre vittorie e un pari, anche se i successi sono arrivati contro Gibilterra, Lettonia e Montenegro (solo 1-1 contro la Norvegia). Ai turchi piace però. Kuntz è un allenatore solido, roccioso, da 4-4-2. Con l’U21 tedesca ha una media inviabile di partite vinte: 38 su 53, con sette pareggi, otto sconfitte e 137 gol segnati. Media punti di 2,3. Qualche curiosità: suo cugino è Andy Kuntz, cantante Metal con i capelli lunghi oltre le spalle, mentre papà Gunter ha giocato in Bundesliga, mentre suo figlio conduce un programma radio. Prima di diventare calciatore ha fatto il poliziotto, mentre nel 1999 si è candidato con l’SPD alle presidenziali. Non è stato eletto. 

Yilmaz, Italia sfiorata

Il blocco italiano è rimasto: Calhanoglu, Muldur, Ayhan e Demiral. Se la storia avesse seguito un altro corso ne avrebbe fatto parte anche Burak Yilmaz, il capitano, faro e bomber turco. Anni 36, sette squilli con il Lilla campione di Francia, è stato vicino a Lazio e Lecce. Soprattutto ai primi. Il pomo della discordia tra lui e Lotito fu l’agente. Secondo il patron biancoceleste avrebbe chiesto più soldi al momento della firma. «Voleva due milioni». Dopo aver visto il Colosseo non è rimasto nella Capitale. Nel 2020 ci ha provato il Lecce, pallino del d.s. Meluso. Anche lì problemi. Alessandro Alberti, l’intermediario tra il Besiktas e i pugliesi, ha raccontato l’affare tempo fa: «C’era una bozza di contratto, Burak voleva trasferirsi a Lecce, era contento, ma ebbe un affaticamento proprio nel momento clou». Non era destino.

L’Ibra turco

Uno dei talenti turchi più intriganti resta Enes Unal, 24 anni, in due parole “l’Ibra turco”. Il primo a chiamarlo così è stato Joe Hart, portiere del City, ex compagno di Enes durante l’avventura inglese. Un paio di ritiri e poi subito in prestito (Genk, Nac, Twente). Unal è una punta di un metro e 85 di cui si parlava bene. Ha debuttato nel campionato turco a 16 anni e poi l’ha preso il City. «Predestinato», «talento», ma la storia ha detto altro. Oggi Unal gioca e segna nel Getafe, 14 gol in 28 partite. In nazionale fatica un po’ di più, solo due squilli contro Andorra in 24 partite. Non punge addirittura dal 2019. A 18 anni lo chiamavano «Unalimovic» perché si muoveva come lui, il classico 9 tutto fisico e potenza. Tecnica da affinare però. Al Twente gli hanno insegnato a costruire dal basso con esercizi specifici, poi ha giochicchiato senza pungere tra Villarreal, Valladolid e Levante. Quest’anno ha imparato anche a segnare. Il Portogallo ha annotato tutto.