Viaggi e miraggi: la storia di Diego Longo. Oggi sogna il titolo al Kukësi

by Alessandro Lunari

 

La strada lunga e ventosa di Diego Longo è una strada che parte da molto lontano. Comincia sui cornicioni di Cornigliano, quartiere di frontiera a metà fra mare e collina, seduto tra gli aerei che si abbassano a pelo d’acqua e una strada che si alza quasi sul mare. Il segreto nelle città di frontiera è sapersi adattare. «Doversi adattare – precisa il mister – E farlo anche in fretta». Longo a 29 anni lascia tutto e parte per la Romania, tra magagne e mugugni di qualche amico e familiare. A dire il vero, quasi tutti. «Quando è arrivata l’occasione e ho deciso di lasciare tutto, lavoravo per mantenermi facendo l’allenatore a livello locale. Adesso sembra facile, ma a quei tempi vedermi andare in Romania per molti fu un fatto strano, per alcuni forse anche peggio. Tanti mi chiedevano e si chiedevano cosa stessi facendo. Tra l’altro in quegli anni non era mica facile avere una connessione internet». La comunicazione nel 2005, un telefono senza fili. Ad aspettarlo all’aeroporto di Bucarest. con un un cartello di benvenuto, in aeroporto, un giovanissimo Răzvan Lucescu.

Romania 

Al Rapid prima e al Brasov poi fanno così bene da conquistarsi un posto alla guida della Nazionale, guidata da Lucescu e seguita da Longo come assistente fino al 2011. «È  stato un periodo molto bello e mi ha aiutato tantissimo – racconta – Ho lavorato con giocatori come Radu, Mutu, e Chivu nell’anno del Triplete. Per un certo periodo mi è stata data la possibilità di seguire il loro lavoro, di settimana in settimana, nei centri sportivi delle squadre di club, permettendomi così di rapportarmi con i loro allenatori. Da Mourinho a Reja, passando per Giampaolo». Quelli sono anche gli anni dell’università del calcio. «Ho studiato per 2 anni a Lione. Andavo lì una volta al mese, stavo 7 giorni e poi rientravo in Romania. Era una strada parallela fra studio e lavoro: ho fatto un corso da allenatore, un master in psicologia dello sport, poi ho preso il patentino da allenatore in seconda e poi ancora quello UEFA Pro». Poi arriva il PAOK.

Salonicco

Gli anni in Grecia sono anni di formazione. La formazione, nel biennio al PAOK, moriva dalla voglia di farla il presidente: Ivan Savvidis. Figlio d’un temporale. «Un presidente vulcanico, aveva dentro di sé uno spirito di ‘lotta’ continua contro Atene. Era davvero incredibile. Un giorno vincemmo 3-0 in Coppa, superando il turno, e lui ci chiamò in hotel. Noi siamo andati tranquilli, pensando fosse felice – eravamo anche primi in campionato – Ma invece ci tenne lì per 3 ore strigliandoci perché avremmo dovuto farne 5. Ripensandoci era semplicemente quello il suo modo, in un ambiente così caldo, per spronarci a non mollare e continuare. Avevano sognato talmente tanto, che ormai valeva tutto». Savvidis è piuttosto noto anche per essersi presentato in campo, nel bel mezzo di una partita, con una pistola nella fondina. Longo, passato nella frazione di un secondo da assistente nelle retrovie a spettatore in prima fila, ricorda così quei momenti concitati: «Nei 21 anni precedenti il campionato era stato vinto 19 volte dall’Olympiakos, che la settimana prima aveva vinto una partita 3-0 a tavolino perché un rotolo di carta igienica aveva colpito il loro allenatore poco prima del calcio d’inizio. Questa è la premessa. Noi arrivammo a un passo dal titolo, quella sera ci venne annullato un gol regolarissimo e il presidente, che non è una persona pacata, decise di scendere in campo. Cose già capitate in passato, ma quando tutti videro la pistola devo ammettere che calò il gelo». La vittoria del campionato arrivò l’anno successivo, a 34 di distanza dall’ultima volta. A volte la pazienza è un’arma, oltre che un’arte.

Arabia Saudita

Ivano Fossati, genovese e viaggiatore, in una celebre canzone ci spiega che il Medio Oriente «qui da noi non riscuote nessuna fortuna». Chissà come la pensa Diego Longo, che nella stagione 2019/2020 nella città di Riad ha sollevato trofei su trofei. La musica che gira intorno è quella della Champions League d’Arabia. «In casa dell’Al Hilal, il Real d’Arabia, c’era la stessa pressione per la vittoria che avevo percepito già in Grecia. Volevano la Champions e ci tenevano a ricordarlo: ci fermavano anche per strada e ai semafori. Ho avuto la fortuna di andarci ti formano perché devi resistere a pressioni notevoli». 

Kiev

«Ho lasciato Razvan Lucescu dopo 15 anni – ammette –  Sono andato alla Dinamo Kiev per lavorare con suo papà Mircea, aiutandolo nel reparto difensivo. È stata una scommessa, ma ho fatto tanta esperienza in un top club».  Nella vita c’è sempre un però, e quel però è piuttosto ingombrante:«Mircea Lucescu arrivava da 12 anni allo Shakhtar, per cui quando arrivammo in Ucraina ci furono proteste in piazza. Abbiamo dovuto vivere tutti per mesi all’interno del centro sportivo, dato che il mister era a rischio e non poteva neppure camminare per il centro. Anche dopo partite stravinte e dopo aver vinto il campionato, c’era sempre contestazione ed era pericoloso andare in giro». «Anche nella gelida kiev. un anno particolare». Ormai ha imparato a scherzarci sopra pure lui.

Kukësi

Dopo un lungo periodo di fedele educazione luceschiana, Longo chiude il navigatore e decide di partire per la sua prima esperienza da allenatore vero e proprio. Decide di farlo scegliendo una meta – questa sì – davvero insolita. Dallo scorso luglio allena il Kukësi, nome che sembra uscito dalla testa degli sceneggiatori di Boris, ormai stanchi del Burmini.  Kukës è in Albania. Cittadina di frontiera, al confine settentrionale con il Kosovo, la sua squadra vanta un gran numero di tifosi anche dall’altra parte del confine. Nel 2017 ha vinto un campionato, poi è tornata a lottare per la salvezza.  «Quando sono arrivato, verso la fine del mercato, ho dovuto fare i conti con una squadra praticamente rifatta e con un budget decisamente ridotto. L’idea generale era che si potesse anche retrocedere, ma dopo 6 mesi siamo secondi in classifica e possiamo giocarci il campionato. Noi per il momento viviamo a Tirana, perché la cittadina di Kukësi è bellissima ma ci sono 13 gradi sotto zero. Il nuovo stadio stadio è pronto ma praticamente inagibile: c’è grande entusiasmo, i tifosi aspettano che passi il grande freddo per poterlo inaugurare». Sembra di essere a Grande Inverno, solo che  il loro Jon Snow parla italiano e ha un marcato accento ligure. I tifosi si possono provare a scaldare con un bicchiere di raki, grappa artigianale del posto. «I nostri tifosi sono spesso presi in giro quando andiamo in altre città: in loro c’è tanta voglia di rivalsa, molti sono kossovari e arrivano da oltre-confine. Con i giocatori sul campo faccio leva anche sul loro senso di appartenenza, che è molto forte». La scorsa partita è stata vinta con l’uomo in meno, domenica si giocheranno il primo posto in uno scontro diretto con il Tirana. «Noi siamo qui a lottare, per ridare un’immagine nuova».

Il nome di Longo nei mesi scorsi è circolato anche per bocca di alcuni dirigenti della federcalcio albanese, che lo ritengono un candidato di rilievo per il futuro. «Sarebbe un onore allenare una nazionale – ammette –Una responsabilità speciale e incredibile, ma io sono italiano e mi piacerebbe arrivare un giorno ad un livello più alto nel mio paese. Senza partire subito dalla Serie A, sarebbe un peccato di arroganza. Magari prima farò un’altra esperienza all’estero».  Perché del resto alla fine di un viaggio, c’è sempre un viaggio da ricominciare.