Dall’Eccellenza alla Serie A, la storia di Emanuele Valeri

by Francesco Pietrella
Emanuele Valeri

L’assist più bello glielo ha fatto un allenatore tignoso ma intuitivo. Uno che dal nulla gli ha detto «Ema, scala terzino, è il ruolo tuo». Dubbi evidenti, gesti del corpo inequivocabili. Di chi preferisce stare più avanti. «Non ti piace?», gli disse il mister. «Mah, che te’ devo di’…». Tradotto in un «se proprio devo ci gioco, ma non sono contentissimo». 

Quel gran rifiuto della Lazio

E invece gli cambierà la vita, perché dieci anni dopo quel cambio di rotta Emanuele Valeri gioca in Serie A con la Cremonese, un’isola felice trovata per caso dopo centinaia di pagaiate in mare aperto, schivando ostacoli e rifiuti. Il primo a 13 anni, quando a fine stagione la Lazio chiude a chiave il centro sportivo di Formello e gli dice «no, ci dispiace, devi andare via». Valeri, lazialissimo come tutta la famiglia, una vita da abbonato in curva, ci resta così male che non sa che dire. Il primo scoglio della sua carriera, tant’è che ancora oggi, nei momenti no, dà uno sguardo al suo tatuaggio preferito, ‘my family’, due parole che nascondono storie. Se Emanuele gioca a calcio da professionista lo deve ai sussurri di mamma e papà, ma anche ai modi gentili dei suoi nonni, Roberto e Algenere, quelli che quando il nipote fu scartato gli hanno sollevato il mento e detto «ok, capiamo la botta, ma ora rialzati». E così è stato.

Dall’Eccellenza alla Serie A

Romano di Primavalle, dopo un paio di stagioni nella Centro Federale Valeri arriva nel gruppo dei ’98 della Lazio, a cui si aggregheranno anche Frattesi e Scamacca. Il ‘no’ dello staff biancoceleste coincide con l’arrivo all’Urbetevere, storica società romana, e al famoso cambio di rotta: da ala a terzino sinistro grazie a Marco Mei, il primo dei due guizzi che indirizzeranno il suo destino. Il secondo è di Giacomo Galli, allenatore dell’Atletico Vescovio in Eccellenza ed ex punta della Lazio Primavera. A 16 anni Valeri gioca in quinta serie per divertimento, segna un paio di gol,  non percepisce uno stipendio, si scende in campo tutte le partite e poi se ne va all’Olimpico con gli amici, abbonato in Curva. Il 26 maggio 2013, il giorno in cui la Lazio ha vinto la Coppa Italia con la Roma, era in tribuna con tutta la famiglia. Il bello è che l’esordio in Serie A è arrivato nello stesso stadio dove faceva il raccattapalle e dove ha visto centinaia di partite da tifoso, tra cui il derby del gol di Di Canio sotto la Sud, 6 gennaio 2005. Tredici anni dopo, agosto 2022, il debutto contro la Roma. Lì intorno, nel 2016, strappò la salvezza con l’Atletico Vescovio in un campo in sintetico a Via del Baiardo, sul Tevere. 

«Tu diventerai un giocatore»

Mister Mei l’ha messo sulla strada giusta, Galli gliel’ha spianata. A fine 2016 gli fa una promessa: «Diventerai un giocatore». Alla fine lo prende il Rieti, Serie D, la prima picconata lungo la montagna, tre gol in 34 partite prima della chiamata del Lecce, in Serie C. Un anno formativo dove scende in campo solo sei volte, ma conquista una storica promozione in Serie B con Liverani allenatore. Da qui di nuovo in D, stavolta a Cesena, prima di un’altra promozione al Dino Manuzzi. 

It’s a long way to the top

Il resto è storia: la Cremonese lo prende nel 2020 superando la concorrenza di diversi club, tra cui Vicenza e Salernitana, rendendolo un titolare fisso. L’anno scorso ha centrato la promozione in Serie A al secondo tentativo. Mister Alvini ci crede, lo sprona, e lui lo ripaga arando la fascia come l’idolo Marcelo. Ogni volta che scende in campo pensa a quel “no” che gli ha cambiato la vita. A una stagione giocata in Eccellenza in cui è divertito come non mai. E ai sussurri di chi gli vuole bene. «It’s a long way to the top», cantavano gli AC/DC. Vale per il Rock ’n Roll, ma pure per Valeri.