Il sogno di Marco Rossi e della sua Ungheria: «Vorrei portarla al Mondiale»

by Redazione Cronache

Rossi in Italia è il cognome più comune. In Ungheria, invece, dici “Rossi” e pensi subito a Marco, quel signore pelato che sta provando a realizzare un sogno, portare la nazionale ai mondiali di Qatar 2022. Il ct magiaro ne ha parlato con la Gazzetta dello Sport.

QUALIFICAZIONE – «Il nostro obiettivo non può essere la qualificazione, il Mondiale è un sogno. E l’Ungheria ad Andorra ha perso nel 2017. L’Inghilterra è di un altro pianeta. Credo nell’equilibrio fra noi e l’Albania di Reja, loro tosti in difesa con Dijmsiti, Kumbulla e Hysaj. E non si possono sottovalutare le piccole come detto. Contro la Polonia sulla carta non c’era partita, loro sono più forti, hanno 5-6 uomini da top club, Szczesny e Lewa, Zielinski, Milik, Piate. E Paulo Sousa ha dovuto mettere 3 punte per recuperare»

ROSA – «In Ungheria al massimo ho 20-25 giocatori di livello internazionale, ma i tifosi hanno da ridire a ogni convocazione. Io con lo staff vivo qui e conosco bene l’ambiente, li vedo tutti dal vivo».

ESPERIENZA – «Lavoro all’estero più per necessità che per scelta dal 2012. Negli ultimi anni più colleghi vanno all’estero, lasciano la comfort zone. Il nostro è un modo di pensare, giocare di equilibrio, difendere e attaccare allo stesso tempo, senza perdere le distanze. Difendere bene aiuta ad attaccare bene. A Budapest ho portato morale, entusiasmo e organizzazione. Ma tutto è equilibrio e distanze. Sarri al Napoli e Guardiola al Barça, bellissimi ma irripetibili anche per loro, eccezioni. Non tutti possono disporre di certi giocatori. Ma la capacità di un tecnico sta nel capire le caratteristiche dei propri uomini per costruire l’abito tattico migliore».

LAVORO – «Quando sono arrivato era uno dei momenti peggiori per l’Ungheria, pur dopo l’exploit ’16 e non si erano qualificati per 30 anni, dall’86. Ora di nuovo: mai l’Ungheria si è qualificata due volte di fila all’Europeo».

ESEMPI – «Bielsa e Lucescu. Il primo l’ho conosciuto quando giocavo in Messico all’America ’95-96: aveva un ufficio pieno di Vhs, guardava gare e giocatori di tutto il mondo, era già il Loco, balzava agli occhi che era avanti. Un precursore per la tattica, costruzioni di gioco: frazionava il campo coi nastri e ti spiegava dove stare a secondo delle fasi di gioco. Ti incantava, mi ha insegnato che il gioco parte dai difensori 25 anni fa. Mircea l’ho avuto a Brescia nel ’91-93, grande insegnante di tattica. L’ho incontrato a ottobre quando con la Dinamo è venuto a Budapest, per il match col Ferencvaros, una bella rimpatriata; è sempre uguale, giovane nello spirito, positivo e sorridente. Mi ha fatto innamorare della figura del tecnico, per la passione che mette, la voglia di far migliorare i giovani».