Baseball, polli e… Lozano: è l’ora di Vásquez

by Redazione Cronache

«Papá, yo quiero ser futbolista». E risposta: «Está bueno, mi’jo’». Sarebbe anche una delle frasi più comuni al mondo, se solo non fosse che a pronunciarla è stato Johan Vásquez. E Johan Vásquez è nato a Navojoa – nello stato di Sonora, Messico settentrionale – dove di calcio si parla poco perché lo sport preferito è il baseball e puntualmente i bimbi, da piccoli, desiderano palline prima di palloni, basi da conquistare anziché gol da segnare. Per questo suona strano che questa landa di appassionati di baseball abbia forgiato qualcuno capace di debuttare in Primera División messicana, conquistare una medaglia olimpica – a Tokyo – e arrivare in Italia. Tutto dopo aver pensato di lasciare il calcio per restarsene a casa a raccogliere yoyomos (una varietà di prugne gialle) dagli alberi.

Tra baseball e frutti di mare

A Navojoa, oggi, esiste una scuola calcio particolare. Si chiama Zito’s Boys. Zito altro non è che il soprannome di Rigoberto Vásquez, papà di Johan, che nel 1996 dichiarava guerra al baseball provando piuttosto a diffondere il calcio nel circondario. Di lavoro faceva tutt’altro – gestiva un chiosco di tortillas e specialità a base di frutti di mare – ma la passione c’era e l’intera famiglia era coinvolta nelle due attività di Zito, tanto che i due figli Johan e Rigoberto, di cinque anni più grande, spesso si alternavano a sparecchiare i tavoli o portare i piatti alla clientela. In cambio si allenavano col padre, anche se lui racconta di non aver realmente insegnato nulla a Johan: «Calciava più forte dei coetanei, aveva gambe robuste». Normale, dunque, che fosse destinato a diventare centravanti. Ma qualcosa andò storto. «Mi’jo, perché non vuoi fare l’attaccante?». Risposta secca: «Non mi piace, papà».

Provini saltati e polli a casa Vásquez 

Accade che a un certo punto la carriera di Johan Vásquez decolla, ma da difensore. A 10 anni il ragazzo è del Pachuca, quando la nostalgia di casa obbliga sua madre, Esmeralda Ibarra, a riportarlo a Navojoa. Poi a 13 anni, al Pumas, tutto sembra andar bene ma una notte, all’improvviso, Johan viene svegliato di soprassalto: «Devi andartene». Alla sua richiesta di spiegazioni, gli dicono che il club ha deciso di non offrire più l’alloggio ai calciatori non residenti a Città del Messico. Stessa cosa, in circostanze meno irruente, avverrà anni dopo al Tigres. E non è finita. Un provino per il Cruz Azul stava per concludersi positivamente, quando una telefonata rovinò tutto: «È troppo magro per la sua altezza». Così Johan tornava a Navojoa ad aiutare il padre al chiosco, trascorrendo le giornate tra lo skateboard e… i polli: «Ne aveva anche dieci, in giro per casa – racconta Zito – gli piaceva prendersene cura».

Gol e pasta al pesto

A 16 anni, Vásquez è dovuto ripartire dalla terza divisione messicana, al Cimarrones de Sonora, e solo perché lì allenava un amico di suo padre. Cresciuto, in estate eccolo al Genoa di Goran Pandev, dove l’adattamento non è stato semplice: «Devo avere pazienza – aveva confidato a Tv Azteca – mi sono sentito un po’ a disagio e ho parlato poco con Ballardini, l’italiano è un problema». Abituarsi al cibo, in confronto, una bazzecola: «In Serie A serve curare l’alimentazione, eppure la pasta al pesto è ottima…». Poi il 17 ottobre ha segnato al Sassuolo – di testa, su calcio d’angolo di Rovella – e cinque giorni dopo ha festeggiato i 23 anni. Non solo Vásquez è il secondo messicano ad aver segnato in Serie A, assieme al napoletano Lozano, ma col Chucky (che pure segnò all’esordio, il 31 agosto 2019 alla Juventus) condivide lo scopritore: Ángel Coca González, già noto per aver lanciato Cuauhtémoc Blanco. E se alcuni tifosi rossoblù già paragonavano Vásquez a El Yamiq, il difensore marocchino acquistato nel 2018, i connazionali di Johan non avevano dubbi e da tempo intimavano a Ballardini sui social: «Que metan a Johan». Che avessero ragione loro?