Alle origini di Vicario: «Scoperto per caso in amichevole, vi racconto la sua storia»

by Francesco Pietrella
vicario

A inizio chiacchierata tira fuori la distinta: «Guarda su Whatsapp, ti ho inviato un’immagine». Nomi, date di nascita e due squadre: Tamai-Udinese Primavera, agosto 2013. «È lì che ho scoperto Vicario». Portiere titolare dei baby friulani, ora perno dell’Empoli adocchiato da un pugno di d.s., tra cui Tare. Il primo a intuirne capacità e talento, però, è stato Renzo Nadin. «In panchina c’erano Meret e Perisan, mentre Scuffet era già in ritiro con la prima squadra. Io ero il direttore sportivo del Tamai… e quel giorno Vicario parò tutto. Era alto e secco, sveglio e furbo, un diciassettenne che volava da un palo all’altro. Cerchiai il suo nome in rosso e pensai, ‘questo ragazzo potrà tornarmi utile, me lo segno’». Così sarà. 

Da terzo portiere a titolare

Oggi Renzo lavora con la Sacilese in Promozione. Nel 2014, dopo una quindicina d’anni nel Tamai, firmò con il Fontanafredda in Serie D.«Dopo aver rispolverato quel vecchio foglio chiamo il responsabile del settore giovanile dell’Udinese, Angelo Trevisan, e chiedo informazioni su quel ragazzino che mi aveva stregato un anno prima. Vicario non giocava mai, non aveva mercato, così gli diedi una chance. Avrebbe dovuto fare il terzo portiere, ma si è imposto come titolare. Oltretutto, quando l’ho visto da vicino, mi ha fatto una bella impressione». Testa sulle spalle, ragazzo educato, famiglia a modo. «Con il padre ho parlato solo due volte: la prima a inizio anno, quando gli dissi che credevo nel figlio, e l’ultima a fine stagione. Mi ha ringraziato. Non è mai stato uno di quei genitori che ti ronzano attorno per metterti pressione». 

Vicario? No, Facchin…

Imporsi non è stato facile. «Davanti a lui c’era Alessandro Facchin, un altro portiere del ’96, anche lui scuola Udinese. Erano diversi però: Guglielmo era alto e secco, mentre Alessandro era già strutturato, un metro e 90 per 85 chili. Tra l’altro da giovane era così forte che la madre di Scuffet, un paio d’anni prima, andò dalla dirigenza a dire che avrebbe riportato Simone nella squadretta del paese, perché non giocava. Il titolare era Facchin». E poi? «Dopo il Fontanafredda ha mollato, ha scelto di studiare e laurearsi, mentre Vicario ha continuato a testa bassa il suo percorso». Con i suoi soliti occhi della tigre. 

«Dove vai? Lì non giochi…»

Fondamentali. «Dopo aver giocato con noi andò 15 giorni in prova a Pordenone in C, ma davanti a lui c’era Matteo Tomei, un veterano della categoria. ‘Occhio’, gli dissi, ‘lì non giochi mai’, così scelse il Venezia. È stata la sua fortuna». Come Fontanafredda del resto, 30 partite da titolare. «Davanti a lui c’era Onivello, un ’94, ma quando presentai Vicario dissi che uno così avrebbe faticato a stare in panchina. Non mi credeva nessuno, ma alla fine la storia ha detto altro». 

In treno da Udine a Fontanafredda

Senso del sacrificio: «Abitava a Udine con i genitori. Per arrivare da noi prendeva il treno e l’autobus, da casa sua erano sì e no 60 chilometri». Altre qualità: «È un portiere regolare, continuo, senza alti e bassi. Si mantiene così. Ricordo una grande partita contro il Padova. Fu una sorpresa assoluta. Aveva 18 anni e si confrontò con gente che lavorava. Lui studiava. Negli anni ci siamo sempre sentiti, e ora mi deve una maglietta». Magari della Lazio: «Guglielmo merita una big, merita l’Europa. Ora è anche migliorato con i piedi, l’annata a Empoli gli ha fatto bene. Quando penso a lui ricordo quel ragazzino alto e secco che veniva in treno da Udine e non diceva una parola. L’estate, al mare a Lignano, incontro lui, Provedel e Scuffet in spiaggia. Ridono e scherzano come anni fa». Quando Gugliemo parò tutto di fronte a un d.s. attento.