La Danimarca non vuole apparire in Qatar, e altre storie

by Redazione Cronache
maglie calcio proteste

di Duccio Zambelli

Le divise delle varie squadre di calcio sono molto più di semplici magliette. Da sempre colorate, amate, chiacchierate, queste non rappresentano solo un club o una nazionale, ma simboleggiano una cultura, una fede, a volte un popolo intero. Negli anni alcune di queste sono state al centro di proteste e messaggi, di giocatori e sponsor, che hanno legato il mondo del calcio a importanti vicende sociali e non solo.

Il gesto di Hummel e della Danimarca

Ultima, in ordine temporale, quella realizzata Hummel, sponsor tecnico della Danimarca che ha disegnato per la nazionale tre kit molto semplici e privi di dettagli per il Mondiale. Stemma e logo dell’azienda di abbigliamento danese appaiono infatti semi-trasparenti. Il motivo? Un messaggio nei confronti della violazione dei diritti dei lavoratori in Qatar, un tema scottante che ha accompagnato la rassegna calcistica durante gli ultimi mesi. «Una protesta contro il Qatar e il suo rapporto con i diritti umani» ha spiegato Hummel sul proprio profilo Instagram. «Non vogliamo essere visibili durante un torneo che è costato la vita a migliaia di persone. Crediamo che lo sport debba unire le persone. E quando non lo fa, vogliamo dire la nostra». A far parlare è stata anche la terza maglia, completamente nera. Un chiaro riferimento di lutto per le morti sul lavoro avvenute durante la costruzione degli stadi che ospiteranno le partite dei Mondiali.

Una vicenda, quella delle maglie della Danimarca, che è ha preso campo nell’opinione pubblica mondiale, suscitando reazioni varie. Tra chi accusa lo sponsor di sfruttare il dramma dei lavoratori per puro e semplice marketing e chi, invece, lo reputa un gesto utile per sensibilizzare il tema. Intanto dal Qatar la risposta non si è fatta attendere, con il Comitato Supremo per la delivery e la legacy dell’emirato che si è espresso in un comunicato: «Contestiamo l’affermazione fatta dalla Hummel sul fatto che questo torneo sia costato la vita a migliaia di persone. Inoltre rigettiamo la banalizzazione del nostro sincero impegno a proteggere la salute e la sicurezza di 30 mila lavoratori che hanno costruito gli stadi del Mondiale e contribuito ad altri progetti legati al torneo».

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Perché le maglie da calcio costano così tanto?

Maglie coperte, in segno di protesta

Una terza maglia nera, dicevamo. Un colore che ha caratterizzato un’altra recente e importante protesta: quella dei giocatori dell’Iran. Prima dell’amichevole contro il Senegal, disputata lo scorso 27 settembre, la nazionale iraniana ha deciso di coprire le proprie divise con giubbotti scuri durante l’esecuzione del proprio inno. Nascosti i colori e lo stemma del proprio paese per mandare un messaggio di lotta e solidarietà. Nella nazione asiatica si stanno infatti svolgendo in questi giorni molte manifestazioni contro la violenza sulle donne dopo la morte di Mahsa Amini, uccisa perché aveva indossato ‘male’ il velo, e Hadis Najafi, assassinata dalla Polizia dopo essersi tolta il velo e aver raccolto i capelli in una coda.

Gesti di ribellione, come quello dei calciatori contro il proprio governo, che potrebbero avere gravi ripercussioni. A tal proposito, l’attaccante iraniano del Bayer Leverkusen Sardar Azmoun, tra i protagonisti della vicenda, ha scritto su Instagram: «Cacciatemi dalla Nazionale. Se il gesto sarà servito a salvare anche una sola ciocca di capelli delle donne iraniane, ne sarà valsa la pena». La vicinanza al calciatore e al suo popolo è arrivata anche dai tifosi del Bayern Monaco che, al suo ingresso in campo al 61’ del match tra bavaresi e Leverkusen, hanno esposto lo striscione: «Donna, vita, libertà. Solidarietà alla rivoluzione femminista in Iran».

Maglie coperte oppure… Girate al contrario. A farlo, le calciatrici della nazionale statunitense prima di una partita giocata nel marzo 2020. La loro protesta riguardava la mancata parità retributiva con i colleghi della squadra maschile e arrivava a una settimana dalla rivelazione dei discutibili argomenti su cui la Federcalcio USA si basava per spiegare come le giocatrici non la meritassero. Si parlava di “differenze biologiche” e del fatto che “il lavoro di una squadra maschile ha più responsabilità all’interno del calcio degli Stati Uniti rispetto al lavoro di una femminile”. Uno scandalo al quale le dirette interessate decisero di rispondere rovesciando la divisa durante l’inno. L’episodio portò l’allora presidente della U.S. Soccer Carlos Cordeiro a scusarsi, ma questo non bastò: il 13 marzo 2020 si dimise, spiegando in una lettera i propri errori. L’accordo sulla parità salariale, però, è arrivato solo a maggio 2022.

Quando le maglie da calcio parlano

Tornando a un episodio più recente, lo Shakhtar Donetsk ha indossato maglie speciali per il suo Global Tour For Peace estivo, che ha visto la squadra ucraina giocare diverse amichevoli con lo scopo di raccogliere fondi per la popolazione e i rifugiati ucraini. Il messaggio era ovviamente dedicato al popolo assediato dall’esercito russo: sulle spalle dei giocatori dello Shakhtar, al posto dei cognomi, erano presenti i nomi delle città più colpite dall’inizio dell’invasione.

A volte i messaggi si possono nascondere anche nei dettagli delle divise. È il caso della prima maglia del Reading, club di Championship, per la stagione corrente. Ideata in collaborazione con l’università della città, la classica maglia biancoblu presenta sulle maniche delle strisce che variano dal blu scuro al rosso intenso. Queste rappresentano l’aumento delle temperature medie registrate negli ultimi 151 anni nel Berkshir e che, inevitabilmente, sfumano sempre di più verso colori caldi. Un chiaro invito alla sensibilizzazione sui cambiamenti climatici. La divisa, inoltre, è prodotta al 100% dal riciclo di bottiglie di plastica.

In un’altra occasione le strisce hanno rappresentato più di un semplice dettaglio. All’alba della stagione 2015/16, il Rayo Vallecano presentò una seconda maglia particolare nel suo genere: al posto della classica banda rossa in diagonale, ce n’era una con i colori dell’arcobaleno. Un simbolo contro le discriminazioni di genere, ma che, al suo interno, ne comprendeva altri. Il colore rosso dedicato alla lotta contro il cancro, l’arancio per l’integrazione dei disabili, il giallo per chi non perde mai la speranza, il verde per chi difende l’ambiente, l’azzurro per chi protegge i minori da maltrattamenti, il viola per chi si batte contro la violenza di genere. Sette euro (come sette i colori descritti) per ogni divisa acquistata, furono poi donati in beneficienza ad associazioni che si occupano di questi temi. Sulla terza maglia per quella stagione, invece, una singola banda rosa e un fiocco sul petto, dedicati ai malati di tumore.

C’è chi negli anni, con i colori, si è sicuramente sbizzarrito. Tra accozzaglie pacchiane e trovate geniali. Tra quest’ultime rientra sicuramente quella del Tromsø, club norvegese, che nel 2021 ha lanciato il primo kit ufficiale dotato di QR code. La protesta? La stessa portata avanti da Hummel con la maglia della Danimarca. Scannerizzando il codice a barre bidimensionale presente sulle maniche, infatti, lo smartphone apre una pagina web che tratta di diritti umani, in particolar modo quelli dei lavoratori in Qatar per il Mondiale 2022.

Se proprio la Danimarca si presenterà alla Coppa del Mondo con una maglia totalmente nera, l’Arsenal nella scorsa stagione è sceso in campo con un kit total white per la gara del terzo turno della FA Cup contro il Nottingham Forest. Il motivo della scelta si celava, come spiegato dai Gunners sul proprio profilo Twitter, dietro all’incremento di crimini da armi bianche a Londra. Nel 2021, nella capitale, si era fatto registrare il più alto numero di morti adolescenziali causate da questo tipo di oggetti atti a offendere.

L’ultima storia che vi raccontiamo arriva sempre dall’Inghilterra, dove nel dicembre 2021, il direttore strategico dell’agenzia creativa Dark Horses, Mark Lloyd, ha lanciato l’iniziativa #NoHomeKit. La richiesta alle squadre inglesi era quella di alternare e/o scambiare le divise durante le partite casalinghe del Boxing Day (26 e 27 dicembre), con l’obiettivo di sensibilizzare il problema dei senzatetto nel Regno Unito. La campagna ha visto aderire molti club, anche di prima fascia, salvo poi il mettersi di traverso la Premier League per problemi con i diritti tv e non solo. Nonostante questo, squadre come il Tottenham hanno continuato a sostenere l’iniziativa indossando le maglie da trasferta per la fase di riscaldamento prima della partita in casa contro il Crystal Palace, invitando i propri tifosi a indossare le stesse divise sugli spalti.

Dalla guerra ai diritti umani, dalle violenze all’ambiente: negli ultimi anni tante squadre hanno fatto “parlare” le proprie divise. Molti temi sociali toccati, diversi lampi di genio per trattarli. Tra le accuse di sfruttare tutto questo per puro marketing, il calcio non può più starsene fermo di fronte a certe ingiustizie. Se questo porterà a dei risultati concreti lo vedremo nei prossimi anni, di certo è arrivato il momento di schierarsi e rompere il silenzio.