Tutti i segreti di uno chef di una squadra di Serie A

by Redazione Cronache

Una società di calcio è molto più complessa di quanto si creda. Dal presidente fino alla base della piramide, gli elementi che compongono un club sono numerosi e variegati nelle loro funzioni. Così come in cucina, uno degli ambienti più frenetici in ambito lavorativo. Ci siamo chiesti: come lavora un cuoco in una squadra di Serie A? La risposta arriva direttamente dallo chef del Milan, Michele Persechini, intervistato dai canali tematici rossoneri.

«Lavoro nel Milan dal 1988, sono il cuoco che si occupa soprattutto delle trasferte», spiega, prima di svelare la propria giornata tipo. La sveglia è puntata alle 6.00, in vista della colazione per «i ragazzi», e termina alle 21.30, dopo la cena. «Uso solo pomodoro fresco – racconta Persechini mentre cucina il pranzo per la squadra – e all’estero cerco i prodotti italiani, perché altrimenti non puoi conoscerne esattamente la provenienza. Negli alberghi mi forniscono gli ingredienti di cui ho bisogno e io inizio a combattere con i fornelli». Rispetto a quando ha iniziato questo lavoro, fioccano le differenze: «Ai tempi, bisognava portare tutti gli ingredienti dall’Italia, dall’olio alla pasta. Li prendevamo calcolati per tre pasti: una volta una partita fu rimandata per nebbia e dovetti recuperare gli ingredienti sul luogo per altri due pasti».

Spaccato di ricordi per lo chef, che ha vissuto tante emozioni a tinte rossonere: «Capello odiava i fiori sui tavoli, era scaramantico. In una trasferta, in cui il Milan era già qualificato, gli feci trovare tutti i tavoli pieni di fiori. Iniziò a chiamare dicendo ‘chi ha messo i fiori sul tavolo?!’». Dal tecnico ai festeggiamenti dopo la nottata di Atene: «Alle 5.30 qualcuno lanciò l’idea di una spaghettata a bordo piscina. Dopo la classica aglio e olio, qualcuno mi gettò in piscina, senza sapere che sono negato a nuotare. Maldini mi prese per un braccio e mi tirò fuori». Persechini racconta anche alcuni aneddoti riguardanti le richieste dei calciatori: «A Romagnoli prima della partita non puoi togliere i rigatoni al ragù, mentre Abate non vedeva l’ora di mangiare gli spaghetti al pomodoro. Inzaghi voleva un po’ di pasta in bianco, poi nello stesso piatto voleva un po’ di pasta al pomodoro e dopo ancora, nello stesso piatto, mangiava la bresaola. Sacchi invece era talmente concentrato che mangiava e pensava agli schemi. Ancelotti… una buona forchetta». Insomma, a pancia piena si gioca meglio.