Note salvate dall’utente

Wladimiro Falcone

Questa nota l’ha salvata mia madre, anche perché il 15 dicembre 1995 avevo solo 7 mesi. E perché siamo qui, allora? Perché dovete sapere che prima di essere un calciatore, sono stato un attore. E la mia prima comparsa sul grande schermo è stata in un film campione d’incassi: ‘Viaggi di nozze’, con Carlo Verdone. Avete presente la scena in cui Verdone tiene in braccio un neonato? Quel neonato sono io, a soli 3 mesi. La sorella di mia nonna aveva rilevato un’agenzia cinematografica che si occupa di comparse. Ce l’abbiamo ancora. Serviva un bambino e pensarono a me. Mia madre mi ha raccontato che Verdone fu entusiasta perché nel momento esatto in cui avrei dovuto piangere, piansi. Solitamente vengono inseriti gli effetti speciali. Io, invece, piansi davvero.

Ho fatto 3-4 film all’anno fino ai 14 anni, quando mi sono trasferito a Genova per entrare nel settore giovanile della Sampdoria. Ho fatto la comparsa anche in Ris, Distretto di Polizia e Amore 14, l’ultimo a cui ho preso parte. In alcuni ero a scuola, in altri giocavo a pallone, in Amore 14 sono presente pure nella scena in discoteca. Molte erano fiction della Rai: in una ho fatto il protagonista di una scena, senza parlare, dove alcuni ragazzi si prendevano gioco di me e io restavo da solo, al centro del gruppo.

 

Sono sincero: detestavo quel mondo. Quando mia madre mi diceva «domani non vai a scuola, devi recitare», io la pregavo di andare a scuola perché recitare… significava alzarsi alle 4, prendere i mezzi, arrivare sul set alle 6, e restare fermo a non fare niente per 5 ore prima di iniziare a registrare alle 11, ripetere una scena mille volte, magari vestito con il maglione di lana in pieno inverno per inscenare un momento che nel film accade d’estate. Ricordo una scena in ‘Libro Cuore’ dove a Villa Borghese stavo per sciogliermi e mia mamma chiese alla produzione di alleggerire i miei indumenti.

Volevo mollare tutto. Non ce la facevo più. Ho detto a mia mamma che sarei tornato a Roma, che avrei chiesto alla Samp una parte dei soldi rimanenti di questi ultimi 2 anni di contratto, rescisso e provato a comprarmi una casetta. Sarei tornato alla Vigor Perconti, in Eccellenza. D’altronde se non gioco a 24 anni in Serie C…

 

Il pensiero economico c’è, lo ammetto. Non so se riuscirò a fare la spola tra Serie D e Serie C, giocando poco, guadagnando forse. Lei mi ha detto che non arrancherò, che come quando a 15 anni ho lasciato Roma per andare alla Samp, anche stavolta andrà bene.

 

Adesso vado a Gavorrano, vediamo se andrà meglio. Altrimenti mollo, mi sa.

Fare il terzo portiere da giovane non è semplice. Alla Sampdoria non ero un veterano, quindi non ero il classico terzo portiere più anziano che fa l’uomo spogliatoio. Ravaglia, in questo, era un grande. Io ero nel pieno della mia carriera e stavo a sedere. La partita era l’allenamento, per me. Sentivo, però, che tutti mi rispettavano. Non ero il terzo portiere che non vuoi in partitella perché ti fa perdere. Anzi. E poi quando sei giovane, devi cogliere tutto al volo. I giovani di oggi non chiedono, io invece riempivo di domande chi era davanti a me. Volevo imparare, confrontarmi, migliorare. Adesso non chiedono, pensano di essere già fatti. A volte gli dai indicazioni e annuiscono, ma non gli interessa. Io avevo Romero, Viviano, Puggioni, Da Costa, Fiorillo. Tutti mi hanno lasciato qualcosa. Chiedevo «Vivio, cosa ne pensi?», oppure «Sergio ma come fai a rinviare così?». Ecco, Romero mi ha migliorato molto sui rinvii, mentre Puggioni sulla tecnica.

Stare sul set, stare in porta, andare a pesca. La mia vita è costellata di attesa e pazienza. Quando andavo a pescare con mio padre la domenica mattina, ho preso da lui la capacità di attendere. Come quando interpretai la controfigura adolescenziale di Lorenzo Flaherty in Ris, e lui venne sul set per parlarmi. Fu bello, in mezzo alla lunga attesa del cinema. Fare il portiere, però, richiede più concentrazione di tutte queste cose. A volte capita che a fine partita, io dica ai miei compagni: «Raga, sono stanco morto». E loro: «Ma come! Noi abbiamo corso, tu sei stato fermo». Non possono capire la fatica mentale nel mantenere la concentrazione per 90 minuti costante, non sai mai cosa possa accadere. A fine gara, mi rilasso e mi viene sonno. E poi difendo sempre i portieri: un tiro che può sembrare apparentemente facile è invece pieno di insidie, e io cerco di spiegare quel momento.

La Serie A è proprio bella. Mi porto dentro due momenti. Il primo, quando Giroud mi è venuto personalmente a stringermi la mano durante la partita dopo una parata su Messias. Un gesto così, fatto da un campione del mondo, non è per niente scontato e mi ha emozionato. E poi, nelle ultime ore, quando sono andato da Simeone a chiedergli la maglia per un mio amico di Roma, tifosissimo del Napoli. Mi sono avvicinato cercando di non disturbarlo, dicendogli: «Scusa Cholito, mi daresti la tua maglia?». Lui ha accettato, e nel tunnel si è spogliato per regalarmela. Mentre andavo via mi fa: «Scusa, e la tua?». Siamo scoppiati a ridere, non pensavo gli interessasse averla.

A Gavorrano è andata bene. Pensavo che dopo quei 6 mesi, avrei avuto buone offerte in C. Invece niente. Per fortuna, il mister è andato a Lucca e mi ha chiesto di seguirlo. Se avessi fatto male, sarebbe finita.

 

E invece.

 

La Sampdoria si è rivelata un’occasione a 26 anni. Dovevo andare allo Spezia, in uno scambio con Provedel. Saltò tutto e ci rimasi male, quindi continuai a fare il secondo alla Samp. Sapevo che si parlava bene di me, ma poi devi sempre dimostrarlo. Volevo far vedere a tutti che io in Serie A potevi starci. Quando Audero si è fatto male, sono sceso in campo con tanta inconsapevolezza. Mente libera, ma sapevo che era il treno finale. Infatti al suo rientro, nonostante fossi comunque il titolare, giocavo meno rilassato. Lottavamo per non retrocedere. Quella è stata la svolta.

 

Mi sono giocato bene le mie carte alla Sampdoria. Dieci partite in cui ho dato tutto per dimostrare che potevo starci in Serie A. Ho rivisto il mio percorso in quello di Vicario, che prendo sempre come modello. Ha sfruttato le poche occasioni al Cagliari, si è guadagnato l’Empoli e se l’è tenuto stretto. Meritava di andare in una big questa estate. Ci sentiamo spesso, in direct. Ci facciamo i complimenti dopo le partite. Sta facendo sfracelli. Voglio fare come lui: salvare il Lecce, se lo merita questa piazza stupenda.

Da quando hanno detto che sono un pararigori… non ne paro più uno! A parte gli scherzi, ho un debole per i rigori.

 

Adesso vi faccio un esempio: il caso Dybala. Prima di Lecce-Roma, insieme al mio preparatore abbiamo studiato i rigoristi. Abbiamo notato che quando Dybala prende una lunga rincorsa, calcia col sinistro aperto. Quando la prende corta, invece, va chiuso, quindi calcia alla sua destra. Avevamo concordato di andare con un tuffo chiuso, alla mia sinistra. Quando è andato sul dischetto, però, mi sono accorto che la rincorsa era leggermente più lunga. Ho comunque deciso di seguire la teoria, tralasciando la sensazione, ma mi ha spiazzato, calciando aperto.

 

Un altro caso è stato quello di Daniel Ciofani, contro la Cremonese. Tanto che a fine partita, ci siamo pure confessati: ‘Pensavo che avresti calciato centrale’. Avevamo studiato tutti i tiri di Ciofani, e data la partita cruciale e lo scontro diretto, in Serie A, fuori casa, avevamo concordato una botta centrale, al sicuro. E invece mi ha fregato: ‘Sai, anche io ho studiato te. E sapendo che anche tu lo avresti fatto, l’ho calciato nell’unico modo in cui non lo avevo mai calciato in carriera’. Quindi la tecnologia sta cambiando la percentuale portiere contro attaccante.

 

Questi due esempi per mostrarvi che lo studio non deve mai togliere spazio alla libertà di pensiero e alle sensazioni. Anche se rimane fondamentale: nella mia esperienza alla Lucchese, grazie allo studio ho parato 3 rigori in una sola lotteria contro il Bisceglie, nella gara decisiva per rimanere in Lega Pro. A Cosenza ne ho parati 5 in un solo mese. Tutto grazie allo studio. Fin dalle giovanili, ho applicato questa regola: quando abbiamo vinto lo Scudetto Allievi con la Samp, ne ho parati uno in finale contro l’Empoli.

 

Lo studio che fai insieme al preparatore dei portieri non deve precludere la tua libertà di pensiero legata alle sensazioni al momento della rincorsa. Molti giocatori si fanno sgamare dalla rincorsa: a me è sempre piaciuto studiare ma senza rinunciare alla sensazione del momento. Ad aiutarmi è stata una frase che mi disse il figlio di un dirigente ai tempi delle giovanili, nella Vigor Perconti, società di Eccellenza romana. Una frase semplice, banale, ma che mi colpì talmente tanto che la porto ancora dentro: «Nei rigori tu non avrai nulla da perdere. Alleggerisciti. Se ti fanno gol, non potevi farci niente».