Filippo Melegoni, capitano di una generazione di fenomeni

by Lorenzo Lombardi

«Ripensare a quei tempi mi rende davvero orgoglioso. Sono stato il capitano di una generazione di fenomeni assoluti, una delle squadre giovanili migliori di sempre. Carnesecchi tra i pali, Bastoni in difesa, io e Colpani in mezzo al campo e Kulusevski a concludere le azioni davanti. Non ce n’era per nessuno».

Filippo Melegoni, per anni capitano (e uno dei talenti più scintillanti del calcio italiano), oggi è ripartito dalla Reggiana, in Serie B. La fortuna non è sempre stata dalla sua parte e finora 2 gravi infortuni ne hanno rallentato la carriera. Solo questo, perché Filippo non cerca alibi, ama lavorare e far parlare il campo. Dall’Atalanta, al Genoa, fino all’esperienza in Belgio con lo Standard Liegi, questa è la sua storia.  

Una squadra fortissima

Bergamasco di nascita e di fede calcistica, la sua formazione giovanile è passata interamente attraverso il sistema atalantino (uno dei migliori in Italia). Dall’under 17 in poi Filippo ha capitanato e guidato le ‘sue’ squadre, nonostante fossero formazioni imbottite di incredibili talenti. «Pensando a dove sono arrivati molti di loro fa un certo effetto; sia chiaro, me l’aspettavo, erano davvero forti, ma un conto è immaginarselo, un altro è vederne uno al Tottenham, uno all’Inter e così via. In quegli anni lì comunque battevamo tutti: ricordo un 7-1 alla Roma, 4-0 all’Inter, 3-0 al Milan». Lui è sempre stato nel mezzo, il cuore pulsante e il cervello della squadra e si è tolto le soddisfazioni di vincere anche un campionato italiano, con l’under 17.

Dopo l’esordio in Serie A, la sua carriera è proseguita a Pescara dove, alla prima stagione in Serie B, si stava adattando bene al calcio dei grandi. Ma il suo obiettivo, nonché ultimo rimpianto, legato a quei tempi è un altro: «Stava andando tutto molto bene. Ero alla prima stagione in B, stavo giocando e avevo anche segnato il primo gol in categoria. Nel frattempo avevo anche la fortuna e la possibilità di allenarmi con la Nazionale che sarebbe partita per il Mondiale giovanile. Ero capitano e numero 10 di quella squadra, ma in uno degli allenamenti preparatori però mi sono rotto il crociato». Una batosta incredibile, che avrebbe steso qualsiasi persona, e che ha inevitabilmente rallentato il suo percorso calcistico.

Ripartire da zero

Nonostante tutto Filippo continua a credere e a inseguire il suo sogno. Dopo tanti mesi di riabilitazione e cure, torna in campo proprio con il Pescara e, nella seconda parte di stagione, ritrova continuità e fiducia, tanto da attirare l’attenzione del Genoa. Ed ecco che, apparentemente in un batter d’occhio, Melegoni ritrova la Serie A, e lo fa da protagonista. «Del Genoa ho ricordi bellissimi; dal primo gol in Serie A contro la Lazio, al tiro a giro con cui ho segnato a Buffon in Coppa Italia, davanti agli occhi di un certo Cristiano Ronaldo». Un’esperienza (durata 2 anni) per lui indimenticabile che lo ha davvero formato come calciatore e come uomo, avendo dovuto convivere con momenti di incertezza a livello societario. E da qui è nata la suggestione, la possibilità, di fare un’esperienza all’estero.

Il caso vuole che uno dei suoi compagni di squadra a Genoa era Riccardo Calafiori, anche lui consacratosi all’estero, dopo l’esperienza al Basilea: «Ricky è un giocatore forte ma a Genoa non aveva trovato la continuità che meritava. A volte si dice che la fortuna di un giocatore è quella di incontrare l’allenatore giusto al momento giusto. Questo è quello che vedo in lui e nel suo rapporto con Thiago Motta. Sta diventando un giocatore davvero completo».

Ma torniamo alla storia di Filippo perché la parentesi allo Standard Liegi è una delle più importanti e felici della sua carriera, almeno finora.

Mentalità differente

Lascia tutto e parte. Lascia la sua casa, la sua famiglia, la sua terra calcistica e se ne va, a più di 1000 km di distanza. Ha dimostrato coraggio e questa scelta, almeno dal punto di vista personale lo ha ripagato. «Ho giocato 30 partite in un campionato di livello eccezionale. Magari meno tattico, ma con una qualità e un tasso tecnico elevatissimo. In Belgio giocano tantissimi giovani e non è un caso se ogni anno sbuca fuori qualche talento dalle loro parti». Si è parlato tanto, facendo esempi concreti (Dimarco, Calafiori, Esposito), di quanto un’esperienza all’estero possa essere importante, quasi necessaria, per i giovani calciatori. Adattarsi a un Paese diverso, a una lingua e una cultura sconosciuta fa fare un grande passo sotto tutti i punti di vista. Se a questo aggiungiamo anche livello e competenze calcistiche, il gioco è fatto.

«La ritengo un’esperienza quasi obbligatoria per qualsiasi giovane. Al momento giusto può aiutare tantissimo. Non dimenticherò mai le prime parole che il mio allenatore mi rivolse: mi disse che ero troppo abituato al calcio italiano e da me voleva che negli ultimi 30/40 metri tentassi sempre la giocata; un dribbling, un tiro in porta, ero libero di essere decisivo. Magari sbagli le prime 3 scelte, ma se alla quarta trovo quella giusta, la squadra segna. Una filosofia opposta dalla nostra».

Libertà in campo e fuori. Strutture all’avanguardia e una maniera di vivere il calcio in modo differente, a partire dal pubblico stesso. «In Belgio ad esempio non esistono i lunghi ritiri a cui siamo abituati qui in Italia. Se giocavamo alle 18, il ritrovo era fissato per le 14, pranzo, riunione e diretti allo stadio. Anche il rapporto con i tifosi è diverso. Da noi c’erano sempre 30 mila persone. Ovviamente ti fischiano se perdi ma poi tutto finisce lì, all’interno dello stadio».

La sua mattonella

In estate è tornato in Italia (al Genoa che detiene ancora il cartellino) ma l’ennesimo infortunio pesante ne ha condizionato il ritiro e l’inizio di stagione. «Mancavano pochi giorni all’inizio del campionato quando, in allenamento, mi sono lesionato il tendine del flessore. Per intenderci altri 3/4 mesi fuori».

Da qui la scelta di ripartire, di nuovo da zero, dalla Reggiana, attratto dallo stile di gioco e dalla filosofia proposta da Nesta. «Ho trovato un bellissimo ambiente e con il mister mi trovo molto bene. Spesso scherziamo con lui che è sempre pronto a risponderci. Pochi giorni fa, mentre noi gli dicevamo che non aveva vinto tanto, lui ha iniziato a elencarci tutti i trofei vinti da calciatore; non mancava davvero niente».

 

 

Sta trovando continuità e fiducia in sé stesso e il gol di Pisa, che mancava da 8 mesi, ne è la certificazione. Contropiede, lancio in profondità, sterzata sul suo destro e una parabola perfetta, quasi disegnata. «Quella è la mia mattonella, molti dei gol che ho segnato sono arrivati da quella posizione. Il gol mi ha dato una carica pazzesca, perché era da tempo che mi allenavo forte, al massimo delle mie possibilità».

Dal gol a Buffon al gol di Pisa, Filippo Melegoni vuole ritrovare la continuità e la forma fisica per esprimere tutto il suo talento. Per raggiungere i suoi vecchi compagni, di cui un tempo era capitano, nei palcoscenici più importanti. Perché il talento e la testa non gli mancano.